Il cristianesimo è contro la donna?-2
È infondata l’accusa di discriminare le donne rivolta al Cristianesimo. Contrariamente ai costumi del suo tempo, Gesù ne aveva grande considerazione. È Lui l’esempio da imitare
La volta scorsa, affrontando il problema della posizione della donna nel cristianesimo e cercando di chiarirne i riferimenti biblici essenziali, dicevamo di quella prima coppia – Adamo ed Eva – creata da Dio per incontrarsi nell’amore. Ma anche, dopo il peccato delle origini, alle prese con un rapporto difficile e conflittuale: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà». Sempre dal libro della Genesi sappiamo, tuttavia, come in quel quadro un po’ fosco di ribellione e castigo fosse già possibile intravedere una luce. Quella che sgorgava da una profezia in cui si parlava di un’altra donna che avrebbe «schiacciato il capo» al tentatore. Una promessa, dunque, che si intuisce di aiuto, un sentore di cambiamento positivo.
Noi, a distanza di millenni, possiamo testimoniare che quella profezia si è davvero compiuta perché la donna là annunciata è Maria di Nazareth. Sì, proprio lei, quella giovinetta ebrea che, pur sorpresa da una richiesta divina di eccezionale responsabilità: divenire la madre del Messia, ha pronunciato quel “sì” che avrebbe cambiato la storia umana. Quel “sì” che avrebbe aperto la strada ad un evento straordinario, impensabile a mente umana, addirittura all’incarnazione del Verbo di Dio nell’uomo Gesù. Quel Gesù che, attraverso la sua persona, avrebbe poi permesso all’umanità decaduta e alle prese con le conseguenze del peccato, di ritrovare forza e grazia per un rinnovato rapporto con Dio. Una svolta fondamentale, dunque, per l’intera umanità ma anche per ogni persona, per ogni uomo per ogni donna e per ogni coppia da loro formata.
Per questo, per noi che ci stiamo occupando di valutare i rapporti tra donna e cristianesimo, è assai importante riflettervi sopra. Iniziando, per esempio, dal fatto che mentre Dio, per farsi uomo, non ha voluto aver bisogno di un seme maschile, ha invece voluto passare attraverso un utero femminile del quale, in teoria, avrebbe potuto benissimo fare a meno, nulla essendogli impossibile. È ugualmente molto interessante chiedersi perché Gesù, una volta vista la luce, non si sia poi rivelato una creatura diversa da noi, per es. un androgino cioè un essere che raggruppasse in sé elementi maschili e femminili. E come invece egli sia stato un uomo preciso, un maschio, un «nato da donna», come ci ricorda san Paolo. Non può forse significare che anche l’incarnazione rispetta, confermandola, quella iniziale duplicità, l’una necessaria all’altra, che abbiamo visto essere: “maschio e femmina”? Oppure, ancor più, come ha scritto il cardinale Biffi, significa che «Se il Verbo eterno – che è “luce da luce, Dio da Dio, Dio vero da Dio vero”, come diciamo nel Credo – è “nato da donna”, allora la femminilità (ogni femminilità) si colloca al vertice dell’autentica e assoluta gerarchia dei valori. La parola che ci era apparsa così semplice e breve – “nato da donna” – brilla adesso davanti a noi come la dichiarazione, il proclama, il “manifesto” di quello che potremmo chiamare il “femminismo di Dio”; un femminismo che si sostanzia non di loquacità ma di fatti; un femminismo che non ha il luccichio delle ideologie, ma lo splendore della “verità”; un femminismo che è prova e dedizione d’amore»? Con conseguenze importantissime non solo per Maria ma per ogni donna. E questo perché, è sempre Biffi a dirlo: «Contemplare alla luce della fede il “mistero” della Madre di Gesù, significa implicitamente raggiungere una più profonda comprensione dell’intima realtà di ogni donna… [che] trova in lei il suo archetipo e, dal momento del suo apparire sulla faccia della terra, attinge da lei ogni suo originario valore. Anche quando non se ne rende affatto conto, col suo stesso normalissimo esistere, ogni donna allude all’umile e regale fanciulla di Nazareth e a tutto ciò che la “benedetta tra le donne” evoca agli occhi del suo Creatore. Perché ogni donna riproduce e ripresenta il mistero di Maria, il suo senso ultimo e vero, anche qualora sia lontanissimo dai suoi pensieri: quello di essere intrinsecamente segno e allettante richiamo “naturale”… al prodigio dell’incarnazione, al piano eterno di salvezza. In ultima analisi, ogni figura femminile, quando non si mimetizza o non si deturpa tradendo la propria costituzione e la propria vocazione, è una mirabile epifania della divina Sofia, cioè del piano ideale che dall’eternità è stato vagheggiato e scelto… Ogni donna va dunque capita come un messaggio dell’eterno dove tutto è detto di ciò che davvero conta per noi».
Parole mirabili alle quali non mi sembra si possa aggiungere molto altro. Se non forse che, se tale è il ruolo di ogni donna proprio nella sua essenza, allora davvero molto grandi sono anche le sue responsabilità, perché attraverso di lei sembrano passare in primis i destini dell’intera umanità. E da sempre, fin da quel principio in cui Eva, caduta lei per prima nella tentazione di dire “no” a Dio, vi induce anche Adamo. E che ora Maria ribalta, perché è proprio attraverso il suo “sì” che tutta l’umanità può accedere addirittura alla figliolanza divina. E non pensiamo che Maria abbia potuto fare una scelta così importante perché concepita “Immacolata” e cioè senza le conseguenze del peccato originale e, dunque, diversa da ogni altra donna. La sua libertà di scegliere per il bene o per il male restava intatta. E del resto anche Eva, inizialmente, era esente da peccato. E anche ognuno di noi, oggi, se vuole, con la mediazione di Gesù, può tenere a bada tali conseguenze.
Quanto poi la chiamata della donna sia complessa e non si limiti alla sola procreazione è sempre Maria ad insegnarcelo. Ella infatti non è stata certo solo un utero per quanto importantissimo, perché il suo compito non finirà affatto con la nascita e l’allevamento di Gesù. Ella sarà anche “presenza” in tutti i più importanti snodi della vita di Gesù. A cominciare da Cana di Galilea, dove intuirà essere giunto il momento giusto perché Gesù iniziasse a mostrare quello che era davvero. Ai piedi della Croce, dove riceverà addirittura il mandato di una maternità universale. E infine nel cenacolo, dove accogliendo insieme con gli apostoli l’effusione dello Spirito, diventerà anche Madre della Chiesa, generatrice, dunque, non solo del corpo fisico di Gesù ma anche del suo corpo mistico, nato dalla sua morte e dalla sua risurrezione.
Ma, oltre a Maria, ci sono molte altre donne nel Vangelo che stanno a dimostrarci quale sia il tratto che Gesù usava con loro e, dunque, la considerazione nella quale le teneva. La Maddalena, per esempio, una convertita dal passato alquanto movimentato della quale fa addirittura la prima testimone della Risurrezione, infrangendo il tabù che negava validità alle testimonianze femminili. Le due sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, verso le quali dimostra la stessa amicizia che aveva con il fratello. Ma anche, e forse soprattutto, nell’incontro con loro mette in luce come anche la donna abbia aperte davanti a sé, senza discriminazione alcuna, le profondità mistiche dell’incontro con Dio. Compresa, dunque, la via di quella verginità per il Regno che è una novità per Israele e che apre gli orizzonti oltre la coppia, sia per gli uomini come per le donne. A patto, tuttavia, che le donne per prime se ne accorgano senza disperdersi troppo in ciò che è relativo: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno: Maria si è scelta la parte migliore» (Lc 10,41). Stesso discorso per la samaritana, non certo di specchiati costumi e per di più “nemica” di Israele, alla quale svela addirittura i misteri più alti legati alla sua venuta come Messia. Ma anche le tante altre donne che implorano miracoli di guarigione per se stesse o per i loro cari e che, avendogli toccato il cuore per la loro fede e capacità di amore, li ottengono. In una parola, Gesù lascia che tutti, compresi i bambini, accorrano a lui perché il suo annuncio di salvezza non conosce alcuna discriminazione. Quello stesso Gesù che, quando viene esplicitamente provocato sul rapporto uomo-donna, si pronuncia con grande chiarezza: l’adulterio è peccato grave che non riguarda certo soltanto le donne: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Quanto poi al matrimonio non ci sono scappatoie: è vero, Mosè per la durezza dei cuori ha permesso il ripudio. Ma ora le cose vanno poste in modo diverso. Occorre tornare al principio. Al disegno di Dio originario nel quale l’amore e il rispetto tra un uomo e una donna uniti in matrimonio devono escludere non solo i gesti concreti, esterni, contro l’amore ma devono entrare fin nell’intimo. Devono raggiungere gli stessi pensieri, le stesse intenzioni.
Davvero, dopo questa pur breve disanima, è ancora possibile in qualche modo sostenere che il cuore di Dio possa battere in modo diverso per uomini e donne? Che i primi abbiano un ruolo più importante delle seconde? Non mi sembra proprio. Ma forse le difficoltà iniziano quando la Chiesa muove i suoi primi passi e si trova a dover mettere in pratica quanto da Gesù e da Maria aveva appreso? Lo vedremo la prossima volta. (continua)
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 56 – 57
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