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12.12.2024

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Le Orsoline di Valenciennes
31 Gennaio 2014

Le Orsoline di Valenciennes

 

 

Il 30 settembre 1790 i commissari politici della municipalità di Valenciennes si presentarono alla porta del convento delle suore orsoline. La Costituente rivoluzionaria aveva ordinato di fare l’inventario dei beni della comunità perché, nel quadro dell’imminente abolizione degli ordini religiosi, tali beni dovevano diventare proprietà della Nazione. Come ebbe a sbottare lo storico francese Pierre Chaunu (protestante e liberale) all’ora del bicentenario della Rivoluzione, «i beni della Chiesa, che da secoli mantenevano scuole e ospedali, vennero accaparrati da una masnada di ottantamila famiglie di ladri ». Si riferiva alla nomenklatura rivoluzionaria, che trasformò la sua fame di denaro in guerra di religione. Alle orsoline di Valenciennes venne chiesto se avevano intenzione di perseverare nel loro «fanatismo» o preferivano la «libertà». Le suore erano trentadue in tutto e per loro rispose la superiora, madre Clotilde Paillot: preferivano restare fanatiche e continuare la loro opera nel collegio femminile che gestivano. I funzionari della nuova Francia Una & Indivisibile fecero il loro lavoro, stilarono verbale e se ne andarono. Segui- Le Orsoline rono un paio d’anni convulsi, nei quali il regime giacobino si avvoltolò nella confusione. Il re fu ghigliottinato e cominciò il Terrore, mentre gli eserciti repubblicani si battevano contro la coalizione delle Potenze europee, aggredite, con alterne vicende. Le orsoline di Valenciennes tirarono avanti alla meno peggio, dimenticate, per il momento, dai giacobini. Ma non poteva durare. Valenciennes, in diocesi di Cambrai, si trovava proprio nella zona di frontiera più esposta alla guerra. Nel settembre del 1792 la città venne assediata dalle truppe della coalizione e i repubblicani francesi requisirono i locali del convento per farne acquartieramenti. Le suore dovettero sloggiare. Messe in strada su due piedi, partirono per Mons, in Belgio, dove c’era un altro convento del loro ordine. I legami con Mons erano stretti anche per un altro motivo: da qui era partito il gruppetto che nel 1654 aveva fondato la comunità orsolina di Valenciennes. Ma nel novembre i francesi vinsero a Jammapes e occuparono Mons. Così, in pieno inverno, le suore dovettero scappare anche da lì. Nel marzo dell’anno seguente i francesi vennero sconfitti dagli austriaci a Neerwinden e furono costretti a ripiegare abbandonando Mons. Le suore poterono rientrare nel loro convento.
Frattanto, la fuga dei francesi continuava e il 29 luglio 1793 la stessa Valenciennes dovette essere da loro evacuata. Gli austriaci, entrati in città, per prima cosa restituirono agli ordini religiosi le loro case. Fu così che le superstiti orsoline poterono tornare. La maggior parte di loro era rimasta a Mons, alcune altre si erano sparpagliate dove avevano trovato posto. Una scarsa decina aveva deciso di seguire la superiora a Valenciennes. Il convento era stato, ovviamente, saccheggiato dai rivoluzionari, ma i muri erano ancora in piedi e le suore, sia pur con fatica, ripresero la loro attività.
Ma era destino che non potesse durare neanche questa volta. Il 26 giugno 1794 i francesi vinsero clamorosamente a Fleurus e ricacciarono indietro gli austriaci. Il 26 agosto, eccoli di nuovo a Valenciennes. Con le truppe arrivò anche il rappresentante della Convenzione, Jean-Baptiste Lacoste, un fanatico sanguinario che aveva una sola ossessione: la ghigliottina. Alcune suore scapparono, la superiora e poche altre scelsero di rimanere. Lacoste cominciò col mettere in prigione i «sospetti» e sguinzagliò i suoi sgherri dietro alle suore fuggiasche, che furono riprese. Poi chiese l’invio di una ghigliottina, perché la città ne era priva e lui non poteva lavorare senza il suo strumento preferito. Per via delle lungaggini burocratiche la ottenne solo il 13 ottobre, quando il colpo di stato del «9 Termidoro» (27 luglio) era già avvenuto. Con quel golpe, tutto interno al regime rivoluzionario, Robespierre era caduto e il Terrore era finito.
Ma Lacoste fece finta di niente, approfittando della confusione che regnava a Parigi e del momentaneo imbarazzo delle autorità dipartimentali, che non sapevano ancora con certezza chi comandasse nella capitale. Il suo sogno era vedere la “Vedova” in funzione e l’indomani stesso fece decapitare cinque persone che lui medesimo aveva provveduto a condannare a morte. Nel carcere cittadino aveva fatto rinchiudere centosedici accusati, tra i quali abbondavano i preti e le suore. Serrati in pochi locali, in una promiscuità ributtante, quasi tutti gli arrestati si confessarono e comunicarono con i sacerdoti presenti. Il 17 ottobre cominciò il processo ai preti «refrattari» e alle suore, accusate di tradimento e di emigrazione.
Tra le orsoline, quel giorno alla sbarra c’erano Marie-Louise Vanot, sessantasei anni, Jeanne-Régine Prin, quarantasette, Augustine- Gabrielle Bourla, quarantotto, Marie-Géneviève Ducrez, trentotto, Marie-Madeleine Déjardin, trentaquattro. Il dibattimento in aula durò pochi minuti e si concluse con la condanna a morte, eseguita nello stesso giorno. Il secondo gruppo di religiose fu processato il 23. Tra loro c’era la superiora, madre Clotilde, cinquantacinque anni. Con lei erano imputate Laure-Marguerite Leroux, quarantacinque, e sua sorella Anne-Joséphine, quarantasette. Comparvero davanti al Lacoste anche due suore brigidine, arrestate nottetempo: Marie-Livie Lacroix, quarantun anni, e Marie-Augustine Erraux, trentadue. Queste, rimaste praticamente sole dopo la devastazione del loro convento, avevano chiesto di potersi unire alle orsoline perché intendevano restare in religione ma non sapevano più dove andare. L’ultima alla sbarra era una suora che non aveva fatto in tempo a pronunciare i voti definitivi: Jeanne-Louise Barré, quarantaquattro anni. Anche loro furono, naturalmente, condannate a morte. Le suore non permisero che venissero loro messe le mani addosso. Si tagliarono i capelli l’un l’altra e lo stesso fecero con i colletti. Dietro l’esempio della madre superiora, vollero baciare le mani dei giudici e del boia, in segno di perdono per i loro carnefici. La più giovane fu spinta per prima sul patibolo ma, a un cenno della superiora, cedette rispettosamente il passo a quest’ultima.
Qual sia stata l’utilità pratica, per la Francia della Liberté- Egalité-Fraternité, dell’omicidio di queste religiose lo lascio alla vostra immaginazione. Le martiri del fanatismo ideologico di Jean-Bapiste Lacoste (che fece carriera e diventò prefetto napoleonico durante l’Impero, concludendo tranquillamente i suoi giorni nel suo letto) sono state beatificate dal papa Benedetto XV nel 1920, insieme a quattro suore vincenziane, Figlie della Carità, che subirono la stessa sorte ad Arras. La Chiesa le ricorda come Martiri di Valenciennes e le commemora il 17 ottobre.

 

 

 

 

IL TIMONE n. 109 – Anno XIV – Gennaio 2012 – pag. 20 – 21
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