La rinuncia all’educazione, la falsa libertà e la pornografia: sono queste le vere cause della violenza giovanile nelle scuole. Per combatterla bisogna tornare ad educare.
Ciò che stupisce nei sempre più frequenti allarmi lanciati dai mass media e dalla cosiddetta società civile è proprio il loro candido stupore. Il quale è figlio diretto della peggiore malattia di questa epoca: l’incapacità di collegare tra loro causa ed effetto, fatti e conseguenze. Con un po’ di sarcasmo e tanta amarezza potremmo affermare che la famosa frase di Goya, utilizzata anni fa per un tema degli esami di maturità, è finalmente giunta a compimento: il sonno della ragione sta generando mostri. Prendiamo il caso delle violenze a scuola, e non solo lì: quello che ferisce, più ancora dei maltrattamenti o del bullismo, è l’assoluta mancanza di ordine morale e di rispetto. Come se tutto fosse lecito, tutto fosse inarrestabile.
Perché? Quale brutale cambiamento ha generato questi barbari, che popolano la nostra civiltà distruggendola dall’interno?
Alla radice c’è il disconoscimento, per ideologia, delle più semplici norme dell’antropologia; della comprensione cioè che l’uomo è costituito da quattro elementi di base: due di essi attengono alla sua parte materiale, sensibile, corporea, gli altri due alla sfera spirituale, non tanto nel senso di religiosa, quanto di non tangibile. Ed esiste un ordine che li dovrebbe governare. Già i filosofi antichi avevano parlato di tri- o tetra- partizione dell’anima, proprio partendo dall’analisi del comportamento umano.
Dunque i ricettori materiali, potremmo dire usando un linguaggio moderno, le interfacce tra la realtà, che è concreta, e l’interiorità sono due: gli istinti e la sensibilità, termine questo complesso che cerca di descrivere il sentire interno della persona e che comprendere stati d’animo, sentimenti, emozioni, passioni. In due parole stiamo parlando di corpo e cuore. Tali fattori raccolgono le stimolazioni dal mondo esterno, le elaborano secondo la fisicità e le propongono alle facoltà superiori per essere giudicate ed indurre all’azione. Per definizione queste sensazioni sono forti e positive: per natura è così. Nominiamo alcuni istinti o alcune passioni/sentimenti: sono tutti vigorosi (istinto di sopravvivenza, di difesa, fame, freddo, rabbia, infatuazione, paura…) e servono a lanciare forti segnali all’intelletto e alla volontà perché svolgano il loro compito.
La mediazione di queste ultime funzioni è necessaria per giudicare con ragione e per agire: l’intelletto, formato dall’educazione e dall’esperienza, analizza e giudica per poi porgere l’oggetto del suo ragionamento alla volontà, la cui applicazione permette all’uomo di agire.
Così come l’intelletto deve essere plasmato con la conoscenza e la saggezza – la prima offre i dati grezzi, la seconda dà a loro profondità secondo verità – anche la volontà va allenata e forgiata: anche se ho una chiara percezione razionale della necessità di alzarmi ora per andare a lavorare o a scuola, la mia volontà può essere ancora addormentata ed non indurmi a farlo.
Dunque fino a quando la volontà non agisce, nulla accade. Ora che cosa intorpidisce la volontà? Sicuramente il non-uso, che finisce per atrofizzarla. Perché la volontà non si usa? Perché l’intelletto non la stimola o non trova sufficienti motivazioni per attivarla. Come può accadere tutto questo?
E se non è la volontà a indurmi ad agire che cosa mi muove? Ripensiamo a quanto detto: l’istinto e/o il sentimento mi colpiscono, ma non trovano né una mediazione razionale né l’azione della volontà, dato che sono sopite o annichilite. Dunque sono loro ad agire. Agisco per effetto e forza dell’istinto o dell’emotività. Come un animale, di fatto. Come un essere non-umano. Come chi è “incapace di intendere e di volere”, definizione legalistica che descrivere una persona che ha perso, momentaneamente o definitivamente, la capacità di essere responsabile dei propri atti.
Perché accade questo? Due le cause: innanzitutto la volontà di per sé sembra agire solo in senso negativo. Trattiene. Se l’istinto mi dice di continuare a mangiare la volontà di dice che due pizze possono essere sufficienti. Se mi sento di bere ancora, la volontà mi dice di smettere di buttare giù alcolici. Se avessi una gran voglia di prendere a sberle questo tipo, la volontà mi dice di controllarmi. Non è solo questo il compito della volontà, bene inteso, ma di sicuro rispetto alla fisicità della persona, la sua azione sembra andare in controtendenza, contropelo. L’altra ragione è che questo, secondo la mentalità corrente, significa essere condizionati. La libertà sarebbe azione pure irriflessa. Osserviamo come proprio i vocaboli utilizzati dai predicatori di questa libertà dimostrino che si tratta di una libertà irrazionale e disumana: secondo loro dovremmo essere spontanei, immediati, sensibili. Tre termini per negare la mediazione della ragione e favorire l’azione secondo ciò che sento e non ciò che ragiono e voglio.
Che cosa ha a che fare tutto questo con il bullismo e la violenza? Tutto. Se la volontà non è allenata all’uso, se per definizione la si vuole sottomessa all’istinto, se per libertà si intende l’agire spontaneo, se infiniti messaggi stimolano proprio la sensibilità, come possiamo poi pretendere che resista un ambito in cui la volontà possa agire per calmierare la violenza? La società di oggi potrebbe essere definita pornografica: che cos’è infatti la pornografia? L’esaltazione della volgarità, specie di quella che ha a che fare con la sessualità, che se non è l’istinto più forte poco ci manca (vale la pena di dire che l’eccitazione, come ogni altro istinto, è in sé neutro. E’ l’uso che di ogni istinto si fa che determina se si è agito bene o si è agito male). La società è pornografica perché sembra costruita sull’esaltazione della sessualità: le pubblicità, l’abbigliamento, la musica, i giornali, i libri insomma tutto vive in uno stato di perenne eccitazione che produce fortissime stimolazioni ormonali. Non solo, ma a queste dosi massicce di istintualità si associa il messaggio, devastante, che tutto questo è bene, è buono, è bello. Quali le conseguenze? L’annichilimento della volontà dopo quello della ragione. La pornografia più perniciosa non è quella che gira su internet, ancorché la produzione di video amatoriali di ragazzine che si spogliano davanti alla webcam per mettersi in mostra sulla rete produca profonda amarezza, dato che questa – anche se in minima parte – mantiene l’etichetta di cosa turpe: quella più pericolosa è quella che gira per le città sotto forma di cartelloni pubblicitari, etichette di vestiti, pance scoperte, magliette aderenti e così via.
Ora, come si può realmente pensare che una persona, un adolescente, al quale è stato detto di fare ciò che vuole perché libero è bello, che viene di continuo pungolato a reagire positivamente alle proprie stimolazioni, che viene indotto a consumare sesso in svariate forme senza nessuna remora, si fermi davanti ad un professore che timidamente chiede silenzio?
Marcello Veneziani fa saggiamente notare nel suo ultimo saggio Contro i barbari «Quando decade una civiltà? Quando le aspettative vengono trasferite nel privato, attengono esclusivamente all’individuo e al suo stare bene, a prescindere dal contesto». La nostra epoca sta implodendo in questo modo: esaltando il benessere personale privo di dimensione morale e rinunciando ad educare. La scuola e la famiglia non educano più: la prima si limita a fornire nozioni e ambienti di socializzazione, come se il gruppo potesse essere la soluzione a tutti i problemi. La seconda si sbriciola sotto i colpi dell’emotività e della soddisfazione personale. Della politica meglio non accennare neppure.
La violenza a scuola ha radici profonde, per combatterle non serve una Authority, bensì portarle alla luce per estirparle. Bisogna avere il coraggio di farlo.
Bibliografia
Marcello Veneziani, Contro i barbari, Mondadori, 2006.
Paola Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, Guanda, 2004.
IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 – pag. 52 – 53