Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

12.12.2024

/
L’ebreo convertito
31 Gennaio 2014

L’ebreo convertito

 

 

 

 
La storia di una conversione clamorosa: un ebreo famoso, anticlericale convinto, che si converte a Cristo dopo un’apparizione miracolosa. Accadde a Roma nel 1841.
 
 
 
Tobia De Ratisbonne nasce il primo maggio 1812 a Strasburgo, da una famiglia molto influente della comunità ebraica. Nutrì da sempre una intrinseca, viscerale avversione per tutto ciò che fosse cristiano, peggio ancora se cattolico. Una idiosincrasia che lo portò ad allontanarsi dal fratello Teodoro fino a ripudiarlo per aver aderito al cattolicesimo facendosi sacerdote nel 1830, anno in cui avvennero le apparizioni della Vergine a S. Caterina Labourè, nella cappella di Rue du Bac a Parigi.
Teodoro diventerà oltretutto uno dei maggiori assistenti del parroco di Nostra Signora delle Vittorie e promulgatore infervorato della devozione all’Immacolata della “Medaglia miracolosa”, alla quale affiderà quotidianamente il fratello con ardenti orazioni.
L’8 dicembre 1841, Tobia, ventinove anni e laureato con ottimi voti in giurisprudenza alla Sorbona di Parigi, prossimo alle nozze e con una brillante carriera finanziaria, è a bordo di una nave partita da Marsiglia e diretta verso Gerusalemme. Lo scalo è a Civitavecchia.
Il De Ratisbonne, tra l’allarmato e l’incuriosito, si avvicina a un suo compagno di viaggio interrogandolo su cosa fossero quei strani boati che percepiva. La risposta fu immediata: «Oggi è la festa dell’Immacolata Concezione di Maria e le batterie del porto sparano a salve in onore della loro celeste Patrona». La collera si impadronì di Tobia, che all’istante decise di annullare la sosta a Roma che aveva programmato. La “stupida città del Papa” (come la definì) gli dava la nausea e non avrebbe voluto passare del tempo in mezzo alla superstizione che albergava incontrastata tra gli abitanti.
La sua coerenza di pensiero era indiscutibile e sotto gli occhi di tutti. Spinto però, forse dall’interesse per la Roma dei Cesari, forse da un’avaria della nave, forse da quel Qualcuno che si ostinava a rifiutare (le fonti sono discordanti, occorre precisarlo, è l’unico punto sul quale le versioni appaiono diverse), fatto sta che decide di recarsi nella Città Santa partendo da Napoli, dove era sbarcato in un primo tempo. La mattina del 20 gennaio 1842 troviamo Tobia de Ratisbonne sulla carrozza del barone Teodoro de Bussières, fervente cattolico (amico oltretutto del fratello) che lo ha ospitato a Roma nei giorni precedenti. De Bussières è un nobile e ricco patrizio, decisamente molto gentile, il quale, per farsi sdebitare dell’ospitalità, chiese a Tobia di portare la medaglia miracolosa, proprio quella medaglia della quale il fratello Teodoro, oltretutto omonimo di De Bussières, aveva da sempre diffuso il culto. Tobia aborriva quello che riteneva uno strano “amuleto”, “un feticcio”, così come aborriva il dover trascrivere la celebre preghiera di San Bernardo: «Ricordati, Vergine Maria, che non si è mai sentito al mondo…». Fu il suo essere galantuomo che lo dissuase dal deridere colui che tanto fece e tanto si prodigò per la riuscita del suo soggiorno romano e dunque dall’aderire, seppure obtorto collo, alla “pratica”.
Quella mattina, si diceva, de Bussiéres stava andando nella chiesa di S. Andrea delle Fratte per mettere a punto gli ultimi preparativi del rito funebre di un diplomatico. Quella chiesa era ubicata vicino a piazza di Spagna ed era quella che la stessa Santa Teresina frequentava con il papà e Celina durante la sua permanenza romana, nel novembre 1887; ubicata nei pressi del luogo dove per la devozione all’Immacolata sorgerà la famosa colonna, in ricordo del dogma di Pio IX, sarà poi nota come “Chiesa del miracolo”.
Tobia de Ratisbonne avrebbe voluto attendere fuori, ma, forse la noia, forse Altro, lo spinse a varcare la soglia di quella chiesa: in realtà, ancora non sapeva che avrebbe varcato la soglia di una nuova vita, la soglia della speranza. Ben presto, infatti, come ebbe a scrivere: «All’improvviso mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi scendere un velo davanti a me. La chiesa mi sembrò tutta oscura, eccettuata una cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là… Levai comunque gli occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi sull’altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall’aria misericordiosa, la Santa Vergine Maria, simile, nell’atto e nella struttura, all’immagine della medaglia che mi era stata donata perché la portassi… Alla sua presenza, benché ella non abbia detto alcuna parola, compresi di colpo l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica: in una parola, compresi tutto di colpo».
Da quel preciso istante la metamorfosi, a cominciare dal battesimo ricevuto con fervore dieci giorni dopo e l’adesione al cattolicesimo più stretto. Scelse il nome di Alphonse-Marie. Non il fanatismo, ma la razionalità, la lucida ragione ci insegnano che questo improvviso cambiamento che durò con coerenza per tutta una vita non possa essere un mero fenomeno di autosuggestione. Non solo non manifestava più odio, ma non era nemmeno sfiorato da un’ombra di dubbio: le verità della fede per lui erano ormai evidenza, non aveva bisogno di credere, le tastava al punto che a nulla servirono le aggressive dissuasioni dei suoi familiari e degli ebrei suoi conoscenti.
Nello stesso anno dell’apparizione, il Vicariato di Roma costituisce una commissione apposita al fine di comprendere e discernere l’autenticità dell’evento. Fu un lavoro tutt’altro che sbrigativo, non ci si fece prendere da facili ottimistici entusiasmi, furono vagliate testimonianze e dichiarazioni fino a quando il cardinale Costantino Patrizi firmò un decreto nel quale dichiarò come «istantanea e perfetta» la conversione, dalla religione ebraica, di Alphonse-Marie, avvenuta in concomitanza con l’apparizione della Vergine.
Questa è la storia di un uomo che il successivo 24 settembre 1848 fu ordinato sacerdote a Laval, quindi si recò in oriente dove dedicò tutta la sua vita alla conversione degli ebrei a Cristo, fondando, insieme al fratello, la congregazione di Nostra Signora di Sion (www.sion.org) e dedicandosi con instancabile zelo apostolico ai giovani e agli orfani. Neppure la morte l’avrebbe più tormentato, al contrario, il suo anelito era proprio quello di entrare nella vita senza fine per poter godere dell’amore di Dio e rivedere eternamente quel volto materno che trasformò la sua vita. Note sono infatti le sue ultime parole, pronunciate con umiltà e nella convinzione di essere peccatore: «Perché mi tormentate con le vostre cure? La santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di Lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto!». Si spegne nel mese mariano di maggio del 1884 ad Ain Karin, il luogo che la tradizione sostiene essere quello della Visitazione di Maria a Elisabetta.
Questo episodio, così palesemente inconfutabile («Se è vero che a una teoria si può contrapporre un’altra teoria, chi potrà mai però riuscire a confutare una vita?») della storia umana, testimonia con assoluta evidenza l’amore e al tempo stesso l’autenticità del Dio cattolico che ci dona tutto per mezzo di Maria, Sua Madre e Madre della Chiesa.
 

RICORDA

«Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». (Vangelo di san Giovanni 5, 23-24).
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 52 – 53
I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista