Su che cosa si può fondare la convivenza umana? Ogni matrimonio valido è indissolubile o soltanto quello cristiano? La legge naturale come risposta a un bisogno reale
Nella sua “enciclica di Milano”, in occasione del VII incontro mondiale delle famiglie, il Papa ha insistito in più di un’occasione sull’importanza della legge naturale come fondamento della vita pubblica della nazione, richiamando anche quanto aveva detto nel discorso al Parlamento tedesco nel viaggio apostolico in Germania.
La legge naturale secondo il Catechismo
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la legge naturale esprime il senso morale originale che permette all’uomo di discernere, per mezzo della ragione, il bene e il male, la verità e la menzogna» (CCC 1954). Essa si fonda su due perni che non devono essere mai separati, pena il non comprenderla adeguatamente, «l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso» (CCC 1955), perché la natura umana è disposta a sottomettersi veramente soltanto nei confronti di chi viene amato e con il quale si aspira a condividere il maggior numero di cose possibili.
La migliore sintesi della legge naturale è espressa nel Decalogo e viene chiamata naturale, ci ricorda sempre il Catechismo, «non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana» (CCC 1955). Presente nel cuore di tutti gli uomini, essa è «universale», anche se può essere applicata in modi molto diversi secondo i luoghi, le epoche e le circostanze, così come è «immutabile», rimanendo inalterata di fronte ai mutamenti della storia: potrà essere negata dalle leggi positive, e spesso è accaduto in passato e continua ad avvenire nella stessa modernità, che ha dato alla trasgressione della legge naturale un tentativo di giustificazione ideologica. Tuttavia, non può essere estirpata dal cuore dell’uomo. È capitato anche all’interno di regimi totalitari che uomini cresciuti ed educati in un contesto che prescindeva completamente da essa, abbiano saputo riconoscerne e amarne i principi fondamentali. È il fondamento morale indispensabile per la convivenza degli uomini ed è anche necessaria per la legge civile: senza di essa, senza quelli che oggi il Magistero indica come “principi non negoziabili”, è praticamente impossibile immaginare una convivenza che non si fondi sull’arbitrio o sul solo interesse.
La difficoltà nell’osservarla
La legge naturale è qualcosa di oscuro all’uomo contemporaneo, soprattutto al giovane nato e cresciuto nel tempo postideologico, successivo al 1989, segnato “dalla dittatura del relativismo” e dal trionfo del cosiddetto “pensiero debole”. Essa evoca concetti difficili da comprendere per chi è cresciuto nella cultura dell’assenza di riferimenti stabili, addirittura perenni. Una delle domande rivolte al Papa nella sera di sabato 2 giugno a Bresso da una giovane coppia esprimeva proprio questa difficoltà e la paura di stare insieme “per sempre”.
“Per sempre” non significa soltanto che finirà soltanto con la morte di uno dei coniugi, ma fa riferimento anche a qualcosa che ha il suo fondamento nel modello originario, per cui il fondamento dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio sta in un progetto predisposto dal Creatore per il bene degli stessi sposi e della società alla quale gli sposi appartengono.
È molto difficile? Sì, è difficile, e non soltanto nell’epoca moderna caratterizzata, dopo il Sessantotto, dalla precarietà e soggettività di qualsiasi tipo di relazione, ma è sempre stato difficile.
Il dialogo di Gesù con gli ebrei del suo tempo ne è una conferma e il Signore avverte che se Mosè aveva concesso ai loro antenati la possibilità di ripudiare la moglie ciò era avvenuto per la durezza del loro cuore, non perché fosse lecito. All’inizio non era così, disse Gesù, per ricordare il progetto originario di Dio, quello cui guardare e attenersi. Un progetto caratterizzato dal significato dell’amore, che è tale solo quando è totale, senza condizioni di tempo, appunto “per sempre” (cfr. Mt 19,3-9).
Questo tipo di amore non è né sentimentale né romantico, come spiega sempre il Papa nella sua “enciclica di Milano”, ma implica l’intervento della ragione e della volontà. La Chiesa, ricorda Benedetto XVI, non chiede agli sposi se sono innamorati, ma se vogliono unirsi per sempre ed essere fedeli nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore, cioè quando le cose vanno bene, ma anche quando sorgeranno difficoltà. L’immagine evocata dal Papa è molto suggestiva e richiama le nozze di Cana (cfr. Gv, 2), dove Gesù compì il primo miracolo cambiando l’acqua in vino e permettendo allo sposo di servire, alla fine della cerimonia, il vino migliore: nella storia di un matrimonio c’è l’innamoramento iniziale, ma l’amore più significativo è quello finale, quando le condizioni umane sono cambiate e non sono più quelle, idilliache, dell’inizio.
L’indissolubilità di ogni matrimonio
Tutto questo non deve però fare credere che unità e indissolubilità riguardino soltanto i cristiani. Il matrimonio è indissolubile nella sua costituzione originaria, anche se venisse contratto da non battezzati: «L’amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l’unità e l’indissolubilità della loro comunità di persone che ingloba tutta la loro vita» (CCC 1644). Certo, i battezzati hanno l’aiuto della grazia che proviene dal sacramento con il quale Gesù ha voluto purificare ed elevare il matrimonio, ma appunto ha elevato qualcosa che esisteva in natura, cioè nel progetto di Dio creatore. Nelle altre culture, pagane o post cristiane, il matrimonio è presente sempre come luogo dove un uomo e una donna si accolgono per aiutarsi e per trasmettere la vita, rispondendo a un’attrazione reciproca e fondando una comunità che permetta loro di aiutarsi reciprocamente e di completarsi. Il cristianesimo ha purificato e perfezionato ciò che ha trovato, nel senso che in alcune culture non era prevista la fedeltà reciproca, in altre vi era la poligamia, addirittura praticata da Patriarchi e grandi santi dell’Antico Testamento. E la pratica della fedeltà è rimasta difficile anche nei secoli della cristianità, quando i costumi sono progressivamente migliorati.
Difficile però non significa che non ci sia un modello, una meta a cui guardare e tendere.
Se esiste una possibilità reale di ricostruire la convivenza umana, di comunicare fra culture e religioni diverse, bisogna partire dall’ordine della creazione, dal disegno originario di Dio sulle relazioni fra le persone ossia da quella che più semplicemente si chiama legge naturale. Questo vale per la società, per i grandi problemi politici relativi alla convivenza dei popoli, ma vale ancora di più per la cellula fondamentale della società, la famiglia, che nasce dal matrimonio, indissolubile nella sua costituzione originaria.
RICORDA
«Come si riconosce ciò che è giusto? Nella storia, gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso: sulla base di un riferimento alla Divinità si decide ciò che tra gli uomini è giusto. Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio».
(Benedetto XVI, Discorso pronunciato al Parlamento federale di Germania, 22 settembre 2011).
IL TIMONE N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 58 – 59
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