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15.12.2024

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L’Enciclopedia
31 Gennaio 2014

L’Enciclopedia

 

 

 
 

Tempo fa, scorrendo la rubrica di posta che Paolo Granzotto tiene su Il Giornale, più volte mi sono imbattuto in lettori che si lamentavano di certe voci dell’enciclopedia allegata al quotidiano «Repubblica», voci troppo, a parer dei lettori suddetti, schierate a sinistra, specialmente quelle tipo «Antifascismo».
Mi è venuto in mente, chissà perché, che l’ideologia può benissimo manifestarsi anche in altre voci, come, che so, «Proprietà » o «Malattia». Poi ho pensato che le enciclopedie sono opere di sporadica consultazione, in cui di solito si va a guardare solo le voci più astruse. Ma di colpo ho capito perché mi era balzato quel pensiero: nel 1989, bicentenario della Rivoluzione Francese, una cosa del genere l’avevo letta sfogliando il classico La rivoluzione francese di Pierre Gaxotte, Accademico di Francia. E giusto nelle pagine riguardanti l’Encyclopédie (diciassette volumi, più undici di illustrazioni, più i supplementi, pubblicati tra il 1751 e il 1772). Dovrebbe essere l’Opera (col maiuscolo) dei Lumi (altro maiuscolo), inizio del mondo contemporaneo e capostipite di tutte le enciclopedie a seguire. Invece, cosa (ri)leggo? «In realtà, i philosophes esaltarono ad occhi chiusi e senza ben conoscerle le acquisizioni scientifiche del tempo, poiché, dal progresso delle conoscenze, potevano ricavare argomenti contro la tradizione, il cattolicesimo, la storia e l’autorità». Passa per lavoro soprattutto di Diderot e D’Alembert, invece tutto l’apporto di quest’ultimo fu la prefazione e alcuni «articoli di matematica (avendo cura di dimenticare quanto era dovuto a Eulero)». Fu il solo Diderot l’anima dell’opera.
Però, «eseguì molto male il suo lavoro di segretario di redazione. L’Encyclopédie è una raccolta eteroclita, zeppa di errori, ingombra di dichiarazioni inutili, senza unità di tono né di spirito, con degli articoli buoni, altri inconsistenti, altri ancora presi da libri di terz’ordine».
Ma non avevamo studiato che vi misero mano le intelligenze migliori del tempo? «Non è esatto dire che tutti i grandi intelletti del secolo abbiano collaborato al dizionario. L’unico apporto di Montesquieu è un supplemento alla voce “Gusto”». Ancora: «Buffon non collaborò» (cioè, il maggior naturalista dell’epoca). Voltaire «si ritirò contemporaneamente a D’Alembert dopo avergli soffiato la voce “Ginevra”, che mise in urto i philosophes e Rousseau». Continua l’impietoso Gaxotte: «Alcuni articoli si prestano al riso: la voce “Alpi” ha sei righe, la voce “Francia” una colonna e un quarto, ma la voce “Ebrei” ha ottantadue pagine».
Il Gaxotte sorvola sulla voce «Negri» (dove avrebbe trovato quasi solo insulti), forse per carità di patria. Ma si stupisce che sotto «Francia» si legga: «Sono del tutto dispensato dall’entrare in dettaglio sullo stato attuale del regno…esso non è ignorato da nessuno». E annota: «Strana enciclopedia». In effetti, più che strana la definirei furba: posto come la pensavano gli illuministi, uno sarebbe stato tentato di andare a cercare proprio la voce «Francia» per trovarvi peste e corna sulla monarchia d’antico regime. Invece leggeva qualcosa del genere: cos’è la Francia lo sanno tutti.
Contando sul fatto che nessuno legge le enciclopedie dalla prima parola all’ultima ma consulta solo le voci che via via gli interessano, quei mattacchioni avevano infilato il veleno in voci all’apparenza innocue. Se ne accorge anche il Gaxotte: «In cosa consiste allora l’importanza dell’opera? Nelle sue audacie antireligiose? Un po’, anche se bisogna andarle a cercare dove non ci aspetteremmo di trovarle». Magari in quelle che si occupano del lavoro nei campi. Gaxotte, comunque, la trova, «l’importanza dell’opera». E la trova «nella dottrina generale che scorre sotto le voci più disparate». Infatti, l’opera esprime ciò che sarebbe diventato lo spirito del secolo: «l’avversione per il soprannaturale». Di più: «è il vessillo della cabala letteraria e filosofica meglio organizzata, della società di mutua ammirazione più impudente, della macchina propagandistica più solida, più intollerante, più offensiva che si sia vista fino ai giorni nostri». Voltaire scriverà: «È arrivata l’ora in cui tutti i filosofi devono unirsi» e «radunatevi e sarete i padroni», anticipando Marx (del quale è nota la dichiarazione: «Non è più il tempo in cui i filosofi interpretavano il mondo, ora devono cambiarlo»).
Visto che siamo a Voltaire, sono istruttive altre sue righe: «Dobbiamo screditare gli autori (che non la pensano come noi); dobbiamo abilmente infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose; dobbiamo presentare le loro azioni sotto una luce odiosa…Se ci mancano i fatti, dobbiamo farne supporre l’esistenza fingendo di tacere parte delle loro colpe. Tutto è permesso contro di essi…; incitiamo i magistrati a punirli…Colpite e nascondete la mano». Commenta il Gaxotte: «Alla minima critica, alla minima replica, anche alla più moderata, anche alla più cortese, si grida alla calunnia, all’ingiuria, alla satira “atroce”, alla personalità “infame”, ma poi si trattano gli avversari da birbanti, da sodomiti, da ingrati, da serpenti, da vipere, da pupazzi di melma, da furfanti, da evasi dalle prigioni, da ipocriti, da pazzi, da talpe della polizia…».
Sembra di sentire i cori, italiani e attuali, contro il governo di centro-destra e il suo capo. Nulla di strano, dal momento che stiamo parlando della madre e del padre di tutti gli –ismi che sono seguiti. Vien la tristezza, comunque, al pensiero che c’è stato un tempo, quasi tre secoli fa, in cui tutto ciò non era pane quotidiano, non era l’aria che si respirava, non era il rumore continuo di sottofondo, non era l’orizzonte che costringeva il nostro sguardo ovunque lo girassimo: un tempo in cui si poteva vivere senza che la politica ci entrasse in casa a tutte le ore e si poteva addentare un biscotto senza doversi chiedere allarmati se gli organismi di cui era composto facessero male alla salute perché magari geneticamente modificati.

IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 20-21

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