Non appena uno chiude il Codice da Vinci, viene assalito da dubbi circa la fede. Corre a visitare il Cenacolo di Leonardo e sarebbe pronto a scommettere di scorgere inequivocabili forme femminili nel San Giovanni leonardesco.
È indubbio che la genialità di Leonardo e gli enigmi contenuti nelle sue opere e nella sua persona abbiano favorito l’inganno e le interpretazioni errate. Così, la famosa Gioconda dal sorriso enigmatico è diventata, nel romanzo di Dan Brown, l’autoritratto androgino di Leonardo mentre il nome «Mona Lisa» è divenuto l’anagramma di «Amon» e «l’Isa», due divinità egizie della fertilità. In realtà il dipinto ritrae una persona realmente esistita e identificata, dai più, con la moglie di Francesco del Giocondo detta, appunto, Monna Lisa (anche se non mancano identificazioni diverse come ad esempio l’identificazione con Caterina Sforza).
Allora nulla di allusivo e conturbante nell’Ultima cena di Leonardo?
Leonardo in realtà fu molto allusivo, ma con intenti e profondità del tutto diversi dalle rivelazioni del fantasioso romanziere.
Nel dipinto di Leonardo la lettera «M», che il Codice da Vinci vuole individuare nelle sagome di Giovanni l’evangelista e Gesù, altro non è che il risultato della struttura «a triangolo» conferita da Leonardo alle figure. Una scelta non insolita, questa, per il grande genio fiorentino, come non lo era per altri, basti pensare alla Vergine delle Rocce (citata dallo stesso Brown) o alla pietà giovanile di Michelangelo.
Il triangolo, con la sua base larga che culmina in un punto unico, esprime bene l’immagine di ciò che, saldamente ancorato alla terra, luogo di finitudine e di frammentarietà, anela a qualcosa di più alto, a un Cielo eterno e unificante.
Anche ciascuno di noi aspira a quel Cielo che unifica le nostre frammentarietà e compie il nostro desiderio di Dio.
Nell’Ultima cena leonardiana il compiersi dell’unità tra Cielo e terra è interrotto dal dramma. Infatti, Leonardo dipinge l’attimo in cui Cristo, allargando le braccia, come di lì a poco le allargherà sulla croce, esclama: «uno di voi mi tradirà». La parola e il gesto, come macigni nell’acqua, provocano l’agitarsi degli apostoli e il moltiplicarsi del pane sulla tavola. Gli apostoli ondeggiano come spighe scosse da venti contrari: un movimento parte da Gesù e si diffonde, dilatandosi, verso i discepoli; un secondo movimento parte dagli apostoli seduti ai lati della tavola e ritorna verso Gesù.
Eppure c’è un punto dove questo movimento s’infrange, come l’onda sullo scoglio, e s’arresta.
Guardiamo le mani del Salvatore. Non sono entrambe aperte. Solo la mano sinistra ha il palmo rivolto verso l’alto, la destra è colta nell’atto di indicare o di prendere qualcosa: un gesto speculare a quello della mano del traditore. Tra queste due mani, sopra queste due mani: il vuoto.
Dan Brown vede in questo vuoto la forma di un calice, il santo Graal, e lo pone in relazione con il coltello impugnato dall’apostolo Pietro, leggendo nei due simboli, calice e coltello, un rimando all’unione sessuale tra Gesù e la Maddalena.
Da questa unione sarebbe nata la vera stirpe di Cristo, una stirpe di Sang Real.
Additando quale prova certa di questa unione le sembianze femminee del san Giovanni leonardiano, Brown non tiene minimamente conto della frequenza con cui il grande genio fiorentino ha dipinto uomini con tratti femminili.
Basterebbe qui citare san Giovanni Battista, figura solitamente rude, che invece Leonardo tratteggia con lo stesso dolce ed enigmatico sorriso della Gioconda oppure, all’interno della medesima Cena, l’apostolo Filippo che pure ha un volto decisamente effeminato. Alcuni non mancano di vedere in questo la riprova delle tendenze omosessuali dell’artista. In realtà Leonardo, che precorse i tempi anche per una certa laicità, fu uomo profondamente imbevuto di cultura religiosa. Per lui, come anche per molti artisti che lo hanno preceduto, la donna è l’icona più bella per significare la santità. Non sono forse spesso molto femminili gli angeli nei loro tratti e nelle loro movenze? Il discepolo amato è l’adolescente ancora puro, pronto per essere plasmato dall’opera della grazia.
Ebbene, nell’ora del tradimento anche questo discepolo, più amato, più vicino, lascia il Salvatore in una dolorosa solitudine.
Il fantomatico calice che Brown pretende di individuare è invece lo spazio prodotto dal movimento di Giovanni che ha appena lasciato il luogo del suo riposo, il costato di Gesù, per rispondere all’interrogativo di Pietro.
Alla rivelazione di Gesù «uno di voi mi tradirà!» Pietro, infatti, chiede a Giovanni (secondo il dettato evangelico) di farsi dire da Gesù chi sia il traditore. Pietro, impulsivo e sanguigno, nello scuotere con una mano Giovanni, impugna con l’altra il
coltello pensando di farsi giustizia da solo, cosa che del resto farà nell’orto degli ulivi tagliando l’orecchio al servo Malco.
Quel braccio, come si nota in un disegno preparatorio dello stesso Leonardo, è proprio di Pietro e la posizione goffa dello stesso è dovuta al tentativo mal riuscito da parte del capo degli apostoli di nascondere il suo intento agli altri commensali e, forse, a Gesù stesso. Brown si inventa una misteriosa volontà di uccidere la Maddalena-Giovanni perché detentrice della vera rivelazione e della vera stirpe di Cristo, trascurando l’interesse di Leonardo per i gesti e la fisionomica. Infatti, a Milano, Leonardo rimase colpito dal modo di gesticolare della gente lombarda, la quale parla più spesso con le mani che non con la voce, e dipinse ogni apostolo, non solo seguendo le leggi della fisionomica che ad ogni tratto somatico attribuiscono un aspetto del carattere dell’individuo, ma anche assegnandogli un particolare gesto che caratterizzasse il temperamento o il ruolo avuto all’interno del gruppo. Il visitatore viene così portato ad identificarsi con ciascuno degli apostoli per misurare, in certo qual modo, la propria adesione a Cristo, nel momento supremo della sua offerta al Padre.
Per Brown, inoltre, la mancanza, nel dipinto, di un calice davanti al Salvatore è la riprova che il Graal non sia un recipiente materiale, come vuole la tradizione, ma un riferimento criptato alla Maddalena. In realtà sulla tavola leonardiana ci sono molti calici e molti pani perché Leonardo, da fine teologo, vede compiersi nell’ultima cena il miracolo di Cristo della moltiplicazione dei pani. Il gesto dell’offerta sacrificale di Gesù nell’Eucaristia, fissato nell’attimo del tempo e della storia, si perpetua nella vita della Chiesa attraverso la celebrazione eucaristica.
«Nella versione originale [in inglese] del romanzo, Brown chiama l’artista “da Vinci” invece che Leonardo e Leonardo da Vinci. Si tratta di un errore così madornale che il traduttore, scrupoloso, ha scritto “Leonardo” tutte le volte che Brown ha usato “da Vinci”, tranne che nel titolo, che rivela immediatamente la scarsa familiarità di Brown con Leonardo».
(José Antonio Ullate Fabo, Contro il Codice da Vinci, Sperling & Kupfer, 2005, p. 164).
Maria Gloria Riva, DVd Il Codice dell’Amore, Mimep – Docete, 2005.
Maria Gloria Riva, Nell’arte lo stupore di una Presenza, pp.60-69, San Paolo,2005 2.
Giuseppe Fornari, La bellezza e il nulla. L’antropologia cristiana di Leonardo da Vinci, Marietti, 2005.
IL TIMONE – N. 53 – ANNO VIII – Maggio 2006 – pag. 44 – 45