La condanna laicista degli interventi della Chiesa nasce dal rifiuto del primato della realtà. Il ruolo di Cartesio.
Il detto evangelico forse più frequentemente richiamato dagli attuali eredi della tradizione razionalista e illuminista è «rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Il richiamo, in genere, accompagna la condanna laicista di ogni intervento in cui la Chiesa esprime il suo favore/biasimo rispetto alla promulgazione di leggi conformi/difformi al diritto naturale, e la ragione invocata dai laicisti è che le convinzioni religiose non devono influenzare le scelte politiche, perché imporre ad altri la propria verità è un comportamento violento e intollerante.
La dimensione religiosa, l’esistenza di Dio e l’etica che ne deriva, sono considerati oggetto esclusivo di fede e perciò da tenere rigorosamente separati dalla sfera politica.
Senza entrare nel merito di un’esegesi che ha la pretesa d’insegnare alla Chiesa come deve interpretare i propri testi rivelati, salta all’occhio la parzialità di tale lettura. Il detto evangelico non si limita a distinguere i due ambiti, ma contemporaneamente stabilisce un nesso tra ciò che va reso al potere politico, cioè il riconoscimento della legittima autonomia dell’ordine temporale, e ciò che deve essere reso a Dio. E a Dio va reso il culto, che non è riducibile alla sola azione liturgica in senso stretto, né alla sola preghiera privata; che non è azione volontaristica o sentimentale, ma coinvolge tutto l’uomo, compresa la sua ragione. Nel suo nucleo più profondo il culto è riconoscimento della dipendenza da un Fondamento che supera l’uomo e da cui il suo essere è causato: l’uomo può conoscere che il suo essere non ha in sé la propria causa, nessuno infatti è capace di autoporsi.
All’origine dell’uomo c’è la relazione con la Causa da cui dipende per essere. Questa verità, che può essere negata, ma non distrutta, non dipende da una scelta; essa è donata a ciascuno insieme all’essere.
Rivendicare l’autosufficienza assoluta significa rifiutare di riconoscere questa relazione di dipendenza, significa compiere un’opzione contro il proprio fondamento che è Dio.
Come si vede, il problema non riguarda in primo luogo la Rivelazione, ma piuttosto la conoscenza della verità sull’uomo, una verità su cui la ragione ha il diritto e il dovere di esprimersi. Se si deve rendere a Dio ciò che è di Dio, la società e la politica devono riconoscerne l’esistenza e l’azione nella storia, almeno l’azione creatrice (anche se è difficile ipotizzare che la ragione non sia interpellata anche dalla testimonianza che Cristo ha dato di se stesso come Figlio e Redentore).
Perciò Benedetto XVI ha potuto dire: «La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza, ma ipocrisia» (omelia di domenica 2 ottobre 2005).
Alla radice della riduzione di Dio a opinione privata c’è la convinzione che Egli sia un’idea, un contenuto della coscienza umana, e che perciò dipenda dall’uomo credere o no nella sua esistenza. Questa convinzione deriva dalla rivoluzione nel pensiero filosofico avviata con Cartesio (1596-1650).
Per illustrare questo fenomeno utilizziamo la descrizione datane da Giovanni Paolo II in Memoria e identità. Il cogito, ergo sum di Cartesio – penso, dunque sono – capovolge il modo di fare filosofia. «Nel periodo pre-cartesiano la filosofia, e dunque il cogito, o piuttosto il cognosco, era subordinato all’esse, che era considerato qualcosa di primordiale […]. Prima tutto veniva interpretato nell’ottica dell’Esse… Dio come Essere pienamente autosufficiente era ritenuto l’indispensabile sostegno per ogni ens non subsistens (ente non sussistente, ente che non ha in sé la causa del proprio essere), cioè per tutti gli esseri creati, e dunque anche per l’uomo». In questa prospettiva l’uomo inizia a pensare solo in quanto c’è. Prima vive, si trova come esistente con determinate capacità tra cui il pensiero, poi pensa. Il pensiero è sempre pensiero di qualcuno su qualcosa. Il primum è l’essere, solo in seguito viene il pensiero.
Con Cartesio avviene la rottura con l’idea che la realtà viene prima del pensiero ed è sua condizione; il fondamento del pensiero diviene il pensiero stesso e perciò la filosofia si occupa degli esseri considerandoli come suoi prodotti, cioè «in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa. Nella logica del cogito, ergo sum, Dio si riduce a un contenuto della coscienza umana». Dio non è più riconosciuto come fondamento reale che spiega l’esistenza dell’uomo. E così l’uomo rimane solo come creatore della propria storia e della propria civiltà; diventa colui che decide ciò che è buono e ciò che è cattivo, colui che può disporre che un gruppo di uomini sia annientato, si tratti dei nemici del comunismo, degli ebrei o dei bambini concepiti e non ancora nati.
Questo accade perché la cultura, insieme al primato dell’essere, ha rifiutato la nozione di natura umana come criterio a cui conformare la propria condotta e come dato reale, «e in suo luogo è stato posto un prodotto del pensiero liberamente formato e liberamente mutabile a seconda delle circostanze».
L’unica possibilità di uscire dalla deriva relativista e nichilista sta nel riconquistare la realtà come presupposto del pensiero, solo così si potrà parlare in modo sensato del bene e del male e superare l’equivoco laicista che, in nome della tolleranza, vorrebbe impedire l’espressione pubblica della relazione tra l’uomo e il suo fondamento.
RICORDA
«Non è poi vero […] che l’uomo sia incapace di organizzare la terra senza Dio. Ma ciò che è vero è che, senza Dio, egli non può, in fin dei conti, organizzarla che contro l’uomo».
(Henry De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana 1949, p. 10).
BIBLIOGRAFIA
Giuseppe dalla Torre, Europa: quale laicità?, San Paolo, 2003.
Antonio Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, Leonardo da Vinci, 2005.
Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, 2005.
Roberto Di Ceglie, Pluralismo contro relativismo, Ares, 2004.
Joseph Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, 2003.
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 30 – 31