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13.12.2024

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L’estate di Danzica
31 Gennaio 2014

L’estate di Danzica

 

 

Agosto 1980, il licenziamento di un’operaia per motivi politici provoca il primo sciopero di massa in Polonia: è l’inizio di Solidarnosc, un decennio eroico che ha cambiato la storia dell’est europeo. Più che un sindacato, un movimento etico basato su verità e dignità.

 

 

 

 

L'immagine della Madonna Nera e la foto di Giovanni Paolo II sono sempre appese al cancello n. 2 dei cantieri navali di Danzica. Proprio come nell’agosto del 1980. Tutto ebbe inizio in quella calda estate polacca: il primo sciopero di massa ed il primo sindacato indipendente dal potere in un Paese del blocco sovietico, una breccia nel muro del comunismo che cominciò a sgretolarsi sul litorale del Baltico prima di crollare definitivamente a Berlino. Tutto iniziò con un semplice foglietto, apparso la mattina del 14 agosto sulla bacheca d’ingresso dei cantieri Lenin, in cui si chiedeva la reintegrazione al lavoro di un’addetta alle gru, licenziata per motivi politici. Tra i 17 mila operai comincia a circolare la parola “strajk”, sciopero. Compare una scritta che diventerà il nome del bollettino del comitato di sciopero e poi del libero sindacato: “Solidarnosc”, solidarietà. Un mondo nuovo nasce in quei diciotto giorni di sciopero. Quei volti seri e compunti di lavoratori che lottano “per il pane e per la libertà”, senza cedere alla minima violenza, rimandano un’immagine di fierezza e dignità da cui emerge un’autentica rivoluzione operaia contro un potere che si fonda sull’ideologia marx-leninista. Quelle migliaia di tute blu inginocchiate durante la messa all’interno dei cantieri occupati sono uno spettacolo sconvolgente di fede popolare che rimbalza sui teleschermi e sulle prime pagine di tutto il mondo. Nella storia entra qualcosa d’imprevisto che potremmo chiamare il fattore W. W come Walesa, l’operaio più volte licenziato che viene messo a capo del comitato di sciopero. W come Wojtyla, il Papa polacco la cui visita in patria nel giugno dell’anno precedente aveva gettato il seme della libertà. Nei primi giorni di sciopero il governo di Varsavia si è affrettato a concedere aumenti salariali per tutti e a reintegrare sul lavoro chi era stato licenziato. Ma questa volta, dicono gli operai, dobbiamo andare avanti fino a quando non saranno state accolte tutte le richieste del comitato inter-aziendale di sciopero. Al primo posto c’è la richiesta di un sindacato libero e indipendente. Prende il via una durissima trattativa con una delegazione del Governo che accetta di condurre le conversazioni all’interno dei cantieri. Un negoziato trasmesso in diretta dalla radio di fabbrica, con il comitato di sciopero assistito da esperti della società civile, giuristi, storici e sociologi come Mazowiecki, Geremek, Michnik, Cywinski. Sono giorni di grande tensione, si teme l’intervento armato sovietico, anche perché Danzica si trova ad una manciata di chilometri dal confine russo, tornando ad essere il drammatico crocevia della storia come lo fu all’inizio della seconda guerra mondiale. Ma alla fine il regime di Varsavia cede e il 31 agosto, nella sala mensa dei cantieri navali, sotto la statua in marmo bianco di Lenin, vengono siglati gli Accordi di Danzica che Lech Walesa firma con un’enorme penna su cui spicca il ritratto di Papa Wojtyla. Per la prima volta nella storia nasce un sindacato libero in un Paese comunista. Scioperi e agitazioni si diffondono in tutta la Polonia. A metà settembre i vari rappresentanti sindacali decidono di costituirsi in un’unica federazione. Si chiamerà Solidarnosc, come la parola d’ordine dello sciopero d’agosto. Ma il governo comunista rifiuta di riconoscere un sindacato nazionale. Il braccio di ferro si conclude il 10 novembre, quando la Corte suprema accoglie la richiesta di Solidarnosc che diventa così un’organizzazione giuridicamente riconosciuta dallo Stato socialista. Nei mesi seguenti la Polonia vive una strana situazione in cui s’alternano grandi speranze e oscuri timori. Solidarnosc conta dieci milioni di iscritti, la quasi totalità dei lavoratori polacchi. Ben presto s’aggiungerà Solidarnosc contadina, mentre anche intellettuali e studenti aderiscono al nuovo sindacato. È l’intera società civile che si risveglia. Walesa è costretto a correre da un angolo all’altro del Paese per calmare gli animi e invitare alla pazienza. La crisi economica s’aggrava, la produzione crolla ed i beni essenziali di consumo spariscono. Davanti ai negozi sempre più vuoti ci sono code sempre più lunghe. Un quadro reso ancora più cupo dalle continue minacce che giungono dal Cremlino, preoccupato per “l’avanzata di elementi contro-rivoluzionari che intendono sottrarre la Polonia al campo socialista”. In realtà Solidarnosc, insieme con il gusto della libertà, mantiene coscienza delle necessità imposte dalla situazione internazionale. Come disse Tadeusz Mazowiecki, il principale consigliere di Walesa, «la nostra è una rivoluzione che si auto-limita». Solidarnosc non chiede un cambio di regime e non mette in discussione l’alleanza con l’Unione Sovietica. Ma esigendo libertà civili, religiose e sindacali pone le basi per la disgregazione del sistema politico. Certo, vi è anche una minoranza sindacale che spinge sull’acceleratore e vie-ne allo scoperto durante il primo congresso di Solidarnosc, nell’ottobre del 1981, con la “Lettera aperta a tutti i lavoratori dell’Europa dell’Est”. Una provocazione inammissibile per il potere che si prepara a reagire. Negli stessi giorni esce di scena Stanislaw Kania, il segretario del Poup, il Partito comunista polacco, giudicato troppo morbido nei confronti di Solidarnosc. Al suo posto arriva il generale Wojciech Jaruzelski, già primo ministro, che assomma le cariche di leader del partito e di capo del Governo.
Le intenzioni dell’impettito militare dagli occhiali scuri diventano chiare di lì a poche settimane, il 13 dicembre del 1981. Jaruzelski dichiara lo stato di guerra e mette fuori legge Solidarnosc, chiudendo nei campi d’internamento migliaia di attivisti sindacali e di oppositori e scatenando esercito e polizia contro gli operai che proclamano lo sciopero in segno di protesta. Fu l’ultima grande repressione voluta da un regime comunista. A differenza di quanto accadde in Ungheria nel 1956 ed in Cecoslovacchia nel 1968, il pugno di ferro che schiacciò la Polonia fu quello delle autorità locali. «Un male minore», secondo il generale Jaruzelski che avrebbe introdotto la legge marziale per evitare l’invasione militare sovietica. Ma c’è chi al contrario ritiene che Breznev, alle prese con il difficile intervento dell’Armata Rossa in Afghanistan, non volesse ripetere l’esperimento in Polonia, preferendo un auto-golpe da parte dei militari di Varsavia. Insomma, Jaruzelski agì in piena obbedienza al Cremlino e non per iniziativa autonoma. In ogni caso non riuscì a soffocare Solidarnosc. A ricordarne gli inalienabili diritti si alzò un protettore d’eccezione, Giovanni Paolo II. Il Papa di Solidarnosc, come verrà poi chiamato, non perderà occasione di manifestare il proprio sostegno a Walesa ed al sindacato indipendente. Basta sfogliare i suoi interventi pubblici degli anni Ottanta dove il termine Solidarnosc ricorre più di cento volte. Lo ripete a chiare lettere nei suoi viaggi in Polonia, in quello del 1983 quando incontra “il cittadino privato” Walesa, rilasciato pochi mesi prima, e poi nella visita del 1987, recandosi a Danzica dove rilancia lo slogan «Non c’è libertà senza solidarietà». Soppresso ufficialmente, Solidarnosc continua a vivere nella società polacca. La più grande dimostrazione avviene nel novembre del 1984 durante i funerali di don Popieluszko, il cappellano di Solidarnosc rapito e ucciso dai servizi segreti comunisti. Milioni di polacchi sfilano silenziosi contro il regime.
Il lungo e tormentato cammino verso la libertà, iniziato nell’agosto del 1980 nei cantieri navali di Danzica, ha il suo sbocco nella tavola rotonda del febbraio 1989 a Varsavia. Rappresentanti del governo, della Chiesa cattolica e di Solidarnosc siglano un accordo che restituisce la legalità al sindacato indipendente e, per la prima volta, introduce elementi di democrazia nel sistema politico comunista. Il 4 giugno si tengono in Polonia le prime elezioni semi-libere, stravinte da Solidarnosc, anche se il Poup, che si è garantito per legge i due terzi dei seggi, mantiene la maggioranza in parlamento. Oggi è diventato di moda criticare gli accordi della tavola rotonda come un ambiguo compromesso tra comunisti e Solidarnosc. Ma il dialogo con il potere è sempre stato un elemento essenziale del sindacato di Walesa. E non c’era altra via per introdurre dei cambiamenti.
Da quel momento la storia si mette a correre: nell’agosto del 1989 a presiedere l’esecutivo viene chiamato un uomo di Solidarnosc, Tadeusz Mazowiecki, primo capo democratico di governo in un Paese del blocco sovietico. È l’alba di una nuova epoca che avrà il suo zenit nel crollo del Muro di Berlino, il 10 novembre dello stesso anno. Sarebbe però riduttivo considerare l’importanza di Solidarnosc soltanto per il ruolo che ebbe nella caduta del comunismo. Se infatti quel movimento riuscì a trionfare sull’ideologia marx-leninista è perché seppe far emergere l’esperienza umana nella sua dimensione autentica ed integrale, compreso il fattore religioso. Come spiegò bene padre Jozef Tischner, il filosofo di Solidarnosc, il sindacato indipendente polacco non fu semplicemente una rivolta sociale e nazionale ma un movimento di carattere etico, fondato sulla verità e sulla dignità. Con Solidarnosc i polacchi hanno detto basta alle menzogne del regime, hanno vinto la paura. Liberi interiormente dall’odio e dalla violenza hanno abbattuto un regime che sembrava immutabile. In questi tempi segnati dalla barbarie del terrorismo internazionale e dal fanatismo ideologico, l’eredità di Solidarnosc, “la rivoluzione dove non si è rotto neanche un vetro”, resta un bene prezioso non solo per i polacchi ma per tutti quelli che hanno a cuore la dignità e la libertà dell’uomo.

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«Il lavoro è la fatica dell’uomo. È l’attività cosciente e personale dell’uomo, è il suo contributo alla grande opera delle generazioni, l’opera del mantenimento e del progresso dell’umanità, delle nazioni, delle famiglie. È evidente che gli uomini, i quali svolgono un determinato lavoro hanno diritto ad associarsi liberamente appunto per ragione di tale lavoro, allo scopo di assicurare tutti i beni ai quali il lavoro deve servire. Si tratta qui di uno dei fondamentali diritti della persona, del diritto dell’uomo come soggetto proprio del lavoro, che “soggiogando la terra” (per usare le parole bibliche) appunto mediante il lavoro vuole contemporaneamente che, nell’ambito del lavoro e in relazione col lavoro, la vita umana su questa terra “diventi veramente umana”, e sia “sempre più umana” (come dicono i testi del Concilio)».
(Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti di Solidarnosc, Roma 15 gennaio 1981)

IL TIMONE – N.63 – ANNO IX – Maggio 2007 pag. 22-24
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