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3.12.2024

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Lettere al Direttore
31 Gennaio 2014

Lettere al Direttore

Il Timone n. 34 – anno 2004 –

Caro direttore,
sono appena tornato dagli esercizi annuali di Comunione e Liberazione, dove il tema era “il Destino dell’uomo”. La sua rivista aiuta a comprendere che il destino dell’uomo è la presenza di Cristo nell’istante di ogni giorno. Mi piacciono soprattutto le rubriche di storia, visto la mia scolastica ignoranza in materia, dovuta ad una unilaterale istruzione sinistrorsa e materialista. Molto belle le pagine sulla morale e sull’esegesi, importantissime. Complimenti per il servizio sul Medio Evo, la più alta espressione di un popolo che ha coscienza di sé perché ha coscienza del proprio destino: è ora di riprendere certi temi e di riscrivere la storia che l’illuminismo ha distrutto. Le faccio i migliori auguri per continuare in questo modo, garantendo per quanto sarò capace il mio aiuto con la preghiera e diffondendo la rivista, perché se uno trova una cosa bella la racconta a tutti quelli che incontra. È ovvio che oggi stesso sottoscriverò il mio abbonamento. Buon lavoro,
Stefano Conegian, Cernusco sul Naviglio (MI).

Caro direttore,
tempo fa ho ricevuto un numero della rivista ed ora ho inviato la somma per l’abbonamento annuale per quest’anno. Ho visto con piacere che avete pensato anche ai piccoli e gradirei ricevere un numero in visione di Net Magazine. Porgo il mio saluto e augurio per il buon lavoro svolto dalla rivista in mezzo a tanta confusione e faccio voti perché si diffonda sempre più. Con viva cordialità,
Don Antonio Salvioni, Villa Raverio (MI).

Caro direttore,
desidero congratularmi per tutti i miglioramenti apportati alla nostra giàbella rivista, dalla grafica alla cadenza mensile! Approfitto dell’occasione per salutare con stima e affetto Lei e tutti i Suoi collaboratori, specialmente Maurizio Blondet e Mario Palmaro, ai quali ho avuto l’onore di stringere la mano in occasione di loro conferenze a Modena. Grazie e buon lavoro!
Elena Ferrari, Modena.

Caro Direttore,

Sa qual è l’idea che si fa un ascoltatore come me e come tanti altri, ascoltando le rassegne stampa di questi ultimi giorni? L’idea o l’impressione che la colpa per tutti i mali del mondo è degli Stati Uniti e dell’Occidente, Europa e Italia compresi. Si, l’orrendo spettacolo delle torture ha colpito tutti quanti. Ma mi chiedo come facciamo ad essere così ingenui a “sognare” una democrazia che non esiste, una democrazia perfetta, quasi come la “Città di Dio” descritta da S. Agostino. Per cui ci strappiamo le vesti per questi fatti. Ma nelle nostre società non abbiamo reso legale, anzi, considerata una “conquista civile”, la legge che permette l’uccisione di un innocente nel seno di sua madre? Abbiamo poi i casi di pedofilia, di sfruttamento della prostituzione e tante altre “belle” cose. Che con tutte queste caratteristiche tanto “civili”, poi pensiamo che in una guerra i soldati debbano essere come dei missionari, o meglio degli angeli, mi sembra di una ingenuità pazzesca. È però solo questo la nostra civiltà? E come mai ci vergognamo della nostra storia al punto da non ammettere che il cristianesimo vi ha lasciato delle tracce indelebili di luce e progresso? Ma l’lslam, è proprio tutta luce? E il terrorismo, non è forse una barbarie? Detto questo, però, recentemente abbiamo avuto la visita del Primo Ministro della Cina, dove i diritti umani non sono per nulla rispettati, ma a questo proposito non si è sentito il battage che è stato fatto a riguardo delle torture in Iraq. Il pericolo che io vedo in queste cose, in questo autolesionismo dell’Occidente, in questo non amore per la nostra storia, nella quale siamo capaci di enfatizzare al massimo le pecche, è che ci porti – come dice la Fallaci – alla morte dell’Occidente. Non sarebbe meglio, pur condannando le torture, recuperare i valori che hanno fatto grande l’Europa? Insomma, questo autolesionismo, questo piangerci addosso per le vere e anche presunte colpe, mi sembra come un karakiri. Siamo liberi di farlo! Un caro saluto,
Claudio Forti, Trento.

Due volte precisiamo

Lo zampino del demonio ha messo la coda anche al Timone. L’articolo sull’etica del lavoro e sul caso Parmalat è stato scritto alla fine di gennaio 2004. Avrebbe dovuto uscire sul numero di marzo, ma a causa della scomparsa di Marco Tangheroni il pezzo ha giustamente lasciato spazio al ricordo del caro collega. Nel numero di aprile non c’era spazio, per cui l’articolo è uscito a maggio. Nel frattempo, Finmatica, che in gennaio veniva accostata a Parmalat e Cirio sulle pagine di molte testate, in realtà ha provato la sua estraneità a qualsiasi vicenda non etica e illegale. Tutte le accuse mosse a Finmatica si sono rivelate infondate. Ma nel pezzo il nome è rimasto, accanto a quello di aziende realmente coinvolte in crack finanziari ed illeciti amministrativi provati, ancorché non ancora sanzionati dalla giustizia. Non mi resta che scusarmi personalmente con Finmatica e con tutti i suoi amministratori, dipendenti e collaboratori per l’equivoco e per il dispiacere procurato loro.

Paolo Pugni

Non è ancora stata approvata la Costituzione palestinese, osservano alcuni lettori dopo avere letto le notizie pubblicate dal “Timone” (febbraio). Rispondiamo che anche solo il progetto di Costituzione dell’Autorità nazionale palestinese basta a far comprendere in quale pericolo siano i cristiani. E, comunque, è sempre meglio preoccuparsi di prevenire la persecuzione che doverla affrontare quando è troppo tardi.
Andrea Morigi

Lettera da Istanbul

di Vincenzo Sansonetti

“Scopri che non esiste quasi traccia della secolare presenza cristiana e bizantina, perché decine di chiese sono state trasformate in moschee, coprendo con l’intonaco meravigliosi mosaici e affreschi”.

Di ritorno da Istanbul, gigantesca metropoli turca in crescita disordinata e già «culla delle civiltà», ecco qualche riflessione «fuori dal coro». La vituperatissima Oriana Fallaci, che si definisce «atea cristiana», scrive a pagina 194 del suo La forza della ragione: «…il Cristianesimo è davvero una irresistibile provocazione». E aggiunge: prima ancora «di invadere il nostro territorio e distruggere la nostra cultura, annullare la nostra identità», è proprio questa «irresistibile provocazione» che «l’lslam mira a spengere». Come? «Attraverso una rapina ideologica. Cioè rubando il Cristianesimo, fagocitandolo, presentandolo nelle vesti di un rampollo degenerato, definendo Gesù Cristo “un profeta di Allah”. Profeta di seconda classe, oltretutto. Talmente inferiore a Maometto che, quasi seicento anni dopo, costui ha dovuto ricominciare daccapo. Sorbirsi la chiacchierata con l’arcangelo Gabriele e scrivere ahimè il Corano». Ebbene, vai a Istanbul e, in qualche modo, trovi conferma alle parole di Oriana. In un primo momento, se passeggi per il centro, nel chiassoso quartiere delle ex ambasciate, tra vetrine scintillanti e nugoli di ragazzi in jeans, non ti sembra neppure di essere in Turchia. La terra da secoli musulmana, poi occidentalizzata e laicizzata da Ataturk ma oggi governata da un partito islamico, appare al viaggiatore distratto come se fosse Parigi, Berlino, Madrid o Budapest. A parte quel pullulare di minareti e qualche rara donna con il velo. Poi, se esci dai percorsi consueti, rivolgi le domande giuste alla guida, e magari fai un incontro imprevisto, scopri un’altra realtà. Scopri che nei quartieri meno centrali non c’è una donna senza il velo. Scopri che non esiste quasi traccia della secolare presenza cristiana e bizantina, perché decine di chiese sono state trasformate in moschee, coprendo con l’intonaco meravigliosi mosaici e affreschi. Scopri che in alcune zone rurali della Turchia asiatica, l’Anatolia, la legge islamica è tranquillamente seguita, compresa la poligamia, alla faccia del Paese moderno che vuole entrare in Europa. Scopri, sempre chiacchierando con la guida, che dopotutto anche i musulmani hanno qualcosa che somiglia ai nostri sacramenti (?!) e che pregare in moschea è come… andare in palestra! Scopri poi, ripercorrendo a ritroso la storia della città, che dopo la conquista di Costantinopoli (antico nome di Istanbul) il 29 maggio 1453, Maometto Il e le sue orde si comportarono da… gentiluomini (in realtà, lo ricorda la Fallaci, decapitarono in cattedrale addirittura i neonati e violentarono e sgozzarono quattromila monache in poche ore!). Scopri soprattutto che, sì, c’è libertà di culto, con una manciata di chiese qua e là (cattoliche, ortodosse dei vari riti e protestanti, e senti perfino suonare le campane), ma sono poco o nulla frequentate dai turchi, ché anzi se si convertono passano un guaio e devono emigrare. E scopri che alcune suore italiane, residenti da decenni nella città, sono qui solo come insegnanti e non possono vestirsi da religiose esibendo il crocefisso, né fare proselitismo (cioè essere missionarie). Purtroppo il turista europeo, poco preparato e per nulla avvezzo a difendere la propria identità e la verità storica, non coglie il sottile inganno, anzi diventa veicolo inconsapevole di un messaggio rassicurante: la società turca è aperta, tollerante, laica, avanzata, pluralista e addirittura c’è ancora la domenica come festa per tutti (anche se in realtà sono solo chiusi gli uffici pubblici). Concludo citando ancora la Fallaci, quando dice che «l’lslam è uno stagno. Acqua che non defluisce mai, non si depura mai, non diventa mai acqua che scorre e che scorrendo arriva al mare… Lo stagno non ama la Vita. Ama la Morte». Ecco, malgrado la presenza del placido Bosforo e gli splendidi tramonti, a Istanbul ho provato la sensazione di trovarmi in acque stagnanti. Prosegue Oriana: «L’Occidente è un fiume, invece. E i fiumi sono corsi d’acqua viva. Acqua che defluisce continuamente e defluendo si depura, si rinnova, raccoglie altra acqua, arriva al mare, e pazienza se talvoltastraripa. Pazienza se con la sua forza a volte allaga. Il fiume ama la Vita».

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Invitiamo ogni abbonato del Timone a prendere visione della scadenza del suo abbonamento prestando attenzione all’avviso posto in calce all’indirizzo che si trova sul modulo di conto corrente postale allegato alla spedizione. Per sua comodità, e tenendo conto del tempo necessario alle Poste per comunicarci i rinnovi, noi inviamo anche i due numeri del Timone successivi alla scadenza. Per esempio: chi ha sottoscritto un abbonamento che scade con l’invio di questo numero (n. 34), riceverà anche i due numeri successivi (nn. 35 e 36). Ma se entro questo lasso di tempo, non riceviamo il versamento di rinnovo, il suo nominativo verrà purtroppo depennato. Siamo grati a tutti coloro che, rinnovando per tempo l’abbonamento, mostreranno con ciò di apprezzare il nostro apostolato a mezzo stampa. Ricordiamo a tutti gli abbonati, vecchi e nuovi, che ogni venerdì un sacerdote celebra una Santa Messa per loro: è il nostro modo per dirvi grazie.

IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 4 – 5
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