Se tornassimo alla lettera del Vaticano II molte polemiche sulla liturgia verrebbero meno. Anche il canto gregoriano e il latino tornerebbero in auge.
Intervista a Lorenzo Bianchi
È un laico e non è liturgista di professione.
Ma di liturgia Lorenzo Bianchi, 44 anni, si occupa da parecchio; e da semplice laico, appunto. Primo ricercatore di archeologia cristiana al Cnr e studioso delle fonti antiche cristiane, Bianchi è recente autore del libro "Liturgia. Memoria o istruzioni per l'uso?" (Piemme), un testo che raduna un decennio di studi molto puntuali e documentati sulla riforma dei riti dopo il concilio Vaticano II e soprattutto sulla lingua liturgica. Con lui tentiamo di tracciare un bilancio di quarant'anni di Messa in italiano.
Professor Bianchi, di fronte alla riforma liturgica del Vaticano II gli schieramenti si sono spesso opposti: chi ne dice tutto il male possibile (è protestante, è modernista…) e chi non tollera la minima mediazione col passato (vedi il divieto alle messe in latino).
"Anzitutto vorrei precisare che la riforma liturgica non è stata realizzata dal concilio, ma ne è un'applicazione successiva. La Sacrosanctum concilium, il documento sulla liturgia, non aveva stabilito per esempio l'abrogazione del gregoriano, né era prevista l'abolizione del latino. Credo che in qualche caso, tornando alla lettera del Vaticano II, si annullerebbero molte delle polemiche esistenti in materia".
Ma perché tanta acrimonia, secondo lei, sulla liturgia? Qual è la posta in gioco?
"La liturgia è importante, perché ciò che si prega è ciò che si crede (lex orandi, lex credendi, si diceva in latino). Le parole e i riti corrispondono a ciò che il fedele professa. Di più: per sant'Agostino il sacramento è il mezzo scelto da Dio per far operare la grazia, quindi l'atto liturgico dev'essere espresso in poche formule e semplici, comprensibili, evidenti. Da questo discende la grazia: non da ciò che pensa la comunità che celebra, non dall'impegno che ci mette il prete, nemmeno dai buoni propositi dei partecipanti… Mi sembra invece che a volte la riforma liturgica abbia la pretesa di voler "spiegare" a tutti; costi ciò che era già semplice e chiaro. Spiegare e interpretare".
Uno dei punti forti del post-Concilio, infatti, è la "creatività liturgica". Fino a che punto è importante rispettare le formule del rito, senza cadere nel cosiddetto "rubricismo" un po' ossessivo e burocratico del passato?
"È vero che una volta c'era il rubricismo, ossia il puro scrupolo di osservare le formule, tuttavia oggi alcune proposte dei novatori della liturgia sono ancor più ossessive… Per esempio studiando le preghiere della Messa ho notato che, mentre in latino si poneva una domanda diretta a Dio, ora in italiano si è passati a didascalie volontaristiche di chi chiede; dall'imperativo si è arrivati al congiuntivo esortativo".
Non sarà una questione grammaticale…
"No. Il difetto di fondo è che la riforma liturgica ha spesso avuto alla base un'idea precostituita di cristiano" impegnato", un modello intellettuale di credente che non corrisponde alla realtà. Il problema invece è ripetere le cose più umane e più semplici possibile, quindi più vere. Per esempio: nella preghiera si chiede (ecco l'imperativo) e non si afferma, perchè è la grazia di Dio – e non la capacità dell'uomo – che viene in soccorso al fedele".
Però di solito si sostiene che le modifiche sono state fatte per aumentare la comprensibilità dei riti.
"Certo, è importante che si capisca ciò che si dice. Uno dei fatti positivi della riforma è stata senz' altro la possibilità di celebrare nella lingua nazionale: purché non diventi anch'essa un motivo di elaborazione intellettuale… Così la creatività liturgica: all'inizio può sembrare una buona idea per trovare concetti più rispondenti all'uomo d'oggi; ma spesso l'esperimento è diventato o un archeologismo insensato, o un arbitrio, un'invenzione. Del resto, nel messale c'è già sufficiente libertà di scelta sia di orazioni, sia di gesti".
Ricorda però quando in passato a Messa si recitava il rosario? Oggi le possibilità di partecipazione sono senz'altro aumentate.
"Può essere di sì. Ma a che cosa si partecipa talvolta, se si cambia il credo con una proclamazione d'intenti? La partecipazione non è determinata dalla forma liturgica, anzi più essa è affidata alla creatività del momento e più si allenta; la partecipazione è data dalla verità del rito".
Il cardinale Ratzinger ha suscitato scalpore denunciando alcuni abusi nella Messa: per esempio la diminuita centralità di Cristo, per favorire il senso comunitario, o l'accento sulla "cena" che ha fatto sparire l'idea del "sacrificio". Condivide?
"Questi appunti generarono perplessità anche nel primo messale post-conciliare. Sia la cena sia il sacrificio, infatti, sono aspetti veri del rito, ma la presenza reale di Cristo è fondamentale: sennò non c'è l'eucaristia. È Cristo il primo protagonista dell'azione liturgica, e una determinata forma fisica – come l'assemblea rivolta a lui, e non al celebrante – favorisce anche "Ia comprensione della realtà. Ma Ratzinger ha fatto anche altre notazioni importanti sulla liturgia, per esempio sull'osservanza del silenzio, il cui valore oggi è facilmente dimenticato".
Insomma, quarant'anni dopo, quale bilancio farebbe dal punto di vista dei fedeli?
"Non mi sento di fare bilanci. Le tensioni della riforma hanno avuto senz'altro origini positive; però l'atto liturgico non deve esserne snaturato. Per esempio quell'ossessione di far capire tutto: se significa inserire proprie spiegazioni e modifiche, si tratta di aggiunte pericolose. È più vero attenersi alla semplicità della tradizione che rifare un'elaborazione personale. Voler affastellare le proprie considerazioni fa perdere qualcosa, o co¬munque è legato al gusto culturale del momento".
Dossier: Liturgia: punti fermi!
IL TIMONE N. 22 – ANNO IV – Novembre/Dicembre 2002 – pag. 41 – 42