Il Libano era un modello di civiltà unico nel mondo islamico. La guerra iniziata il 13 aprile 1975 ha distrutto il paese dei cedri. Ritornerà a essere un esempio di convivenza nella libertà?
In aprile, il Libano commemora il 30mo anniversario dello scoppio della guerra che ha trasformato, dal 1975 al 1990, quella che veniva definita come la "Svizzera del Medio Oriente" in un teatro di infinite lotte, per milizie interposte, ra potenze regionali e internazionali. Il termine "Iibanizzazione" ha soppiantato quello di "balcanizzazione" quale sinonimo di inesauribili divisioni interne, confessionali ed etniche. Eppure il Paese dei cedri era qualcosa di diverso. Unico Paese nel mondo arabo, per non dire nel mondo islamico, a garantire uno spazio di pluralismo e democrazia ai propri cittadini, il Libano offriva anche delle garanzie istituzionali alle secolari comunità cristiane. Cattolici, ortodossi, armeni e altri cristiani vivevano con una relativa armonia insieme a musulmani sunniti, sciiti e drusi ed esprimevano, attraverso le loro istituzioni educative e ospedaliere aperte a tutti, la vocazione di servizio propria della Chiesa. l'arrivo di migliaia di fedayin palestinesi ha rappresentato un difficile banco di prova per i libanesi, che si sono divisi sull'opportunità di trascinare il loro Paese nel baratro della guerra tra Israele e i Paesi arabi. La conseguenza fu una sequela, quasi ininterrotta, di scontri tra le diverse milizie locali, intervallati da devastanti interventi militari da parte della Siria e di Israele nel territorio libanese. Alla fine, il bilancio fu pesante: 171 mila morti, 300 mila feriti, 20 mila dispersi, 9 mila invalidi permanenti, 827 mila sfollati, e circa un milione di emigrati all'estero, oltre ad ingenti danni materiali. Le modalità con cui ebbe fine la guerra hanno segnato il crollo del Libano come entità politica sovrana. Preoccupati di accerchiare l'Iraq di Saddam Hussein alla vigilia della guerra di liberazione del Kuwait, nel 1990, gli Stati Uniti hanno permesso alla Siria di imporre all'intero Libano la sua egemonia politica e militare in cambio della sua adesione all'alleanza anti-irachena. Da allora, si sono succeduti a Beirut governi e parlamenti completamente assoggettati alla volontà di Damasco, la quale ha continuato a mantenere nel Paese circa 40 mila suoi soldati a dispetto degli "Accordi di Taif" che, nel 1989, prevedevano un ridispiegamento siriano verso la valle della Beqaa entro il 1992.
La resistenza dei libanesi
Ma quattordici anni di dominio siriano non sembrano aver fiaccato lo spirito di resistenza dei libanesi. Lo si deve in primo luogo alla tenacia della Chiesa libanese, guidata dal patriarca maronita, cardinal Nasrallah Pietro Sfeir, il quale non ha mai perso un'occasione per denunciare il progressivo "Anschluss" del Paese in un sistema politico (quello del partito Baath, per intenderci) per niente consono con i principi che hanno sempre contraddistinto il Libano. Lo si deve poi agli studenti e ai giovani che hanno più volte manifestato nelle piazze, tra l'indifferenza di una classe politica addomesticata, il loro attaccamento a un Libano libero dalle ingerenze straniere, subendo ripetutamente repressioni e arresti. Lo si deve, infine, a tanti coraggiosi giornalisti e intellettuali, come pure a molti esuli libanesi, che non si sono mai rassegnati a chiudere gli occhi sulla sorte del loro Paese natale.
Oggi, molti segnali fanno intuire che questa resistenza potrà dare i suoi frutti e che la prossima ricorrenza della guerra (il 13 aprile) sarà celebrata con una palpabile fiducia in una prossima riconquista della sovranità. I primi sintomi di questo processo di "de-sirianizzazione" si sono avuti a partire dal maggio 2000, quando Israele ha finalmente deciso di adempiere alla risoluzione Onu 425 e di ritirare il suo esercito dalla cosiddetta "fascia di sicurezza", instaurata nel sud del Libano, privando in tal modo la Siria di un importante pretesto per mantenere le proprie truppe nel Paese. La morte, avvenuta nello stesso anno, del presidente siriano Hafez al-Assad ha inoltre sciolto più di una lingua ammutolita. Parecchi deputati hanno così sollevato nell'aula del Parlamento l'argomento, prima ritenuto tabù, dell'occupazione siriana e la "revisione" degli accordi bilaterali, contestando ad alta voce la tesi governativa libanese secondo cui la «presenza» siriana è «necessaria, legale e provvisoria».
Il mutamento internazionale
Questi sintomi sono oggi in costante aumento. Grazie anche a un contesto regionale che vede il Medio Oriente in procinto di profondi cambiamenti. La guerra in Iraq, ma anche gli sviluppi dell'lntifada palestinese, hanno convinto gli Stati Uniti della necessità di ridimensionare il ruolo regionale della Siria, accusata di non fare abbastanza per pacificare la regione. Il Libano si è così ritrovato improvvisamente al centro di un rinnovato interesse internazionale, con più di una diplomazia occidentale che rimpiange l'eclissi del ruolo di un Paese un tempo pluralista e democratico. L'occasione di quella che Damasco ha considerato una "ingerenza" nel suo protettorato l'ha comunque fornita lo stesso presidente siriano Bashar al-Assad – subentrato al padre – intimando al governo libanese di cancellare le elezioni presidenziali e di prorogare il mandato di Emile Lahoud, suo uomo fidato. Un errore fatale. Il 2 settembre, il Consiglio di sicu-rezza dell'Onu si è riunito d'urgenza e ha votato una risoluzione (n. 1559), presentata congiuntamente da Stati Uniti e Francia, in cui «chiede che siano rigorosamente rispettate la sovranità, l'unità e l'indipendenza politica del Libano», «chiede a tutte le forze straniere che vi si trovano ancora di ritirarsi», e si dichiara a favore di elezioni presidenziali in un processo elettorale libero e regolare «al di fuori di ogni ingerenza o influenza straniera». Ma Damasco ha voluto dimostrare di essere l'unica potenza a fare il bello e cattivo tempo in Libano. Così, il 3 settembre, la Camera ha emendato la Costituzione in soli dieci minuti per permettere una proroga di tre anni del mandato di tahoud. Un affronto alla comunità internazionale che il Libano non aveva mai intrapreso.
Questo umiliante diktat siriano ha tuttavia permesso di smuovere altre acque nel panorama politico libanese. Tra i 28 coraggiosi deputati che si sono opposti alla violazione della Costituzione c'era anche il blocco parlamentare del leader druso Walid Jumblatt, un tempo fedele alleato della Siria. Con toni severi, Jumblatt hà criticato le ingerenze dei siriani nella vita politica del loro vicino e il ruolo del "proconsole" siriano in Libano (il capo dei servizi segreti), suscitando forte disagio a Damasco. Non solo. A dicembre, vari partiti e formazioni politiche (cristiani, socialisti, liberali musulmani e indipendenti di sinistra) hanno rivendicato insieme una "correzione" delle relazioni tra Libano e Siria, preannunciando un fronte comune alle elezioni legislative di primavera. Pochi giorni dopo, Jumblatt si è recato in visita al domicilio di Samir Geagea, il leader delle milizie cristiane Forze Libanesi rinchiuso in carcere da oltre dieci anni, suo acerrimo nemico durante la guerra, mentre l'ex presidente della Camera, lo sciita Hussein Husseini, ha sollecitato in una lettera aperta il presidente siriano Assad a imprimere in fretta un nuovo corso alle relazioni bilaterali. Segni concreti di riconciliazione e di speranza per il Libano: ormai, l'opposizione alle ingerenze siriane non si può più definire "cristiana", ma nazionale. Ora i cristiani non sono più soli nél rivendicare la libertà del Paese.
Tornerà allora il Libano a essere modello di convivenza e di libertà? Molto dipenderà dalla fermezza dell'Occidente, che ha più volte sacrificato il Paese dei cedri sull'altare dei suoi interessi contingenti. La risoluzione 1559 chiede al segretario generale dell'Onu Kofi Annan di riferire ogni semestre al Consiglio di sicurezza sul rispetto delle richieste da parte dei governi siriano e libanese. E Damasco ha cercato di sottrarsi alle pressioni internazionali annunciando a più riprese il ritiro di vari suoi contingenti militari da alcune zone del Libano. Un ritiro siria.no non risolverà tuttavia tutti i problemi. Altri aspettano una soluzione: dall'annosa questione dei 400 mila profughi palestinesi per la cui nazionalizzazione in Libano molte diplomazie premono, alla questione dell'enorme debito accumulato dal Paese per la ricostruzione (oltre 40miliardi di dollari), al disarmo dell'Hezbollah, il Partito di Dio filo-iraniano, considerato agente della politica di Teheran in Libano.
Inoltre, il Paese avrà bisogno di consolidare la sua ricostruzione spirituale. E i cristiani già si preparano a questo compito. Alla seconda sessione del Sinodo della Chiesa maronita, tenutasi lo scorso ottobre, si è insistito sul «consolidamento della convivenza cristiano-islamica» e sulla salvaguardia della testimonianza del Paese «contro il cosiddetto conflitto di religioni». Seguendo l'iter del Sinodo speciale per il Libano, convocato dal Papa alla fine del 1995, i prelati e laici, maroniti hanno invitato dei rappresentanti delle tre comunità islamiche ai dibattiti. Hanno infine parlato della necessità di intraprendere un cammino volto a permettere alla Chiesa libanese di «purificare la sua memoria grazie al perdono».
La speranza è che l'unico Paese "dal volto cristiano" del Medio Oriente non venga lasciato solo.
Cronologia sommaria
23 maggio 1926. Dopo la dissoluzione dell'Impero ottomano in seguito alla Prima Guerra Mondiale, viene promulga Costituzione e il Libano diventa una Repubblica parlamentare sotto la giurisdizione dell'Alto Commissario francese.
22 novembre 1943. Viene proclamata l'indipendenza completa del Libano e dopo tre anni le truppe francesi lasceranno definitivamente il territorio. Il paese verrà governato alla luce di un tacito "patto nazionale", un accordo principali comunità religiose che attribuisce la presidenza della Repubblica a un cristiano maronita, la guida del governo a un musulmano sunnita e la presidenza della camera dei deputati a uno sciita. Il Libano diventa così «più che un Paese, è un messaggio», come dirà Papa Giovanni Paolo II il 25 maggio 1990, un modello di civiltà dove religioni e culture diverse riusciranno a convivere nella pace per lunghi periodi di tempo.
"settembre nero" 1970. Giunge alla massima tensione il conflitto fra il governo della Giordania e le forze palestinesi che operano sul territorio giordano; inizia lo spostamento progressivo di palestinesi in Libano, che raggiungono una presenza di circa 600mila, molti dei quali armati e inquadrati in diverse organizzazioni, su un totale di circa 3 milioni di abitanti.
13 aprile 1975. All'uscita della Messa celebrata in occasione dell'inaugurazione di una chiesa nel rione di Ain Remmaneh alla periferia di Beirut, passano una jeep e una Simca dalle quali partono alcuni colpi di arma da fuoco che uccidono militanti del Kataeb, il partito nazionale libanese guidato dal cristiano maronita Pierre Gemayel. Nel pomeriggio, un autobus carico di palestinesi e libanesi armati viene attaccato e vi sono oltre 30 morti. Inizia la guerra che vede contrapposti i palestinesi presenti sul territorio libanese ai libanesi che difendono la sovranità dello Stato. Il conflitto tenderà a confessionalizzarsi contrapponendo le diverse comunità cristiane, cattoliche e ortodosse, maroniti, melchiti e armeni, ai palestinesi sostenuti dai musulmani, ma non da tutti.
14 settembre 1982. Il capo della resistenza cristiana libanese Bashir Gemayel, eletto Presidente della Repubblica il 23 agosto, viene assassinato nel giorno della Festa dell'Esaltazione della Croce insieme a 30 suoi collaboratori con un attentato dinamitardo portato a termine da Habib Chaol su commissione siriana, come dirà un altro dirigente comunità cristiana, Dany Chamoun, poche ore prima di essere assassinato a sua volta, nel novembre 1990, commentando l'avvenuta scarcerazione dell'assassino del Presi Gemayel.
1991. L'ingresso della Siria nella coalizione anti-irakena nella Guerra del Golfo ha permesso al Paese di Assad di occupare il Libano con decine di migliaia di soldati e di firmare col Presidente libanese, a Damasco, il 22 maggio, un accordo di "fratellanza" che sancisce di fatto la fine della sovranità libanese. lnizia la "pax siriana" che durerà fino ai nostri giorni, quando, in seguito ai mutamenti internazionali avvenuti dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, si comincia forsa a intravedere uno spiraglio di soluzione perché il Libano possa ritrovare la libertà e la sovranità perdute.
IL TIMONE – N.40 – ANNO VII – Febbraio 2005 pag. 22-23-24