Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

13.12.2024

/
Liberi di educare
31 Gennaio 2014

Liberi di educare

 

 

Libertà di educazione e sopravvivenza delle scuole non statali in pericolo. Per il Papa tocca ai cattolici difendere le libertà di tutti. Ma anche i laici più attenti sono con loro.

 

 

“Chiediamo con forza ai responsabili politici e istituzionali che sia rispettato concretamente il diritto delle famiglie e dei giovani a una piena libertà di scelta educativa”. Con queste ferme parole il Papa – nella grande riunione in Piazza San Pietro del 30 ottobre scorso, a conclusione del Convegno della CEI sulla scuola cattolica – ha ancora una volta riaffermato la necessità che si realizzi finalmente, in Italia, una effettiva parità giuridica ed economica fra scuola statale e non statale, “superando antiche resistenze estranee ai valori di fondo della tradizione culturale europea”. Infatti, il nostro Paese è l’unico in Europa in cui le scuole non statali sono trattate come l’ultima ruota del carro, e i cittadini che ne usufruiscono sono costretti a pagare due volte il servizio: una prima volta con le ordinarie imposte (parte delle quali è destinata ovviamente a coprire i costi della scuola statale) e una seconda volta con le rette necessarie per la sopravvivenza della singola scuola dei loro figli: scuola cui ben si addice il termine comunemente usato di “privata”: nel senso preciso di “privata di tutto”! Questo trattamento profondamente ingiusto è riservato a tutte le scuole non statali, siano esse cattoliche o non cattoli-che (e da questo punto di vista va dunque chiarito una volta per tutte che la battaglia per la libertà della scuola non è una battaglia per la difesa confessionale della scuola cattolica, ma una battaglia per la libertà in assoluto). E invero le “antiche resistenze” di cui parla il Papa, sulle quali si fonda tale disparità di trattamento, sono “sempre più anacronisti-che” – come ha osservato il card. Ruini il 27 ottobre – e affondano le loro radici in uno statalismo invadente e onnipervasivo di origine illuministica, che rifiuta di riconoscere: a) che “statale” e “pubblico” sono concetti ben diversi, e che pertanto: b) qualunque scuola, statale e non statale, svolge una funzione eminentemente pubblica, purché rispetti gli standard minimi fissati dallo Stato. Il rischio sempre più incombente oggi in Italia è dunque – anche in campi diversi da quello della scuola, come nel settore della sanità o dei trasporti – quello del monopolio statale, che non tiene conto della funzione essenziale, in una società moderna, dei cosiddetti corpi intermedi, come le famiglie e tutta la variegata costellazione dell’associazionismo. Ci si dimentica, cioè, del fondamentale principio della sussidiarietà, in forza del quale “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze; ma piuttosto sostenerla e aiutarla nella sua azione, in vista del bene comune” (Centesimus annus, n. 48; cfr. anche la Quadragesimo anno in cui Pio XI scrive che “lo Stato deve aiutare a conseguire quei beni che i singoli o le comunità minori non riescono a conseguire con la loro attività privata”).
Questo è il principio dimenticato, anzi spesso addirittura capovolto, se è vero che, per esempio, il ministro Berlinguer ha affermato che “sussidiarietà” vuoi dire non che lo Stato interviene dove i corpi intermedi non arrivano, ma che… se lo Stato non ce la fa, ben vengano i corpi intermedi!
È chiaro che in questo modo si viola gravemente il fondamentale diritto delle famiglie alla libertà di educazione, sancito del resto anche dall’art. 30, primo comma, della nostra Costituzione; e dal quale deriva che la vera libertà è strettamente collegata a un vero pluralismo: che, per essere tale, suppone individui differenti e pertanto istituzioni differenti, perché le differenze fra gli individui sono spesso sostanziali, e non possono essere confinate nel privato. Diceva un grande laico, Luigi Einaudi: “monopolio, uniformità, conformismo sono causa di decadenza e mortificazione”, e aggiungeva: “la scuola di Stato si salva e progredisce nella libertà”: perché davvero se esiste un sano pluralismo scolastici ossia se esiste un sistema pubblico istruzione svolto pariteticamente da istituzioni statali e non statali – nasce immediato beneficio anche per le scuole statali: le quali, da una costruttiva emulazione con quelle non statali, non possono che trarre una efficace spinta al miglioramento.
A questo punto, le obiezioni alla realizzazione di una vera parità scolastica – e non di una sua volgare parodia, come quella proposta dal governo, con l’appoggio, ahimè, di alcuni cristiani che non sanno che cosa voglia dire sussidiarietà, e sono soltanto attaccati al potere – restano su un piano puramente formalistico e si riducono a vecchi e superati luoghi comuni. A partire dal famoso “senza oneri per lo Stato” dell’art. 33, terzo comma, della Costituzione, che renderebbe incostituzionale qualunque finanziamento pubblico alla scuola non statale: quando anche i sassi sanno – o dovrebbero sapere – che il padre di quella frase, il laicissimo Epicarmo Corbino, ne aveva così spiegato la portata e il senso durante il dibattito alla Costituente: “noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati: diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato”.
Un’altra diffusa obiezione fa leva sull’osservazione che il principio della libertà non sarebbe applicabile in modo assolutistico, pena la negazione del principio dell’uguaglianza. Ma il principio della libertà è sacro, e non appare pensabile una sua applicazione in senso più o meno assolutistico: è inevitabile che quello di uguaglianza gli sia subordinato. E poi, uguaglianza in che senso? Dei punti di partenza, come è giusto – e che solo una effettiva parità scolastica riesce a tutelare – o dei punti di arrivo, col che si causano gravissime ingiustizie? Tutti uguali, insomma, come persone e come soggetti di diritto: ma profondamente disuguali, grazie a Dio, come talenti, convinzioni, inclinazioni, gusti, modi di vita. Risibile è poi l’obiezione, avanzata recentemente dal ministro Berlinguer, che la realizzazione di una vera parità scolastica potrebbe indurre “metà degli alunni” della scuola statale a passare a quella non statale, con la conseguenza che tanti insegnanti dipendenti dallo Stato andrebbero a spasso. Obiezione risibile, dicevamo, ma soprattutto indizio di una profonda sfiducia nella scuola statale di oggi, e di un conservatorismo gretto e timoroso di qualunque innovazione. Anche Eugenio Scalfari, con la consueta supponenza, è intervenuto sul problema elegantemente chiamato del “foraggiamento” alla scuola privata, accusando i “sedicenti laici” di Forza Italia di strumentalizzare la questione, allo scopo di dare “una vera e propria spallata” alla scuola statale, ed esortando a smorzare i toni della polemica, che a suo avviso avrebbe raggiunto un’acredine mai vista. Ma che cosa vogliono questi laicisti? Che ci si lasci spogliare dei propri diritti fondamentali e ancora si dica grazie? Che si continui a credere nell’identificazione tra laicità e Stato, e che la libertà si realizzi unicamente nello Stato? Che le “scuole dei preti” costituiscano un pericolo di oscurantismo ottuso e antimoderno? Che – come ha scritto giustamente Pierluigi Battista – “il pluralismo possa trovare terreno fertile unicamente al riparo dalla libera competizione di idee e modelli educativi”? Tanti studiosi ed esperti laici – ma non laicisti – sono ormai ben convinti che la battaglia per la parità della scuola è il terreno fondamentale su cui si difende la libertà tout court: da Pierluigi Battista, appunto, a Sergio Romano, da Angelo Panebianco ad Antonio Martino, da Dario Antiseri a Lorenzo Infantino. E tanti Paesi ben più laici dell’Italia riconoscono pacificamente alle famiglie il diritto di scegliere liberamente il percorso formativo e scolastico dei loro figli.

IL TIMONE – N. 5 – ANNO II – Gennaio/Febbraio 2000 – pag. 4-5

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista