Svalutare il passato; sopravvalutare il presente; giudicare ideologicamente gli eventi: questi gli errori che oggi impediscono di comprendere pienamente la storia e la vita della Chiesa. Solo la Verità ci rende liberi
Dicevamo la volta scorsa di come il cristianesimo – credendo in un Dio che, facendosi uomo, è entrato negli eventi del mondo – sia particolarmente idoneo a vivere e al contempo a giudicare la storia, proprio perché esso stesso è strutturalmente storia in continuo divenire verso una meta ultima, rappresentata dal trionfo di Cristo. Una storia, dunque, all’interno della quale va sviluppandosi quel Regno di Dio che, seppure tra ombre e luci, sappiamo essere già all’opera. E che vede in gioco, fino alla fine del tempo, una inevitabile lotta tra bene e male, tra peccato e grazia. In una alterna vicenda tra livelli di conoscenza, che si fanno sempre più attenti e profondi nel corso dei secoli al misterioso rapporto tra il Dio di Gesù Cristo e l’uomo. Ma, anche, nella presa d’atto della presenza ben radiradicata nella storia di una continua e dura resistenza da parte di quelle forze del male che si oppongono all’avvento del Regno e che hanno nel cuore dell’uomo il loro luogo di elezione.
Aggiungevamo che proprio il capitale inestimabile di cui la Chiesa è dotata è la salvezza guadagnata da Gesù duemila anni fa, continuamente riattualizzata nella Scrittura e nei Sacramenti, unita alla preziosa assistenza dello Spirito Santo, la pongono in grado, nonostante i limiti degli uomini, di operare quei giudizi sulla storia, con le conseguenti scelte, che le hanno consentito (e le consentiranno in futuro, parola di Gesù stesso), di non fare naufragio anche nelle situazioni più difficili.
Da parte degli stessi cristiani, tuttavia, non sempre è facile capire le categorie “religiose” in base alle quali la Chiesa si è mossa in passato e si muove attualmente nel suo operare. E ciò, soprattutto, se ci si lascia contagiare, come è facile che avvenga, da quelle che sono le categorie mondane che in alcuni periodi – ed è il caso di questo nostro momento storico – sono spesso opposte a quelle cristiane. Per questo ci sembra interessante ora esaminarne alcune. In particolare, ci soffermeremo su tre di esse che ci sembra rendano particolarmente difficile apprezzare la storia della Chiesa nella sua interezza: quella, cioè, che ci sta alle spalle, ma anche quella che si svolge giorno dopo giorno sotto i nostri occhi. Quelle categorie sono: una diffusa svalutazione del passato; la tendenza a sopravvalutare il presente; l’uso del filtro del pensiero ideologico per giudicare gli eventi.
Una sorta di “associazione a delinquere” che ha fatto del male ovunque è giunta con i suoi tentacoli: questa, purtroppo, sembra essere l’idea che molti, oggi, hanno della storia della Chiesa. Basterebbe a dimostrarlo il solito rosario di luoghi comuni, di leggende nere, come qualcuno giustamente le ha chiamate, che viene recitato ogni qualvolta si entri in questi temi: crociate, inquisizioni, annientamento di intere popolazioni, conversioni forzate, oppressione della donna, omofobia, oscurantismi che si frappongono, fin dai tempi di Galileo, allo sviluppo della scienza e al progresso verso la modernità. Come si vede, un quadro ben nutrito di molti pregiudizi che ormai sembra quasi impossibile sradicare anche presso molti cattolici. Ad esempio, non conta che tanti storici, anche non cristiani e neppure credenti, siano sempre più spesso d’accordo sul fatto che, alla fine, le crociate siano state più che altro dei pellegrinaggi armati; che l’inquisizione sia stato un fenomeno ben limitato e in ogni caso svoltosi entro una cornice giuridica precisa; che là dove la Chiesa è giunta nel corso della sua espansione in realtà ha sempre portato attenzione e rispetto per l’uomo e la sua sacralità; che essa sia stata il luogo in cui la donna ha da sempre potuto trovare spazi altrove impensati; che le riserve opposte a Galileo siano in realtà quelle stesse perplessità che oggi molti sollevano verso una spaccatura tra i diversi rami del sapere, tra scienza, filosofia, etica e che induce molti alla paura di conseguenze assai pericolose.
Ma soprattutto, non conta quell’aspetto che più ci interessa qui: e cioè che non è lecito giudicare gli eventi passati con le categorie attuali. Tanto più se si pensa al fatto che quella stessa Chiesa, criticata per aver operato in altri tempi con altre modalità, è quella stessa cui in ultima analisi si devono quei risultati di progresso e di civiltà ai quali si è giunti oggi. Dove crediamo infatti che la modernità abbia attinto i tanto vantati pilastri su cui si regge? Il valore di ogni uomo, anche di quello con basso censo e poca o nulla cultura; la radicale uguaglianza, pur nella diversità tra i sessi; la distinzione tra il regno di Cesare e quello di Dio; il diritto alla libertà di coscienza; il valore del lavoro e dell’impegno temporale; la giustizia nel rapporto tra gli uomini. Certo, pure la Chiesa vive nella storia e quindi anch’essa sperimenta un progresso nei livelli di coscienza degli uomini che di essa fanno parte. Ma ciò non deve scandalizzare. E questo perché è scontato che nei suoi aspetti istituzionali essa non sia esente dal peccato. Ma essa non conosce il peccato nel suo mistero profondo, in quanto Corpo mistico di Cristo. Ed è proprio da questa sua profondità immacolata che essa trae ogni volta la forza per riconoscere anche i suoi eventuali peccati e fare ammenda. Ma anche per riproporre a se stessa e al mondo quella Verità sulla quale è costituita. Verità che essa non può mutare, ma solo servire. Una Chiesa, comunque, che per tutto questo può e deve essere umile, ammettendo che molte cose ancora essa stessa deve approfondire sotto la guida di quello Spirito che la conduce e che la porta a scoprire nel tempo sempre più e sempre meglio il tesoro che le è stato affidato.
Se questa visione profonda, sacra, della storia, ci fa capire con quale sguardo dobbiamo guardare al passato cristiano, ridimensionando quell’ottica negativa che contagia anche molti tra noi, è questa stessa visione che ci deve guidare anche per orientarci nel presente. Se, infatti, per guardare al passato spesso inforchiamo lenti nere, al contrario spesso ne mettiamo di rosa per giudicare il presente. Credo si tratti di una reazione normale, probabilmente oggi rinforzata da quella sorta di onnipotenza che la fiducia nella scienza ci dona. Fatto sta che spesso oggi si vive nella convinzione di aver toccato, come dire?, il top nelle conoscenze, l’apice nel progresso, un punto quasi insuperabile nella comprensione della storia del mondo e dell’uomo. Il problema è che, se è vero che in molte cose la conoscenza è davvero progredita e con essa i livelli di coscienza, è anche vero che un cristiano deve stare molto attento ad abbracciare questa euforica sensazione. E ciò perché egli sa che il vero “top” con il quale davvero confrontarsi sta altrove. Sta in quel disegno sempre imperfetto quaggiù nella storia e che otterrà il suo compimento solo alla fine dei tempi. E che dunque, se deve coltivare comprensione fraterna verso il passato, deve guardare sempre con grande umiltà a quel presente nel quale, nonostante la buona volontà, forse sta commettendo errori dei quali si accorgeranno solo le generazioni future. Magari neanche tanto lontane. Così, tanto per fare qualche esempio, varrà la pena di ricordare l’enfasi posta solo qualche decennio fa sulla quella teologia della liberazione presentata come la “svolta” nella Chiesa e della quale oggi è invece chiara tutta la carica demagogica. Oppure, ugualmente, quell’entusiasmo postconciliare verso un “mondo” con il quale sembrava che si stesse inaugurando un’era di felice dialogo e che invece si è rivelata una strada in salita in cui è difficile anche solo veder riconosciuta l’importanza che il cristianesimo ha avuto nella storia dell’Europa e del mondo.
Potremmo continuare ancora a lungo nel citare esempi. Ma ci fermiamo qui perché più che il numero di essi conta la mentalità alla quale devono condurci. E, cioè, alla lucidità e alla umiltà che noi cristiani dobbiamo avere per vivere la nostra parte nella storia. Due atteggiamenti che ci devono portare a riflettere bene, imparando a prendere le distanze da tutte le mode, sia da quelle mondane di ogni tipo come da quelle spirituali (perché esistono anche queste). Riflettere, per tornare ogni volta al cuore del cristianesimo. A quella Verità che ci rende davvero liberi pur nei nostri limiti, a quella che rende la Chiesa, nonostante i peccati dei suoi uomini, capace di operare e di giudicare il mondo.
Tanto più in epoche come quelle attuali, in cui il fattore purtroppo decisivo per orientare le scelte di popoli interi sono diventate le ideologie. E, cioè, quegli schemi mentali che la ragione inventa di volta in volta per inquadrare e spiegare la realtà. Ne abbiamo già parlato altre volte. È un bisogno naturale dell’uomo dare un senso alla propria esistenza e – in mancanza di una fede che ti dica chi sei, qual è il tuo destino e ti guidi a realizzarlo – è inevitabile che si trovino dei sostituti. Si tratta però di soluzioni assai pericolose. Pensiamo al comunismo, al nazismo. Ma anche a ideologie apparentemente più innocue come il pacifismo, l’ecologismo, il liberalismo e il razionalismo esasperati. A tutto, cioè, quell’insieme di prospettive che attualmente sono in auge e che danno vita a quel “politicamente corretto” che rappresenta oggi la vera, nuova e ferocissima inquisizione e dalla quale sei pesantemente condannato, e spesso perseguitato, se appena osi discostarti. Ma anche quella verso cui occorre, restando ben aggrappati alla Verità evangelica e alla materna premura della Chiesa, saper sviluppare un sano anticonformismo.
IL TIMONE N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 56 – 57