È L’INFERNO UNA REALTÀ MISTERIOSA E TERRIBILE, CON LA QUALE È BENE NON SCHERZARE.
In un celebre discorso pronunciato all’Università di Harvard sul finire degli anni Settanta, Aleksandr Solzenicyn, dissidente prima imprigionato e poi espulso dall’Urss, ravvisava nel declino del coraggio uno dei caratteri dell’Occidente.
Ho l’impressione che la mancanza di coraggio affligga oggi una buona parte del mondo cattolico. Ci manca la doverosa audacia di annunciare tutte le verità della fede cattolica, anche le più scottanti. Si prenda, per esempio, l’esistenza dell’inferno e la possibilità di esservi condannati per l’eternità. È tale la paura di “spaventare” il prossimo, e noi stessi, che abbiamo rimosso questa realtà proclamata da Gesù in molteplici occasioni.
Fino a ieri i cristiani parlavano diversamente: “Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell’inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho visto: la prima pena, quella che costituisce l’inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l’anima, ma non l’annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall’ira di Dio; la quinta pena è l’oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l’odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall’altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l’onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l’eternità”
Parole d’altri tempi, teologia vecchia e superata, tentativo di terrorizzare le anime pure e belle e gentili dei cristiani e di quanti tali non sono: questo, diciamolo, il giudizio che oggi nel mondo cattolico va per la maggiore. L’inferno è sparito dalla predicazione e dall’insegnamento. In genere non se ne parla, le rare volte che lo si fa se ne attenua la tremenda realtà. Una fede matura, si dice, non ha bisogno di simili argomenti. Fosse vero, se ne dovrebbe dedurre che la fede dei cristiani che ci hanno preceduto nei due millenni dopo Cristo, che hanno riempito il cielo di santi e la terra di opere buone, che dell’inferno parlavano, ne avevano terrore e lo ricordavano ai peccatori perché si ravvedessero e ai virtuosi perché perseverassero, non doveva essere poi così matura.
È l’inferno una realtà – ripeto: realtà – misteriosa e terribile, con la quale è bene non scherzare. Lo dico innanzitutto a noi, poveri cattolici, che possiamo confidare solo sulla infinita misericordia di Dio per scamparla. Ma non vedo la ragione per la quale dobbiamo limitarci, o impedirei, di avvertire il nostro prossimo – e ricordare a noi stessi, è chiaro – che esiste la possibilità di andarvi.
Dunque, che senso ha ricordare oggi la realtà infernale? Lascio rispondere l’estensore di quelle parole, Suor Faustina Kowalska: “Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun’anima si giustifichi dicendo che l’inferno non c’è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia. lo, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell’inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l’inferno c’è”.
Inutile aggiungere altro! Voglio solo ricordare che Suor Faustina è santa. Ed è la santa che ha ricevuto dal Signore il compito di diffondere il messaggio della Divina Misericordia. È stata canonizzata dal connazionale Papa Giovanni Paolo Il – che al suo messaggio ha dedicato l’enciclica Dives in Misericordia – e la prima domenica dopo Pasqua è stata istituita la festa liturgica della Divina Misericordia. A quella santa il coraggio – ve ne sarete accorti – non mancava!
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 3