Dante è viator, rappresenta ogni uomo, pellegrino sulla terra, la quale è solo un passaggio prima della vita eterna ultraterrena.
In questa cantica il sommo poeta compie un viaggio di penetrazione nelle viscere della terra e dell’uomo. Parla della possibilità di innalzarsi, con la ragione, la volontà e l’aiuto divino, dalla miseria del peccato alla comunione con Dio
La scelta di questo dossier di far leggere la Divina Commedia al contrario (dalla terza alla prima cantica) è indubbiamente utile per comprendere che l’uomo, nato da un atto d’amore di Dio, è destinato all’eternità beata, se corrisponde all’amore divino.
Ci tocca, cosa assai ardua in poco spazio, presentare l’Inferno, la cantica per tanti versi più semplice a motivo della sua concretezza, vivacità di immagini, di toni ed esperienze.
Perché Dante parla dell’inferno? Anzitutto, perché l’Inferno esiste (cosa che oggi molti negano), ma non solo. Facciamo allora un sintetico itinerario dentro l’esperienza dantesca per comprendere il senso del suo viaggio e per capire che cosa ancora abbia da dire oggi l’incontro con questa cantica.
Dante rappresenta ogni uomo
Nel I canto Dante scrive: «Mi ritrovai per una selva oscura»: Dante uomo e scrittore si identifica completamente con il Dante personaggio della Commedia, parla di sé e della sua vita interiore; Dante scrittore, inoltre, parla al lettore di sé come di un viator, un pellegrino, che rappresenta ogni essere umano, pellegrino sulla terra, la quale è solo un luogo di passaggio prima della vita ultraterrena che è eterna.
Da subito capiamo, leggendo fino alla fine il primo canto (che assume valore proemiale per tutta l’opera), che Dante viaggiatore si trova in una selva oscura, «ché la dritta via era smarrita»: egli non riconosce più qual è la strada che deve percorrere; potremmo dire che non sa quale sia la sua vocazione. Occorre notare che egli smarrisce la strada, si ritrova in una selva e ciò gli mette paura (parola chiave in tutta la cantica). Che cosa fa dunque? Inizialmente si dispera: è ciò che succede a ciascuno di noi quando non intravediamo il cammino da percorrere. Anche il linguaggio che descrive la selva mostra la durezza della situazione: «esta selva selvaggia e aspra e forte». Il cammino si fa arduo ed egli arriva ai piedi di un colle, simbolo della vita virtuosa, che si conquista con un cammino di ascesi.
Qui, dopo la disperazione, arrivato ai piedi di un colle, Dante formula la richiesta di aiuto: guarda il sole, la paura si fa «queta» e riprende il cammino. Ma a un certo punto tre fiere si mettono sul suo cammino: una lonza, un leone e una lupa.
Queste tre fiere rappresentano rispettivamente i tre vizi (lussuria, superbia e avarizia) che sono all’origine dei suoi peccati e di quelli di tutti.
Dante, così, riesce a cogliere le sue debolezze e quelle di tutti gli uomini: è già qui che si palesa l’universalità della sua opera.
La lotta esteriore che egli ingaggia concretamente con le fiere che gli si parano davanti è simbolo della lotta interiore ed egli arriva perfino a piangere.
A un certo punto vede Virgilio, che gli consiglia di intraprendere una via diversa. Sapremo, lungo il viaggio che si dispiega per le tre cantiche, che l’arrivo di Virgilio è frutto dell’intervento materno di Maria che, su preghiera di Beatrice, la donna salutifera (che porta salvezza secondo la concezione medievale), si è mossa perché un figlio non fosse abbandonato.
C’è dunque un’interazione fortissima tra il mondo dei vivi, che ancora sono pellegrini sulla terra, ed i beati del Cielo. Virgilio rappresenta la ragione umana, che, da sola, può in buona parte comprendere l’uomo ed il senso della vita e che viene arricchita quando arriva la fede (è l’apice del Purgatorio, quando giunge Beatrice): il discernimento di ciò che è bene e di ciò che è male è un dato di ragione e non di fede; infatti Dante chiederà varie volte chiarimenti al suo «maestro». Virgilio, d’altra parte, è figura di ogni uomo naturalmente religioso che anela a Dio con tutta la sua umanità, aperto con il proprio cuore alla realtà e che, pur pagano, ricerca nella realtà i segni del divino: a motivo di ciò Dante viator lo segue.
Questo primo canto proemiale della Divina Commedia ci dà un grande insegnamento: il viaggio della vita è un cammino insieme ad altri, la meta ogni tanto si mostra ai viandanti lungo il viaggio ed ogni tanto si nasconde.
Ma una cosa è certa: essa c’è, è la comunione con Dio. Il viaggio di Dante è un viaggio di penetrazione nelle viscere della terra e dell’uomo perché egli (l’abbiamo visto negli articoli precedenti del dossier) possa risorgere.
Alcune figure incontrate lungo il viaggio
E, così, superato anche il secondo canto, che spiega il significato del viaggio di Dante voluto da Dio, nel III canto oltrepassiamo le porte dell’Inferno. Dante incontra nel vestibolo gli ignavi e poi (canto IV) coloro che stanno nel Limbo. Tutti i canti successivi riferiscono l’incontro diretto di Dante con le anime dannate ed egli si addentra nelle forme del male. La sua non è una speculazione astratta sul bene e sul male: Dante parlerà con uomini e donne che hanno voluto stare nel male. Egli viaggerà per cerchi, gironi e bolge infernali addentrandosi sempre più nel centro della terra. Il luogo si fa buio, tetro, l’aria diviene pesante ed a tratti soffocante. Non c’è luce. Il luogo è invivibile, all’Inferno non c’è vita umana degna di essere vissuta. Egli vedrà la disumanità degli uomini e incontrerà figure mitologiche (Cerbero, Minosse, Pluto, Flegiàs, i diavoli, Nembrot) che qui dimorano, custodiscono luoghi e curano anime, fino a guardare Lucifero (nell’ultimo canto), conficcato a testa in giù nel centro della terra.
Incontrerà incontinenti, violenti e fraudolenti. Non sempre Dante vede le anime: a volte ne sente la presenza, per esempio in un vento incessante che tutto travolge (che è simbolo della passione dei lussuriosi, di cui è emblema l’amore di Paolo e Francesca); oppure vede cespugli (come nel caso di Pier delle Vigne tramutato in pianta e non più uomo, perché si è suicidato, cioè ha negato se stesso), oppure gente incappucciata da cappe dorate e di piombo (gli ipocriti).
C’è un contrappasso chiaro e palese in queste scelte del sommo poeta italiano: l’anima è dannata e punita per ciò e con ciò che ha scelto in vita: essa è diventata vento, cespuglio, ecc. Altre volte il contrappasso non è così evidente, ma resta fondamentale nell’economia dell’opera: da un punto di vista morale la condizione ultraterrena di ogni uomo è il risultato della sua libera scelta; da un punto di vista teologico essa è la manifestazione concreta della giustizia di Dio.
Emblematici per la concretezza e la passione poetica sono gli incontri con Ulisse (l’uomo che ha cercato di superare il limite posto da Dio, ma a cui Dante riconosce la grandezza del desiderio di conoscenza), con Farinata (condannato come eretico ma stimato per l’impegno civile), Brunetto Latini (punito per la sua sodomia, ma grande letterato). A tratti ironico, ma sempre concretissimo nelle sue descrizioni, Dante racconta, pennella e rappresenta.
Dante incontra ogni sorta di peccatori nel suo cammino: di alcuni (Paolo e Francesca) ha pietà, di altri disgusto (come nel caso degli usurai, che guarda con particolare ferocia perché anche suo padre ne era soggiogato).
Quando ha compassione e pietà, queste riguardano il peccatore, ma non il peccato, per il quale sempre fermo rimane il giudizio. Un grande insegnamento per la nostra epoca relativista.
A volte la collocazione di alcuni dannati nell’Inferno (come nel caso di Papi della grandezza di Celestino V o Bonifacio VIII) si spiega solo alla luce di dissapori politici: d’altra parte, anche Dante scrittore è un uomo non sempre imparziale.
Dobbiamo risorgere dal peccato
Il viaggio di Dante, e di ciascuno di noi che in tale viaggio si vuole identificare, è il cammino di uno che teme, ha paura e soffre ma che, guardando in faccia con onestà il suo stesso male, mettendosi in cammino con una guida sicura, saggia e ragionevole, arriva alla meta.
A secoli di distanza, leggendo e studiando l’opera di quest’autore continuiamo ad appassionarci ai personaggi, a soffrire e gioire con loro e con lui, perché la Commedia è un’opera universale che parla all’uomo e dell’uomo. Parla della possibilità di innalzarsi, con la ragione, la volontà e l’aiuto divino dalla miseria del peccato alla comunione con Dio.
RICORDA
«Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita. / Ahi quanto a dir qual era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!»
(Inferno, 1-6)
BIBLIOGRAFIA
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AA.VV., Esperimenti danteschi. Inferno 2008, Marietti, 2008.
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Emil Ruth, Studi sopra Dante Alighieri, PiZeta, 2008.
Valeria Capelli, La Divina Commedia. Percorsi e metafore, Jaca Book, 2002.
Dossier: La Divina Commedia: capolavoro massimo della letteratura
IL TIMONE N. 96 – ANNO XII – Settembre/Ottobre 2010 – pag. 42 – 43