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L’Inferno? Non cancella la bontà di Dio
31 Gennaio 2014
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L’Inferno? Non cancella la bontà di Dio


Dio rispetta la libertà umana sino alle sue estreme conseguenze, compreso il rifiuto totale e definitivo del proprio Creatore. dio propone ma non impone la propria amicizia e la propria compagnia a nessuno, né in questo mondo, né nell’aldilà. e l’inferno non è vuoto.

Dopo duemila anni di cristianesimo, l’esistenza di un Dio buono che si prende cura delle sue creature non è più una novità; anzi siamo talmente abituati a questa idea, estranea invece alle altre culture e religioni antiche e attuali, che, specie nell’epoca contemporanea, non sorprende una certa confusione tra il Dio cristiano e… Babbo Natale.
In questa visione buonista e un po’ naif, arriva però il problema del male a creare scompiglio, e specialmente quel male totale e definitivo che si chiama inferno.
In effetti il male che sperimentiamo in questa vita non costituisce un vero problema all’esistenza e bontà di Dio, come è stato adeguatamente illustrato nell’articolo di G. Samek Lodovici; non fosse altro, esso è mitigato dalle gioie che pure non mancano, ed è limitato ai pochi anni che abbiamo da vivere su questa terra. Ma che dire dell’inferno? Lì non c’è mitigazione, né limite: come può un Dio che è sapienza e bontà infinite «condannare» le sue creature a tanta pena?
Domande drammatiche a cui cercheremo ora di dare brevemente risposta.

L’inferno c’è
Dobbiamo anzitutto sgombrare il campo dal dubbio circa la sua esistenza. L’inferno non è un semplice spauracchio tirato in ballo da una predicazione datata e moraleggiante: con buona pace di certa teologia contemporanea, dobbiamo affermare che l’inferno c’è. A questo ci portano concordemente la rivelazione e la retta ragione.
Già Giovanni il Battista nella sua predicazione aveva annunciato che il Messia ha in mano il ventilabro con cui pulisce la sua aia: raccoglierà il buon grano nel proprio granaio, e brucerà lo scarto con un fuoco inestinguibile (Mt 3,12). Gesù poi mette in guardia più volte dal pericolo di finire nella Geenna, il fuoco inestinguibile (cf ad es. Mc 9,43-48) e dichiara che alla fine del mondo i cattivi saranno separati dai buoni e saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti (cf Mt 13,49): infatti il Giudice dividerà i buoni dai cattivi, e mentre gli uni riceveranno in eredità il regno preparato per loro, gli altri saranno cacciati lontano da lui, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (cf Mt 25,31-46); in questo modo si realizzano due destini antitetici ed irrevocabili: e se ne andranno questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna (Mt 25,46). La Tradizione della Chiesa, negli scritti dei Padri e nei pronunciamenti dei Papi e dei Concili, non ha fatto che ribadire ed illustrare tali contenuti.
Ma anche la retta ragione riconosce l’«esigenza» dell’inferno, e proprio a motivo della sapienza e bontà di Dio. Infatti è conforme alla sapienza di Dio lasciare che la creatura razionale si autodetermini secondo la propria natura: è dunque logico che, avendo creato un essere consapevole e libero, Dio rispetti tale libertà sino alle sue estreme conseguenze, compreso il rifiuto totale e definitivo del proprio Creatore; inoltre è conforme alla bontà di Dio proporre ma non imporre la propria amicizia e la propria compagnia a nessuno, né in questo mondo, né nell’aldilà.

Che cos’è l’inferno
L’inferno è «lo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1033). Percorriamo analiticamente questa autorevole definizione.
Anzitutto l’inferno è uno stato, cioè una condizione di vita (cfr. anche Giovanni Paolo II, Catechesi di mercoledì 28 luglio 1999), quella in cui si trovano gli angeli divenuti malvagi e le anime dei dannati; per ora riguarda esseri che vivono una condizione puramente spirituale; invece con la risurrezione della carne i dannati recupereranno il corpo reso immortale.
Questo stato è necessariamente definitivo. Tale definitività deve essere intesa in due sensi. Anzitutto è definitiva la condizione di dannazione in quanto tale, cioè l’inferno non avrà mai fine. È fuor di dubbio che Gesù non scherzasse quando diceva che nella Geenna si è tormentati da un verme che non muore e da un fuoco che non si estingue (cf Mc 9,48). E san Giovanni nell’Apocalisse dice dei dannati che il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli (Ap 14,11).
Si comprende bene come questo faccia difficoltà, ma basta ragionare: Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, e non c’è dubbio che il vivere per sempre sia un dono, non un castigo; contemporaneamente ha dato all’uomo la possibilità di scegliere se dedicarsi al bene o al male; ora è evidente che dando libero corso alla propria decisione l’uomo, e non Dio, stabilisce come trascorrere la propria immortalità. È poi definitiva la volontà di ogni singolo dannato di permanere nella dannazione. Infatti il motivo per cui è dannato è precisamente la radicalizzazione assoluta e definitiva, avvenuta nella morte, del proprio rifiuto di Dio, che il malvagio ha costruito per tutta la vita.
Infine questo stato consiste essenzialmente nell’esclusione volontaria dalla comunione con Dio. Quest’ultimo aspetto merita una trattazione specifica e quindi ci introduce nel paragrafo seguente:

Come si vive all’inferno
L’inferno è anzitutto «separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1035). Per comprendere la portata di questa privazione occorre rendersi conto che se nella vita terrena il vuoto dell’assenza di Dio può essere mitigato dal-l’immersione nei beni materiali o in altri surrogati, passata la scena di questo mondo l’uomo si trova di fronte alla verità di se stesso, cioè che tutto in lui dice relazione al Creatore. Tale vuoto resta dunque incolmabile e lacerante.
Ma nell’inferno i dannati subiscono anche la pena di un «fuoco eterno» (ibidem, n. 1035). È evidente che non si tratta di fuoco come quello che brucia in questo mondo, poiché non potrebbe nuocere all’anima dannata; molto opportunamente san Tommaso d’Aquino lo concepisce come un «carcere» che avvolge ed immobilizza il dannato.
La sintesi di queste due pene può essere così rappresentata: al momento della morte, l’anima del malvagio, separata dal corpo, «entra» in una nuova dimensione; sola con se stessa sarebbe naturalmente spinta alla ricerca di una relazione, ma nessuna relazione è possibile: non con Dio, da cui è inesorabilmente separata; non con altre creature, poiché non ha più i sensi corporei che sono i veicoli naturali della relazione, né l’unione con Dio, da cui deriva l’unione spirituale con tutti coloro che sono uniti a Dio. Dunque si trova imprigionata in se stessa, avvolta da una solitudine abissale, immersa in una ombra di esistenza che è lucida consapevolezza di restare per sempre inerte, deforme, contraddittoria.

Chi va all’inferno
Per andare all’inferno bisogna mettercela proprio tutta, bisogna opporsi a Dio con tutto se stessi e ostinatamente: «Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di un’avversione volontaria a Dio (un peccato mortale) in cui si persiste sino alla fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n 1037).
Dunque è difficile, ma purtroppo non è impossibile. Infatti «non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di Lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi» (n. 1033), poiché non si può essere amici di qualcuno e poi fare consapevolmente e deliberatamente ciò che a lui dispiace.
È dunque inevitabile che «morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta» (n. 1033).
In sintesi: ognuno di noi dà un orientamento alla propria vita, verso Dio o contro Dio; Dio stesso ci illumina con la Rivelazione e nell’intimo della coscienza, e con la sua grazia ci sostiene o ci corregge perché tale orientamento sia per il bene; se nonostante questo, liberamente, l’uomo decide di vivere sino alla fine rifiutando Dio, Dio rispetta questa decisione e permette all’uomo di proseguire per sempre nella scelta fatta.

È possibile che l’inferno sia vuoto?
Questa battuta – chiamiamola così – percorre sempre più spesso i libri e i discorsi di certa teologia «aggiornata»: l’inferno, se c’è, è vuoto.
Che l’inferno sia una realtà e fuor di dubbio, e già l’abbiamo detto; quanto al fatto che sia la condizione esistenziale attuale di alcune creature e non solo una possibilità ipotetica è ugualmente certo. Partiamo dal fatto che sappiamo con certezza che sono nella dannazione eterna tutti gli angeli ribelli, cioè Satana e i demoni. Dunque l’inferno non è vuoto. E per quel che riguarda gli esseri umani?
Alla fine del mondo, alla luce di alcuni dei passi evangelici che abbiamo sopra riportato («raccoglierà il buon grano nel proprio granaio, e brucerà lo scarto con un fuoco inestinguibile», Mt 3,12; «alla fine del mondo i cattivi saranno separati dai buoni e saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti» Mt 13,49; «saranno cacciati lontano da lui, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli», Mt 25, 31-46; «e se ne andranno […] al supplizio eterno», Mt 25,46) si può affermare che all’inferno ci sarà qualche uomo.
Ma a rigore nulla nella Scritture e nel Magistero della Chiesa ci obbliga ad affermare che vi siano già ora uomini dannati: potrebbero essercene, ma non possiamo saperlo, perché non esiste quella che potremmo chiamare una specie di canonizzazione a rovescio, una dichiarazione ufficiale dell’Autorità della Chiesa circa la sorte infernale di una creatura umana.
Ma si dà il caso che in proposito una rivelazione soprannaturale, seppure di natura privata, sia avvenuta e sia stata approvata dalla Chiesa. In realtà sono più di una, ma noi citeremo solo la più nota ed eloquente, realizzatasi all’interno di un evento universalmente riconosciuto: le apparizioni della Vergine a Fatima. In occasione di una di queste, la Madonna mostra ai tre veggenti la condizione infernale: un numero immenso di demoni e dannati immersi nel fuoco, mostruosi e disperati. I volti atterriti dei tre bambini, fotografati subito dopo la visione, sono la migliore testimonianza sia della credibilità del fatto, sia della spaventosa drammaticità della condizione infernale.

SAGGEZZA CRISTIANA
«Valore del dolore: senza il Calvario non è possibile alcuna cosa… E’ dio che dà valore al nostro sacrificio». [25 maggio 1961].
(Benedetta Bianchi Porro, Scritti completi, a cura di Andrea Vena, Fondazione Benedetta Bianchi Porro – San Paolo, Milano 2006).

BIBLIOGRAFIA
Bernhard Bartmann, teologia dogmatica, vol. III, Edizioni paoline, 1950, pp. 1568-1578.
Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1033-1037.
Battista Mondin, Gli abitanti del Cielo, ESD, 1994, pp. 395-318.
Marie Joseph Nicolas, Breve tratto di teologia, EDB, 1992, pp. 294-295.
Candido pozo, Teologia dell’aldilà, Edizioni Paoline, 1983, pp. 397-433.
Enrico Zoffoli, Cristianesimo, Edizioni Segno, 1994, pp. 902-917.

Dossier: Dio e il problema del male

IL TIMONE – N. 57 – ANNO VIII – Novembre 2006 – pag. 39 – 41

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