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12.12.2024

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L’Italia dei valori
31 Gennaio 2014

L’Italia dei valori

 

La disfatta radical-diessina nei referendum sulla fecondazione artificiale segna la vittoria di un popolo contro i poteri forti che vogliono imporre la manipolazione della vita. Ma la soddisfazione per il risultato deve lasciare subito spazio all’impegno per ricreare una vera “cultura della vita”. La strada? L’evangelizzazione.

 

 

 
 
 

Comunque la si voglia vedere è una vittoria del popolo italiano contro i poteri forti. Se avessimo dovuto prevedere i risultati del referendum sulla fecondazione artificiale svoltosi il 12 e 13 giugno dalle forze schierate in campo, avremmo detto che ci sarebbe stata un’affluenza di massa con un 80% di sì. E invece il 75% degli italiani si è astenuto, e anche tra quelli che sono andati alle urne, oltre il 10% lo ha fatto per dire no all’abrogazione della Legge 40. Una vera e propria disfatta per il comitato referendario.
Abbiamo parlato di poteri forti, non a caso: tutta la grande stampa nazionale ha fatto attiva propaganda per il sì, contrastata soltanto da Avvenire, Il Foglio e il Giornale (con Libero sostanzialmente equidistante); i servizi delle principali reti tv sono stati tutti a senso unico, per non parlare delle radio commerciali. Quanto ai politici, abbiamo visto il leader del centrosinistra Romano Prodi spendersi a fondo per dividere i cattolici sull’astensione, spalleggiato da Rosy Bindi; il segretario dei Ds Piero Fassino ha messo a disposizione le strutture del suo partito per sostenere i “sì” dopo averle usate per aiutare i radicali a ottenere le firme necessarie per indire i referendum; a loro si è unito addirittura il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini e – in modo più sobrio, secondo il suo stile – anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Per sostenere il “sì” è stata messa in campo una campagna violenta, culminata addirittura con la richiesta del carcere per preti e vescovi che incitavano all’astensione. Giornalisti, politici, scienziati che hanno mentito sapendo di mentire – sia su alcuni aspetti della legge sia sulla legittimità del “non voto” – pur di raggiungere il loro obiettivo. Eppure gli italiani si sono ribellati all’idea che dell’embrione si possa fare ciò che si vuole, che ogni desiderio possa diventare diritto, che i bambini possano essere ordinati su misura come il vestito della cerimonia, che i figli siano privati del diritto di conoscere il padre, che una lobby ben organizzata e altrettanto ben finanziata abbia il potere di delegittimare un parlamento eletto dal popolo.
È una ribellione che ricorda da vicino ciò che è accaduto il novembre scorso nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti: anche in quel caso i poteri forti condussero un attacco senza precedenti contro George W. Bush e – guarda caso – sempre intorno ai temi della vita e della famiglia: a Bush non veniva perdonato lo stop alla ricerca sulle cellule embrionali, il deciso no alle unioni gay, il ritiro dei fondi federali alle organizzazioni abortiste. Il popolo americano, contro ogni previsione, sostenne il presidente uscente con una maggioranza schiacciante malgrado la guerra in Iraq non avesse giovato al suo indice di gradimento.
È come se la gente avesse percepito che in gioco ci fosse molto più che non l’elezione di un presidente, esattamente come oggi il popolo italiano si è reso conto che la vera questione va ben oltre il numero di embrioni da impiantare nell’utero della donna. In gioco c’è il futuro dell’umanità, il nostro futuro e quello dei nostri figli, il rischio di un totalitarismo dalla facciata democratica. E la consapevolezza che “sulla vita non si vota”, come recitava uno slogan particolarmente centrato, ovvero che la dignità dell’uomo, il senso stesso della mia vita è cosa troppo importante da poter essere deciso a maggioranza popolare.
Che non sia un problema di fede, ma di ragione lo dimostra il fatto che accanto ai cattolici sono scesi in campo con grande vigore fior di laici come il direttore del “Foglio” Giuliano Ferrara, come il leader della Margherita Francesco Rutelli, come il presidente del Senato Marcello Pera, per non parlare di scienziati, politici, giuristi, femministe che si sono ribellati alla parola d’ordine dei loro schieramenti.
Non è un problema di fede, abbiamo detto; però non è casuale che ancora una volta sia stata la Chiesa cattolica a proporre il giudizio più lucido sulla posta in palio e sulla deriva umana e sociale che comporta il pensiero radicale (nel senso di Pannella e Bonino).
Se infatti “Cristo rivela l’uomo a se stesso” non può sorprendere che tanti laici si riconoscano nel giudizio di una Chiesa cosciente della propria missione.
A questo proposito un dato importante da segnalare è proprio l’unità sostanziale – senza precedenti – dimostrata dai cattolici in questa occasione. Sì, è vero non è mancato il solito manifesto dei “cattolici per il sì”, non potevano sparire quei pochi preti che per un passaggio in tv o sui giornali sono pronti a trasformare il sacerdozio in una blasfema caricatura, ma si è trattato di episodi marginali, fisiologici, se paragonato a ciò che successe per divorzio e aborto. È fallito il subdolo tentativo di affermare che si possa essere cattolici pur non obbedendo al magistero della Chiesa, la teorizzazione dei “cattolici adulti” – per usare l’espressione introdotta da Prodi – che in quanto adulti possono anche prescindere da ciò che i vescovi affermano, come se l’obbedienza alla Chiesa fosse un problema adolescenziale (anche qui c’è un’interessante analogia con le elezioni americane dove il “cattolico” Kerry tentò la stessa operazione).
Una questione va però tenuta ben presente: quella referendaria è stata soltanto una battaglia di una guerra ben più vasta che si combatte intorno all’uomo, immagine e somiglianza di Dio. Per quanto riguarda la Legge 40 non dobbiamo dimenticare che, pur avendola difesa da un tentativo di renderla ben peggiore, essa rimane ingiusta perché consente comunque la fecondazione artificiale.
E comunque, chi ha promosso il referendum sta solo ricompattando le fila per lanciare un nuovo assalto sul tema, a cui si uniranno presto anche altri che alla questione della vita e della famiglia sono strettamente legati: le unioni di fatto e le unioni gay, l’eutanasia, tanto per cominciare. Ci attende dunque una lunga guerra, ma l’esperienza dimostra che non è anzitutto per via giudiziaria o per via politica che essa potrà essere vinta. Come ci ha ricordato incessantemente Giovanni Paolo II e come ci sta indicando Benedetto XVI, il compito è anzitutto quello di ricreare una “cultura della vita”. E l’unico modo è annunciare Cristo, nell’obbedienza alla Chiesa.

TIMONE – N. 45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 8-9

 
 

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