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15.12.2024

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Lo scandalo del Perdono
31 Gennaio 2014

Lo scandalo del Perdono

 

Tre mesi dopo, ci resta una “lezione” dalla strage di Erba. La limpida testimonianza di papà Castagna fa riflettere su una parola “politicamente scorretta”.

 

 

 

«Il perdono elargito così facilmente da Carlo Castagna ai mostri che gli hanno trucidato moglie, figlia e nipote, mi inquieta». «Il perdono del signor Castagna mi crea un serio disappunto, mi irrita, mi indispone». «È inconcepibile come si possa perdonare così velocemente». «Il perdono, tra l’altro neppure richiesto da coloro che hanno freddamente e premeditatamente assassinato quattro persone e tentato di ammazzarne una quinta mi sembra, più che manifestazione di cristiana carità, un atto di irresponsabile mancanza di rispetto per le vittime inermi di tanta ferocia». Ma anche: «Forse il perdono di Castagna potrebbe essere un esempio di civiltà… saper perdonare porterebbe a un mondo migliore». «Sai cosa diceva Gandhi? “Solo chi è forte è capace di perdonare”». E ancora: «Ammiro profondamente la famiglia Castagna, la sua visione dell’uomo, del mondo e della storia».
Reazioni, queste, raccolte sulla Rete, nei vari blog. “Blog” è un termine nato dalla contrazione delle parole inglesi Web e Log e indica un giornale o diario pubblicato su Internet, dove chiunque può scrivere pensieri e riflessioni aperti alla lettura e al dibattito. Perciò le frasi riportate riassumono in modo sintetico come ha reagito la gente di fronte al perdono di “papà Castagna” (così l’hanno chiamato i mass media) dopo la strage di Erba, una delle più efferate pagine di “nera” degli ultimi anni.
Lo scandalo per il perdono dei Castagna l’abbiamo ritrovato anche nelle pagine della posta di grandi giornali popolari. «Ma come si fa a perdonare due assassini feroci che non si sono minimamemte pentiti di quello che hanno fatto?», scrive Giuseppina, da Palermo. E Bianca, da Genova: «Parlare di perdono è prematuro: sono convinta che sia un cammino che richiede tempo, sia per assorbire il dolore, sia per accettare la scomparsa di persone care».

«Bisogna farla finita con l’odio»

Ma che cosa aveva detto di così sconvolgente il papà di Raffaella, marito di Paola Galli e nonno del piccolo Youssef, tre delle vittime della furia omicida dei coniugi Romano? «Li perdono e li affido al Signore». E poi: «In questi momenti bisogna perdonare. E farla finita con l’odio».
Concetti ripetuti con serenità più volte, anche davanti alla curiosità indiscreta delle telecamere. E parole simili le aveva pronunciate pure il figlio Giuseppe, che ha perso la madre, la sorella e un nipotino: «Provo più pietà che odio». Papà Castagna si era addirittura spinto ad affermare che considerava i suoi cari, così barbaramente uccisi, «un dono del Signore» a lui concesso per il tempo che Dio aveva stabilito, e che anche gli assassini «erano figli di Dio». Ci ha offerto una grande lezione (Joseph Jacobs definì il perdono «il più alto e il più difficile di tutti gli insegnamenti morali») e ci ha mostrato un’apertura di cuore frutto di un’antica e profonda sapienza. Pur colpito da una tremenda tragedia, e avendo di fronte anni segnati irrimediabilmente da un vuoto indicibile, ci ha ricordato l’unica strada per sanare le ferite che lacerano il mondo, dalle guerre tra i popoli alle liti di condominio. Ma la posizione di papà Castagna a molti non è piaciuta; anzi, è stata considerata inaccettabile da quell’opinione pubblica che poi popola i blog, che ha i suoi “maestri” in cantori del pensiero debole come Gianni Vattimo e in vari editorialisti da strapazzo. I quali, semmai, hanno mostrato più simpatia per Azouz Marzouk e i suoi conclamati impeti di vendetta.
 
 

Un’inestirpabile radice cristiana

 

Nella compagnia severa di chi ha condannato Carlo Castagna (il 63 per cento degli italiani, secondo il sondaggio di un settimanale), ha trovato posto anche don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile di Milano. Che così si è espresso: «Questa cosa non l’ho proprio capita. Il perdono è qualcosa che non sta sulla punta della lingua, ma vien fuori dal profondo del cuore. O questa persona è proprio un santo, o ha avuto una folgorazione dello Spirito. Una persona ha bisogno di metabolizzare. Di rivedere le facce insanguinate dei parenti. Il perdono è un processo lungo e molto consapevole. Nel perdono di Carlo Castagna mi lascia perplesso non la sincerità, ma l’autenticità». Pronta la reazione dello scrittore Luca Doninelli: «[don Gino] non crede che un uomo dal cuore semplice, educato nella fede cristiana, possa concedere il proprio perdono agli assassini della figlia, della moglie e del nipotino; e che possa concederlo non già dopo un lungo pensamento ma come un atto immediato, come il riconoscimento immediato della verità delle cose. Il perdono non è solo un punto di arrivo dopo un processo di metabolizzazione, ma anche e soprattutto qualcosa che sta all’inizio, un’evidenza prima». Conclude Doninelli: «Nemmeno i preti (meglio: alcuni preti) credono più che il cristianesimo possa riconciliare l’uomo con la sua natura, rendendolo capace di gesti umani semplici e immediati». Ma, per fortuna, «una radice cristiana, popolare, ignorata per decenni da politici e intellettuali, permane nel tessuto italiano molto più di quanto pensiamo, e si esprime in questi gesti limpidi, che oggi ci sembrano fiori cresciuti nel deserto, invece esprimono la normalità dell’esistenza cristiana». E per Antonio Socci, «in questo orrido abisso di odio e di sangue si accende la luce di una parola cristiana: il perdono delle vittime, l’unica speranza che mette fine al gorgo satanico della violenza». Perché «senza Cristo tutta la storia sarebbe solo strage, odio e vendetta».
E in moschea niente posto per il dolore
Un’ultima osservazione, sempre in riferimento alla dolorosa vicenda di Erba, ma che ha valenza più ampia. Ha colpito la cerimonia “mista”, un po’ cristiana un po’ islamica, con cui la cittadina brianzola ha salutato due delle vittime della strage, Ma è stato uno choc, in Tunisia, assistere ai funerali musulmani che hanno accompagnato la sepoltura di Raffaella e del piccolo Youssef: papà Castagna, in quanto non credente nell’Islam, è stato tenuto fuori dalla moschea, senza possibilità di rivolgere la “sua” preghiera nell’estremo saluto ai suoi cari. Ed è rimasto fuori lo stesso Azouz, marito e padre delle due vittime, perché non praticante. Emerge evidente l’irriducibile diversità tra islam e cristianesimo. Negare a un padre e a uno sposo di essere accanto ai propri defunti nel commiato finale, è qualcosa di più di un gesto di arretratezza culturale o crudeltà mentale. Mentre tutta l’esperienza cristiana è incentrata sul concetto di persona (orizzonte sul quale l’Occidente ha fondato la propria cultura), nell’islam il concetto di persona è sostituito da quello di individuo: nessuno è titolare di diritti personali, si può solo beneficiare di quelli riconosciuti alla comunità, la ummah, se uno vi appartiene e vi rimane ancorato attraverso una pratica religiosa formale. Fuori da questo orizzonte si entra in una terra di nessuno, senza protezione e senza diritti. E in questo scenario la parola perdono, come pure le parole libertà, obiezione di coscienza, democrazia, pluralismo, parità di diritti, uguaglianza uomo-donna, appaiono prive di significato.

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«La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono».
(Benedetto XVI, Udienza del 31 gennaio 2007).

IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 12-13

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