15.12.2024

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Lo scandalo della disobbedienza
31 Gennaio 2014

Lo scandalo della disobbedienza

 

 

 

Politici che si dichiarano credenti sfidano apertamente gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia. Il Timone ha chiesto a Monsignor Alessandro Maggiolini di spiegare le ragioni di questo scandalo. Per il battagliero vescovo emerito di Como non ci sono dubbi: mancanza di fede e carenza di dottrina.


 

 

Monsignor Maggiolini, indispettita dalla polemica sui “Dico” e sulle coppie di fatto il ministro Rosy Bindi ha intimato alla Chiesa di tacere sulle cose del mondo e di limitarsi a “parlare di Dio”. Che cosa le risponde?
«Il problema della povertà, la struttura della famiglia, l’educazione dei figli, la giustizia dei salari, l’adeguamento delle pensioni, il trattamento dei contratti di lavoro, la questione della sanità, il TFR, e tante altre questioni sono cose del mondo, e dunque la Chiesa deve tacerne? Strano. Proprio coloro che stimolano la Chiesa ad assumere le proprie responsabilità storiche, all’improvviso diventano spiritualisti come monaci cistercensi, quando la comunità cristiana non risponde ai desideri o alle pretese di chi si impegna in un sociale che spesso è giustizia, ma spesso è anche impossibilità di attuare ciò che si chiede. Così la Chiesa diventa – a volta a volta – sindacato, azienda, partito, governo e cose simili. Insomma, che cosa si sta chiedendo alla Chiesa? E Cristo l’ha fondata e la sostiene come una ditta dove la salvezza dal peccato e la vita di grazia non c’entrano proprio nulla? Il ministro Rosy Bindi non si è mai interrogato sulla natura e sulla finalità della Chiesa fondata e ideata e attuata dal Signore Gesù? Al Battesimo va sostituito una tessera di struttura politica o sindacale? E allora, che ci stanno a fare la politica e i sindacati? “Andate, predicate il Vangelo a ogni creatura ecc”».

Il dibattito di questi mesi intorno ai “Pacs” e ai “Dico” ha mostrato un fatto indiscutibile: la Chiesa proclama una parola chiara sulla famiglia e sulle leggi che la riguardano, e politici eminenti che si dichiarano cattolici dissentono apertamente dal Magistero. Come è possibile tutto ciò?

«La disobbedienza alla Chiesa può avvenire secondo diversi gradi. Ci può essere il rifiuto di verità di fede, e si ha l’ere-sia, peccato il quale esclude dalla comunità cristiana. Ci può essere l’opposizione alla norma morale – teorica o pratica – e si ha il peccato o lo scisma, vale a dire, ancora una volta la separazione dalla fraternità cristiana. Ci può essere la disobbedienza che riguarda non il Credo o il Decalogo in sen-so stretto, ma indicazioni date dalla Chiesa perché la comunità cristiana sia unita al Signore Gesù, tra fratelli e capace di testimoniare il Vangelo. In questo terzo caso si ha una opposizione alla Chiesa che si esprime nella gerarchia e che è chiamata a essere unita il più possibile nel mistero di Cristo e della Trinità. Anche qui vi può essere peccato grave, quando la disobbedienza concerne fatti gravi come il caso di matrimoni che si dichiarano religiosi, ma non sono nemmeno matrimoni civili. Circa i “pacs” e i “dico”, la Chiesa ha proclamato una cosa chiara sulla famiglia e sulle leggi che la riguardano. Politici che amano essere dichiarati eminenti dissentono dal Magistero, magari dichiarando che sono “cristiani adulti”, come se la Chiesa madre dei credenti fosse una bamberottola che può essere trascurata o snobbata a piacere; mentre essa è la Sposa di Cristo e il luogo dello Spirito Santo. Questa opposizione o trascuratezza nei confronti della Chiesa dipende, tutto sommato, da un affievolimento della fede. La gerarchia sarebbe chiamata a obbedire e un certo laicato supponente si sentirebbe in diritto di comandare alla santa madre Chiesa. È troppo richiamare il fatto che la comunità ecclesiale contiene ed è animata dal Signore Gesù nel cui nome parla e insegna?».

L’aspetto più sconcertante è che i politici “disobbedienti” non sono dei contestatori della prima ora, delle schegge impazzite, ma persone nate e cresciute nel seno di istituzioni ecclesiali riconosciute e accreditate: sono uomini e donne formate nell’Azione Cattolica, nelle Acli, nella Caritas, nelle parrocchie, negli oratori. Luoghi che magari continuano a frequentare con convinzione. Come spiega questa contraddizione?

«Non basta avere tessere e distintivi per dichiararsi cattolici. Non bisognerà fare di ogni erba un fascio. Ma gradatamente ci si può mettere contro la Chiesa quasi senza accorgersene, se ci si illude che la Chiesa è nostra figlia e non nostra madre».

La fede è una cosa, l’impegno politico un altro: come rispondere a chi si nasconde dietro questo “divorzio” della coscienza?

«L’impegno politico include poco o tanto sempre una legge morale “naturale” che è assunta, perfezionata e trasfigurata dalla fede. Il divorzio tra fede e impegno politico è un modo come un altro per non credere più, magari giustificando la separazione con pezzulli di Vangelo staccati dal contesto e non interpretati dalla Chiesa».

Un certo tipo di cattolicesimo – che si è autodefinito “cattolicesimo democratico” – oggi sostiene che il compito della democrazia non è quello di affermare una verità e un bene sull’uomo, ma di limitarsi a raggiungere una sintesi, una mediazione. In questo modo ci si condanna a una concezione formale della democrazia, nella quale qualsiasi contenuto può diventare legge dello Stato. Può spiegare come e perché questo modo di pensare è lontano anni luce dal Magistero millenario della Chiesa?

«A furia di ripetere formule vuote, non ci si rende più conto che si tratta di formule vuote. Che cosa significa “mediazione” se si vuole unire il niente con il niente? Se la fede ha un contenuto e la legge morale ha un contenuto, occorre fare sintesi di queste norme che dicono la verità e praticano il bene. Diversamente, la democrazia diviene anarchia e l’insegnamento ecclesiale diventa invenzione che cambia col cambiare del giorno o del clima».

Divorzio, aborto, fecondazione artificiale, coppie di fatto: una catena degli orrori alla quale diversi politici cattolici in tempi differenti non hanno saputo o voluto opporsi: perché?

«Perché non erano più cattolici. E la china verso la profanazione dell’uomo non è finita. Non c’è fondo all’ob-brobrio del male. E lo si può raggiungere quasi insensibilmente».

Monsignor Maggiolini, lei è stato per molti anni uno dei più combattivi e appassionati pastori dell’epi-scopato italiano, denunciando certe derive interne al mondo cattolico. Sapendo della sua abituale sincerità, il Timone le chiede: dove ritiene si sia sbagliato in questi decenni di pastorale? Dove occorre invertire la rotta?

«Occorre ricuperare una fede dolce e solida. A costo di essere messi al bando e di essere irrisi. Si impone un ritorno al catechismo e alla preghiera. In quarant’anni dal Concilio non si è trasmesso quasi nulla della dottrina cristiana. Tale dottrina, poi, deve diventare contemplazione. In questi decenni la pastorale è consistita quasi totalmente nel rendere i credenti simili agli atei o quasi. Occorre fare una proposta cristiana dolce e decisa, riacquistando il senso del perdono di Dio nella Confessione che permette sempre di ricominciare da capo.
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«Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a quell’unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società umana. Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la via cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura».
(Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 59).

IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 14-15

 

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