Nella Sacra Scrittura si assiste spesso allo scontro tra la magia e lo Spirito di Dio: dal “duello” tra i maghi del faraone e Mosè (Es 7,11) fino a quello, vinto dagli Apostoli, in cui i maghi bruciano antichissime formule ai loro piedi, pergamene del valore di cinquantamila dramme d’argento (At 19,18-19). Ma già il serpente della genesi si era affacciato alla storia con la sua prima tentazione magica: «Sarete come Dio» (Gn 3,5). Nell’Antico Testamento s’incontra più volte la condanna della magia, specie in Deuteronomio 18 e Levitico 19. Nel Nuovo Testamento troviamo anche il nome di alcuni grandi maghi: primo fra tutti
Simon Mago, che pretendeva di acquistare la potenza dello Spirito col denaro (da qui nacque poi il termine “simonia”). In At 8,20-22 è narrato di come Pietro stroncò questo suo tentativo, ma non sempre è noto che questo mago, spogliato del suo prestigio dagli Apostoli con cui non riusciva a competere, si trasferì poi a Roma per riprendere a sedurre le folle e fondarvi una scuola di magia, come ci documenta Giustino nella sua Apologia Prima: «Costui, che al tempo dell’imperatore Claudio, nella città regale di Roma, esercitava la magia con l’abilità dei demoni potenti, lo avete considerato Dio e onorato come tale».
Anche Ireneo, nella sua opera Contro le eresie, fu costretto ad occuparsi di Simone il Mago e della sua “empia dottrina”, tanto che Eusebio ammise: «Abbiamo imparato da lui che capo assoluto di ogni eresia è Simone; da costui fino ai nostri giorni coloro che abbracciano la sua dottrina… perseverano nella loro superstizione idolatrica,… inginocchiandosi di fronte ai libri e alle immagini dello stesso Simone» (Historia Ecclesiastica, II,13,6). Ed anzi aggiunge queste parole durissime: «I loro culti più segreti che, come si dice, colpiscono e, per usare un loro termine, “stordiscono” l’anima di coloro che per la prima volta li ascoltano, sono talmente pieni di “stordimento”, di delirio e di pazzia da non potersi non solo riferire in quest’opera, ma neppure proferire dalle labbra di uomini probi per l’eccesso di turpitudine ed oscenità. La loro esecranda dottrina supera di gran lunga tutto ciò che di più lercio di ogni turpitudine si potrebbe pensare: coloro che la professano infatti abusano di donne meschine, ricolme di ogni genere di vizi». (ibid, II,13,7-8).
Ma la gloria di Simon Mago a Roma non durò a lungo, perché presto Pietro, che già lo aveva sconfitto in Palestina, giunse anche lì, e «diffondendo fra gli abitanti di Roma la parola divina, Pietro pose subito fine alla potenza di Simone » (ibid, II,15,1). Nell’apocrifo Atti di Pietro si narra perfino che Simon Mago precipitò durante una levitazione esibita davanti a Nerone nel Foro Romano, sfracellandosi le gambe. Gli Atti ci riportano però anche il nome di un altro mago:
Teuda. È citato da Gamaliele in At 5,36. Ma qualcosa di più su di lui lo sappiamo da Giuseppe Flavio: «Quando Fado era procuratore della Giudea [successore nel 44 di Erode Agrippa, ndr], un mago di nome Teuda persuase gran parte del popolo a prendere le proprie ricchezze e seguirlo fin sulle rive del Giordano; si vantava infatti di essere profeta, e diceva che dividendo con un solo cenno le acque del fiume avrebbe dato loro facile passaggio. Ingannò molti con simili menzogne. Fado non permise che essi traessero vantaggio dalla sua pazzia, e gli inviò contro uno squadrone di cavalleria che, piombato su di loro con improvvisa e inaspettata carica, uccise molti, e molti prese vivi; fra questi era anche lo stesso Teuda, cui tagliarono la testa, che portò poi a Gerusalemme” (Antichità giudaiche, XX,97-98).
Da Eusebio veniamo anche a sapere di un altro grande mago di quel tempo,
Menandro: «Menandro, succeduto a Simon Mago, si rivelò con le sue azioni strumento della forza diabolica pari al suo predecessore. Era anch’egli samaritano e, giunto al più alto grado di magia, non inferiore a quello del maestro, fu prodigo di fandonie ancora più grandi, proclamandosi il Salvatore inviato dall’alto del cielo, per la salvezza degli uomini, da eoni invisibili, e insegnando che nessuno, neppure fra gli stessi angeli creatori del cosmo, avrebbe potuto salvarsi se non si fosse prima sottoposto all’esperienza della magia da lui proposta e non avesse ricevuto il battesimo da lui impartito: coloro che ne sarebbero stati infatti resi degni avrebbero partecipato dell’eterna immortalità anche nella vita terrena e non sarebbero mai morti, ma sarebbero rimasti sulla terra giovani in eterno e immortali» (op cit, III,26,1-2).
Tutto ciò è raccontato anche da Ireneo. Ma non dobbiamo pensare che con la morte di questi personaggi il loro proselitismo non sia proseguito, se ancora Giustino poteva successivamente scrivere riguardo alla scuola magica di Simone e Menandro: «Ancora oggi esistono di coloro che, seguendo la sua dottrina, credono in ciò».” (Apologia Prima, 26,4). Eppure San Paolo era stato molto chiaro riguardo alle pratiche di magia: «chi le compie non erediterà il regno di Dio» (Gal 5,20-21).