Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

11.12.2024

/
Lo sport, anticamera del paradiso
4 Giugno 2014

Lo sport, anticamera del paradiso

La Chiesa favorisce e valorizza la pratica agonistica come fattore di educazione umana ed elevazione spirituale. Negli oratori, ma non solo. Lo conferma il Magistero       

 

 

 

 

Due calci al pallone e una mezz’oretta di catechismo. A lungo è stata questa la formula perfetta dell’oratorio, inteso come spazio di educazione e crescita dei più giovani. Oggi il binomio è un po’ in difficoltà, perché hanno perso smalto sia la formazione religiosa – sta ai parroci e ai catechisti essere ancora maestri autorevoli, preparati e capaci di attrattiva – sia la competizione di squadra e il divertimento tradizionali, sostituiti dagli infernali marchingegni che spingono ormai anche i giovanissimi nei mondi virtuali dei giochi elettronici, dei social network e della comunicazione fredda e artificiale. Ma non tutto è perduto. Anzi, negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che lo sport è un aiuto per testimoniare il Vangelo.

I vescovi italiani per primi hanno piena fiducia nello sport come mezzo educativo-pastorale e i documenti ufficiali della Chiesa l’hanno sostenuto in maniera esplicita in più occasioni.

Nel Magistero è ormai chiaro che l’attività sportiva è non solo utile per far giocare e divertire i ragazzi ma ha la stessa dignità, come proposta educativa, della catechesi o di altre attività svolte dall’oratorio e dalla parrocchia. Significativa in proposito la Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori Il laboratorio dei talenti, del 2 febbraio 2013, in cui si afferma che lo sport è strumento ed esperienza educativa preziosa e straordinaria. In particolare, si sottolinea che «è un dono per tutti a patto che si rispettino alcune caratteristiche », così elencate: 1. Lo sport come gioco e divertimento viene prima della competizione; 2. Lo sport è un esercizio aperto a tutti, senza discriminazioni di alcun tipo; 3. La pratica sportiva va diversificata, per evitare l’assolutizzazione di alcuni sport; 4. È necessaria la presenza di educatori sportivi che vivano autenticamente l’appartenenza all’oratorio; 5. Il progetto sportivo deve essere dichiaratamente educativo e stimolo anche al di fuori dell’ambiente oratoriano.

Al di là di queste indicazioni, certamente coerenti con un cammino di fede all’interno delle strutture parrocchiali, ancora largamente frequentate (sia pure spesso solo come luogo di accoglienza dei figli per mamme impegnate nel lavoro), è interessante andare alle radici del rapporto tra fede e sport, tra esperienza religiosa e pratica sportiva. Lo facciamo citando tre Papi del recente passato, che hanno avuto occasione di intervenire sul tema con competenza e giudizi a volte sorprendenti.

 

Pio XII: lo sport come forma di educazione della persona

«Lontano dal vero è tanto chi rimprovera alla Chiesa di non curarsi dei corpi e della cultura fisica, quanto chi vorrebbe restringere la sua competenza e la sua azione alle cose “puramente religiose”, “esclusivamente spirituali”. Come se il corpo, creatura di Dio al pari dell’anima, alla quale è unito, non dovesse avere la sua parte nell’omaggio da rendere al Creatore!». Pio XII, ritenuto a torto troppo ascetico e lontano dalla realtà, è invece molto attento a tutti gli aspetti della vita moderna e capace di offrire chiavi di lettura sorprendenti.

In questo senso, il suo discorso agli sportivi italiani del 20 maggio 1945, solennità di Pentecoste (la guerra è finita da meno di un mese), è fondamentale per comprendere la posizione della Chiesa rispetto al fenomeno sportivo, in un contesto nuovo e in continuo mutamento. Papa Pacelli si chiede: «Cosa è lo sport se non una delle forme della educazione del corpo?». Un’educazione che «è in stretto rapporto con la morale». Perciò la Chiesa non può disinteressarsene. Tra l’altro, essa «ha sempre avuto verso il corpo umano una sollecitudine e un riguardo, quali il materialismo, nel suo culto idolatrico, non ha mai manifestato. Ed è ben naturale, poiché questo vede e non conosce del corpo che la carne materiale, il cui vigore e la cui bellezza nascono e fioriscono per poi presto appassire e morire, come l’erba del campo che finisce nella cenere e nel fango». Invece, «assai diversa è la concezione cristiana», secondo cui «il corpo umano è, in se stesso, il capolavoro di Dio nell’ordine della creazione visibile». Il Signore l’ha destinato a fiorire quaggiù, per poi «schiudersi immortale nella gloria del cielo».

Ecco una serie di definizioni contenute nello stesso discorso del 20 maggio 1945. «Lo sport è un efficace antidoto contro la mollezza e la vita comoda, sveglia il senso dell’ordine ed educa all’esame, alla padronanza di sé, al disprezzo del pericolo senza millanteria né pusillanimità». Ma lo sport è anche «una scuola di lealtà, di coraggio, di sopportazione, di risolutezza, di fratellanza universale, tutte virtù naturali, ma che forniscono alle virtù soprannaturali un fondamento solido, e preparano a sostenere senza debolezza il peso delle più gravi responsabilità». Così inteso, lo sport allora non è mai un fine, ma un mezzo. E come tale, «deve essere e rimanere ordinato al fine, il quale consiste nella formazione ed educazione perfetta ed equilibrata di tutto l’uomo, cui lo sport è di aiuto per l’adempimento pronto e gioioso del dovere, sia nella vita del lavoro, che in quello della famiglia». Conclude Papa Pacelli: «Per lo sportivo cristiano, lo sport non ha da essere l’ideale supremo, lo scopo ultimo, ma deve servire a tendere verso quell’ideale, a conseguire quel fine». E rivolgendosi agli sportivi presenti: «Se un esercizio sportivo riesce per voi di ricreazione e di stimolo ad adempiere con freschezza e ardore i vostri doveri di lavoro o di studio, può ben dirsi che esso si manifesta nel suo vero significato e nel suo reale valore, ed ottiene felicemente l’intento suo proprio. Che se, oltre a ciò, lo sport è per voi non solo immagine, ma in qualche modo anche esecuzione del vostro più alto dovere, se cioè voi vi adoperate mediante l’attività sportiva a rendere il corpo più docile e obbediente allo spirito e alle vostre obbligazioni morali, se inoltre col vostro esempio contribuite a dare all’attività sportiva una forma più rispondente alla dignità umana e ai precetti divini, allora la vostra cultura fisica acquista un valore soprannaturale».

 

San Giovanni Paolo II: lo sport come esaltazione delle virtù umane

«Le potenzialità del fenomeno sportivo lo rendono strumento significativo per lo sviluppo globale della persona e fattore quanto mai utile per la costruzione di una società più a misura d’uomo». Così si esprime il 28 ottobre 2000 san Giovanni Paolo II, Papa per eccellenza “sportivo” (calcio, bicicletta, corsa, canoa, nuoto, sci fino a quando le forze gliel’hanno consentito), nel Discorso ai partecipanti al convegno internazionale sul volto e l’anima dello sport, nell’ambito del Giubileo. Per Papa Wojtyla, «il senso di fratellanza, la magnanimità, l’onestà e il rispetto del corpo – virtù indubbiamente indispensabili a ogni buon atleta – contribuiscono all’edificazione di una società civile dove all’antagonismo si sostituisca l’agonismo, dove allo scontro si preferisca l’incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale».

Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mezzo che «può divenire veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a se stessi o agli altri». Nel corso del suo lungo pontificato, non si contano gli interventi di Wojtyla sullo sport e la pratica sportiva. Il 12 maggio 1979, ricevendo giocatori e dirigenti del Milan, ricorda che la Chiesa «ammira, approva e incoraggia lo sport». In esso vi scorge non solo «una ginnastica del corpo e dello spirito», ma anche «un allenamento ai rapporti sociali fondati sul rispetto dell’altrui e della propria persona ed un elemento di coesione sociale, che favorisce pure amichevoli relazioni in campo internazionale».

Concetti ripresi pochi mesi dopo, il 12 agosto 1979, rivolgendosi ai partecipanti ai campionati di sci nautico, ricevuti a Castel Gandolfo. Lo sport è da considerare «un fattore di umana nobilitazione: sia in senso individuale, in quanto educa ad una salutare autodisciplina, sia in senso interpersonale, in quanto favorisce l’incontro, l’accordo e in definitiva la comunione vicendevole».

Ma da dove nasce l’interesse della Chiesa per lo sport? Essa «ha a cuore tutto ciò che contribuisce costruttivamente allo sviluppo armonico e integrale dell’uomo, anima e corpo»; perciò «incoraggia quanto tende ad educare, sviluppare e fortificare il corpo umano, affinché esso presti un migliore servizio al raggiungimento della maturazione personale». Lo dice ai membri del Comitato olimpico italiano, ricevuti in udienza il 20 dicembre 1979. Papa Wojtyla, rivolgendosi il 28 gennaio 1980 agli associati della Fondazione Luciano Re Cecconi (intitolata al giocatore della Lazio morto due anni prima per un tragico scherzo), chiarisce il senso del termine “agonismo”. L’agonismo è importante «perché rappresenta un momento di liberazione dal peso della giornata, dal lavoro stressante o noioso, dalle occupazioni e preoccupazioni della vita, e in pari tempo è un momento di ricreazione e di realizzazione di se stessi nel modo che meglio risponda alle capacità ed alle aspirazioni di ciascuno». Ma al di là della sua espressione agonistica – lo dirà il 26 marzo 1981 – lo sport comporta «l’esaltazione di autentiche virtù umane, come la lealtà, la generosità e la creatività, che si intrecciano armoniosamente con lo spirito di sacrificio, col dominio di se stessi, con la temperanza, in vista di una completa formazione della persona, aperta così ai più ampi orizzonti della trascendenza e della fede». Infine, il 12 aprile 1984, nell’omelia allo Stadio Olimpico di Roma, non mancherà di rimarcare che «lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e del professionismo mediante il recupero della sua gratuità».

 

Benedetto XVI: il calcio come scuola di fraternità e amore

Un chiaro ed esplicito giudizio sul calcio da parte del Papa emerito Benedetto XVI (notoriamente tifoso della squadra della sua città, Monaco di Baviera) risale al 1985, quando era ancora cardinale e Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: giudizio espresso poco prima dei Mondiali del 1986, che si svolsero in Messico, e riportato nel libro Cercate le cose di lassù (Paoline, 1986). Ratzinger si chiede il motivo per cui il football ha un così esteso e universale appeal, al punto di affascinare centinaia di milioni di persone. «Nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto», afferma. Come prima spiegazione, si riallaccia alla nota espressione latina panem et circenses, che nell’antica Roma sintetizzava «il desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata». Il gioco insomma come evasione dalla vita quotidiana e dalla necessità di guadagnarsi il pane, per esercitare «un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso occupa tutte le forze dell’uomo».

Ma Ratzinger va oltre: il gioco, soprattutto nei minori, ha anche il carattere di esercitazione alla vita. Anzi, simboleggia la vita stessa e la anticipa, in una maniera liberamente strutturata. Di più: costringe l’uomo a imporsi una disciplina da ottenere con l’allenamento e la padronanza di sé. Ma soprattutto, aspetto evidente nel calcio, insegna un disciplinato affiatamento. Infatti, in quanto gioco di squadra per eccellenza, costringe all’inserimento del singolo nella squadra e unisce i giocatori con un obiettivo comune: il successo o l’insuccesso di ogni singolo giocatore stanno nel successo o nell’insuccesso dell’intera squadra. Un altro insegnamento è la leale rivalità, dove ci si sottopone a una regola comune; aspetto che ha un riverbero anche sugli spettatori che assistono alla gara. Infatti i tifosi «si identificano con il gioco e con i giocatori, e partecipano quindi personalmente all’affiatamento e alla rivalità», al punto che «i giocatori diventano un simbolo della propria vita». Ratzinger torna poi a mettere in chiara evidenza che il gioco è «superamento della vita in direzione del paradiso perduto». Termina ribadendo con ancor maggior chiarezza che dal gioco del calcio possiamo «nuovamente imparare a vivere, perché in esso è evidente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà». Ma, precisa: «La libertà si nutre della regola, della disciplina». E conclude: «Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento ».

Riprenderà gli stessi concetti e li amplierà in altre occasioni, come ad esempio nel Messaggio per l’apertura dei Campionati europei di calcio, il 6 giugno 2012. Rivolgendosi a monsignor Jòzef Michalik, presidente della Conferenza episcopale della Polonia, uno dei Paesi che ospita l’evento, rimarca che uno sport di squadra come il calcio «è una scuola importante per educare al senso del rispetto dell’altro», che forma anche «allo spirito di sacrificio personale in vista del bene dell’intero gruppo, alla valorizzazione delle doti di ogni elemento che formi la squadra», in vista del superamento della «logica dell’individualismo e dell’egoismo, che spesso caratterizza i rapporti umani, per lasciare spazio alla logica della fraternità e dell’amore».

/* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-priority:99; mso-style-parent:""; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; font-family:"Times New Roman","serif";}

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista