L’ultimo romanzo di Michael Crichton mette sotto accusa il catastrofismo ambientalista, che organizza il controllo sociale attraverso la paura. E contemporaneamente uno scandalo nel massimo organo scientifico internazionale dimostra che dietro al racconto c’è una verità inquietante.
Si può fare divulgazione scientifica con un romanzo? È la domanda inevitabile che ciascuno si deve porre davanti all’ultimo libro di Michael Crichton, che sta suscitando un aspro dibattito negli Stati Uniti e nei Paesi di lingua inglese, dove è in circolazione già da novembre. Si chiama State of fear, “Stato di paura”, che è anche il titolo della traduzione italiana in libreria dal 12 maggio (editrice Garzanti). Paura di cosa? Crichton se la prende con la paura generata dall’ambientalismo, in particolar modo il clima da catastrofe incombente legato ai cambiamenti climatici e alla teoria del riscaldamento globale che è alla base del Protocollo di Kyoto. Oltretutto una paura che non ha motivi, e qui la trama del romanzo attinge a piene mani ai numerosi studi scientifici che negano la teoria del riscaldamento globale. Potrà piacere più o meno la storia, ma i dati scientifici portati da Crichton sono sicuramente esatti: ad esempio, il maggior aumento delle temperature nel secolo appena passato si è avuto prima del 1940, quando le emissioni di C02 erano nettamente minori; satelliti e palloni aerostatici non registrano alcun aumento della temperatura; in Antartide la temperatura si sta abbassando e i ghiacciai tendono a essere più spessi; non c’è stato alcun aumento di fenomeni atmosferici estremi (inondazioni, uragani, siccità) né nell’ultimo secolo né negli ultimi 15 anni; il livello dei mari cresce globalmente tra i 10 e i 20 centimetri ogni cento anni, e questo per gli ultimi mille anni; il cambiamento, e non la stabilità, è la caratteristica fondamentale del clima; gli eventi naturali (eruzioni dei vulcani, terremoti, tsunami) incidono sul clima molto più di qualsiasi attività umana; le simulazioni al computer sono inattendibili quando si tratta di previsioni.
E tragicamente esatta è la descrizione del clima dominante nella nostra società, come viene descritto dal protagonista del romanzo, il professor Hoffman, chiamato a sfatare i miti ambien-talisti: «Ha mai fatto caso – dice Hoffman al suo interlocutore – quanto sia straordinaria la cultura della società occidentale? Le nazioni industrializzate offrono ai loro cittadini un livello di sicurezza, salute e di benessere mai visti prima. La durata media della vita è aumentata del 50% in un secolo. E lo stesso gli uomini moderni vivono nella paura. Hanno paura degli stranieri, delle malattie, del crimine, dell’ambiente. Hanno paura delle case in cui vivono, del cibo che mangiano, della tecnologia che li circonda. Sono presi dal panico per cose che nemmeno possono vedere: germi, sostanze chimiche, additivi, inquinanti. Sono spaventati, nervosi, irritabili e depressi. E cosa ancora più straordinaria, sono convinti che l’intero pianeta stia scomparendo intorno a loro. Fantastico! Come la stregoneria: un inganno formidabile…”.
Ed è qui che State of fear può essere tradotto anche come “Stato del terrore”, uno Stato globale in cui vivono indistintamente tutti i cittadini dei Paesi industrializzati e che usa il terrore per garantirsi il controllo sociale. «Negli ultimi 15 anni – dice ancora il prof. Hoffman – siamo sotto il controllo di un complesso politico-Iegal-mediatico, il PLM. Ed è interamente dedicato a instillare la paura nella popolazione, fingendo di promuovere la sicurezza… I politici usano la paura per controllare la popolazione. Gli avvocati hanno bisogno di pericoli da portare in tribunale per guadagnarci soldi. I media usano la paura per catturare più pubblico. Insieme, queste tre istituzioni sono così forti che possono fare i loro affari anche se il pericolo è assolutamente privo di fondamento».
Complottismi? Forzature e fantasie da scrittore di romanzi? Ignoranza scientifica? È quello che sostengono i detrattori di Crichton.
Senonché la realtà si è presa il disturbo di andare addirittura oltre la finzione. Così, a gennaio, uno dei più importanti scienziati al mondo che si occupa di cicloni tropicali, Christopher Landsea, con una lunga e circostanziata lettera aperta si dimette dall’lntergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che dovrebbe essere il massimo organismo scientifico mondiale sul-l’osservazione dei cambiamenti climatici. Ogni sei anni l’IPCC redige un voluminoso rapporto che raccoglie e sintetizza tutti i rapporti scientifici che hanno a che fare con il clima (il prossimo uscirà nel 2007). Cosa è successo dunque? Su richiesta del coordinatore della sezione dedicata alle Osservazioni, Kevin Tremberth, il prof. Landsea ha preparato lo scorso autunno una relazione sugli uragani nell’Oceano Atlantico, sostenendo che non si registra alcun intensificarsi di tale attività né è sostenibile che i cambiamenti climatici influiscano su questi fenomeni naturali. Il signor Tremberth però va ad Harvard e organizza con altri scienziati una bella conferenza stampa il cui concetto di fondo è: «Gli esperti avvertono che il riscaldamento globale provocherà il continuo intensificarsi degli uragani». Tutti i media del mondo (ricordate il PLM?) rilanciano l’allarme, e tutti noi siamo testimoni di questo bombardamento mediatico sull’intensificarsi, già nel 2004, di questi eventi estremi. Peccato che non sia vero, e Landsea ribadisce che non c’è nessuna relazione tra gli uragani e il cambiamento climatico.
Ma la vicenda di Landsea non finisce qui. Piuttosto contrariato da questa strumentalizzazione, il nostro professore scrive immediatamente al presidente deIl’IPCC, Rajendra Pachauri, denunciando l’accaduto. Ma Pachauri minimizza parlando di incomprensioni e cercando di mettere a tacere la questione. Non solo, lo stesso Pachauri all’inizio di gennaio presta il suo volto istituzionale per dare credito a un altro studio a tesi, che lancia l’allarme sul prossimo aumento delle temperature di 2°, dovuto a «pericolose interferenze antropiche», ovvero alla mano dell’uomo. E ancora Pachauri annuncia che il rapporto del 2007 «produrrà un messaggio molto più forte» al mondo su questi temi. Di fatto Pachauri ha già trasformato l’IPCC in un organismo ideologico che promuove politiche predefinite.
Perciò a un onesto scienziato come Landsea non resta che dimettersi perché – dice nella sua lettera aperta – «io non posso in buona fede continuare a partecipare a un processo che vedo motivato soltanto da un programma pre-costituito e senza base scientifica».
Alzi la mano chi ha già letto qualcosa di questa storia del prof. Landsea. Eppure, per qualsiasi altro fatto del genere, sarebbe scoppiato uno scandalo internazionale (l’IPCC è emanazione dell’ONU e viene sostenuto anche dalle nostre tasse), Pachauri sarebbe stato costretto a dimettersi e tante altre teste sarebbero cadute. Invece niente. Silenzio. E l’IPCC continua imperterrita a lanciare allarmi per la gioia dei media di tutto il mondo. Non sarà il caso di prendere sul serio il romanzo di Crichton?
Bibliografia
Michael Crichton, Stato di paur ,Garzanti, 2005.
Riccardo Calcioli – Antonio Gaspari, Le bugie degli ambientalisti, Piemme, 2004.
Bjorn Lomborg, L’ambientalista scettico, Mondatori, 2002.
IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 pag. 18 -19