C’è una sottile tentazione sempre in agguato per quei pochi che si occupano di trasmettere il Magistero della Chiesa. Essa consiste nel cercare nell’insegnamento dei Pontefici la conferma delle proprie idee e quindi nel non cercare di adeguarsi a quanto i Papi intendono trasmettere ai fedeli, selezionando i testi pontifici, prendendo ciò che aggrada e lasciando ciò che è lontano dalle proprie prospettive.
Non bisogna pensare necessariamente alla malafede dello scrittore. Molto più semplicemente, ciascuno di noi cerca la conferma delle proprie idee, che reputa buone perché ritiene siano conformi (e indubbiamente spesso lo sono) a quanto la Chiesa insegna, e dunque facciamo molta fatica a “convertirci”, cioè ad adeguare il nostro pensiero a quanto la Chiesa propone attraverso il Magistero.
Molti rispondono ricordando che il Magistero dei Papi è infallibile solo quando affronta temi inerenti alla fede e alla morale; è vero, ma la funzione del Magistero non si limita a questo, altrimenti servirebbero soltanto rarissimi interventi per fissare nuovi dogmi o per condannare errori. In realtà, il Magistero ha il compito ordinario di guidare la Chiesa, indicando la strada da percorrere nelle diverse epoche della storia, scegliendo le priorità e mettendo in guardia dagli errori di ogni stagione storica. Si chiama Magistero pastorale, cioè quell’insieme di indicazioni che
appunto il pastore deve dare ai fedeli per aiutarli a capire il tempo nel quale vivono.
È una funzione importante fra quelle inerenti alle prerogative del Pontefice; se non ha le caratteristiche dell’infallibilità non significa che non abbia l’assistenza dello Spirito Santo. Tale funzione precede quella disciplinare e in qualche modo la previene, perché difficilmente chi si sforza di attenersi alle indicazioni pastorali del magistero pontificio potrà mai avere problemi disciplinari con la Santa Sede.
Essa ci ricorda la difficilissima virtù dell’obbedienza che, come spiega sant’lgnazio di Loyola (1491-1556), il fondatore della Compagnia di Gesù, consiste nel cercare di aderire (quasi prevenendolo) all’insegnamento del superiore ancor prima che venga espresso. Naturalmente questo non significa non avere dubbi, incertezze da parte di chi deve obbedire e d’altra parte non significa che tutti i documenti pontifici siano i migliori possibili, siano sempre puntuali o espressi nel migliore dei modi.
L’attenzione obbediente al Magistero è una Grazia e una luce che, per esempio, i cristiani protestanti non hanno più e gli stessi ortodossi hanno perduto, privandosi così – nella complessità del mondo contemporaneo, a volte veramente superiore alla più sofisticata intelligenza – del conforto di una guida divinamente assistita.
E bisogna dire che questa abitudine è penetrata in tutti i contemporanei, segnati da un soggettivismo spesso inconscio, ma reale. Questo atteggiamento non riguarda soltanto coloro che, come i modernisti all’inizio del Novecento, hanno cominciato a praticare quella forma di eresia non esplicita, che non rompe formalmente l’unità e l’obbedienza ecclesiale ma la nega di fatto comportandosi come se la stessa autorità non avesse valore. Tutti subiamo il conformismo culturale della nostra epoca, spesso senza accorgercene.
Faccio un esempio, che mi riguarda. Ci sono voluti anni perché comprendessi la dottrina della Divina Misericordia insegnata e raccomandata nella seconda enciclica di Giovanni Paolo II e che recentemente Benedetto XVI ha indicato come la sintesi di tutto il magistero del suo predecessore, in quanto limite al male posto dalla Provvidenza di Dio. Istintivamente avrei pensato che la Provvidenza avrebbe dovuto agire diversamente, condannando radicalmente il male (condanna peraltro che la Chiesa non ha mai smesso di ribadire), ricordando la giustizia di Dio (che peraltro rimane e giudicherà la storia e gli uomini). Invece la Provvidenza ha disposto che negli anni del trionfo delle ideologie totalitarie, negli anni Trenta del secolo XX, una umile suora polacca si facesse tramite di un messaggio di misericordia con il quale Gesù – ha poi ricordato papa Giovanni Paolo Il, canonizzando questa suora, santa Faustina Kowalska – ha voluto porre un limite al male. Così èvenuta la “medicina della Misericordia” del primo discorso al Concilio del beato Giovanni XXIII, l’enciclica Dives in Misericordia, la canonizzazione di santa
Faustina (mi consola che anche all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, negli anni successivi alla sua morte, qualcuno non aveva immediatamente compreso e apprezzato il suo messaggio), l’istituzione della festa della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua.
Evidentemente Dio sa gettare lo sguardo molto più avanti del nostro e ha visto non soltanto il male terribile dell’ideologia totalitaria con le sofferenze delle nazioni che l’hanno dovuta patire, ma anche la strada per riparare i danni subiti dalle persone dopo la lunga notte delle ideologie. Se oggi infatti i cattolici non sapessero accostarsi con misericordia all’uomo devastato dell’epoca post-ideologica, se accanto alla verità e all’identità, senza compromessi e senza relativismi, non sapessero accostare la medicina della Misericordia, l’uomo di oggi potrebbe forse capire di aver sbagliato, ma non saprebbe sopportare il peso del male commesso. E la disperazione, che è una delle conseguenze del relativismo, se lo porterebbe via.
Molti dei movimenti di rinascita religiosa dei nostri tempi, nati all’interno del cristianesimo e anche della Chiesa cattolica, per esempio il Rinnovamento nello Spirito e in generale i tantissimi gruppi di preghiera sorti attorno alle esperienza di san Pio da Pietrelcina e delle apparizioni mariane a Medjugorje, manifestano questa espressione forte della divina Misericordia.
Mi rendo conto che da sola la Misericordia non basta. Essa rimanda a una legge, a un ordine, a una verità che sono stati feriti, trasgrediti, offesi. E appunto solo Dio misericordioso potrà riconciliare gli uomini che si sono feriti e offesi e che hanno oltraggiato il loro Signore. La verità, l’ordine, la legge vanno continuamente insegnati altrimenti si ripresenteranno situazioni anche peggiori di quelle del secolo scorso. Ma non rinascerà mai una società tanto perfetta da non aver bisogno della Misericordia di Dio.
«(…) le rivelazioni di suor Faustina, concentrate sul mistero della Divina Misericordia, si riferiscono al periodo che precede la Seconda guerra mondiale. È proprio il tempo in cui nacquero quelle ideologie del male che furono il nazismo e il comunismo. Suor Faustina divenne la banditrice dell’annuncio secondo cui l’unica verità capace di controbilanciare il male di quelle ideologie era che Dio è misericordia – era la verità del Cristo misericordioso».
(Giovanni Paolo Il, Memoria e identità, Rizzoli, 2005, p. 16).
Beato Giovanni XXIII, Discorso Gaudet Mater Ecclesia all’apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962.
Benedetto XVI, Regina coeli, Il domenica di Pasqua, 23 aprile 2006. Giovanni Paolo II, Omelia per la dedicazione del santuario della divina misericordia a Krakóv – ?agiewniki, 17 agosto 2002.
IL TIMONE – N. 54 – ANNO VIII – Giugno 2006 – pag. 58 – 59