Dio è Verità. Ogni distacco dalla Verità è distacco da Dio. L’ottavo comandamento ammonisce a non escludere Dio nel rapporto con gli altri: “Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo” (Es 20,16).
Esiste una comunione tra gli spiriti che si esprime in atti d’amore e parole. Questa comunione è tanto più santa quanto più questi atti e queste parole sono gli atti e le parole di Dio. Il regno di Dio non è altro che questo. Il danno della menzogna non sta tanto nel fatto che viene detta una cosa al posto di un’altra, ma nel fatto che tramite essa escludo Dio e il suo regno dal rapporto con le persone. E questo comporta una privazione di luce, momentanea o permanente, nella comunicazione tra me e gli altri, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Non si può essere in comunione con quel Cristo che disse lo sono la Verità e al tempo stesso operare la menzogna. Serve a poco cercare le circostanze attenuanti che possono giustificare una bugia; Gesù, perfino davanti a Pilato che lo minaccia di morte, non si sottrae dal proclamare di essere “venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Nella menzogna il Signore denuncia un’opera diabolica: “Voi…avete per padre il diavolo… non vi è verità in lui. Quando dice il falso parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Se Satana è dunque padre della menzogna, colui che la pratica esce dalla paternità di Dio per passare sotto quella del diavolo: ha scelto, a volte inconsapevolmente, un altro padre. Ecco perché la Chiesa indica come unico rimedio il ritorno al Padre, la confessione.
Certo, non tutte le menzogne hanno identico peso morale. Il Catechismo perfeziona il nostro discernimento affermando che “la gravità della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono le vittime” (CCC 2484). S. Agostino, nel suo trattato sulla menzogna, precisa che “la menzogna consiste nel dire il falso con l’intenzione d’ingannare” (De Mendacio, 4,5: PL 40,491). Ma esistono diversi modi di tradire la verità: l’ironia malevola, la millanteria, la lusinga, l’insinuazione, e finanche la verità stessa ma detta con lo scopo di fare del male. La menzogna, che in sé può essere anche un peccato veniale, diventa un peccato mortale “quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità” (CCC 2484). Oltre alla necessità del pentimento emerge dunque il dovere di riparazione. Se poi la menzogna è esercitata pubblicamente riveste una gravità particolare. Attuata dinanzi a un tribunale diventa falsa testimonianza e spergiuro.
L’ottavo comandamento talvolta si aggrava combinandosi con il settimo: vale a dire quando la mia menzogna deruba il prossimo di qualcosa, per esempio della libertà, o d’ingiusti risarcimenti, o della sua reputazione. Si parla di giudizio temerario quando si sostiene come vera, ma senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo. La maldicenza invece consiste nel rivelare senza motivo i difetti e le mancanze altrui a persone che le ignorano. Peggiore ancora èl a calunnia, che distrugge, a volte dolorosissimamente, l’immagine di una persona. È triste notare come tutte queste diaboliche arti siano sempre più adoperate da certuni come strumento di concorrenza sleale verso un avversario, per esempio nella propaganda politica. In questo senso emerge in modo particolare l’enorme responsabilità dei mass media, che spesso funzionano da micidiali moltiplicatori del falso.
IL TIMONE – N. 35 – ANNO VI – Luglio/Agosto 2004 – pag. 61
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