Il Medioevo fu un potente diffusore di cultura, inventò l’università, animò un dibattito vivace, conseguendo sia l’unificazione, sia l’autonomia dei saperi. Fiducioso nella verità, ha lasciato frutti inestimabili.
Medioevo nemico della cultura? Falso, come cerchiamo in breve di mostrare.
1. Il Medioevo è stato un potente diffusore di cultura, perché il Concilio Lateranense II (1179) aveva formulato l’obbligo ad ogni chiesa di avere una scuola. A scuola vanno anche i fanciulli e i poveri: Sugero, abate di Saint Denis, che resse la Francia quando Luigi II combatté la II crociata, era figlio di servi; Maurizio di Sully, arcivescovo parigino che fece costruire Notre Dame, era figlio di un mendicante; S. Pier Damiani, che divenne cardinale ed era consigliere di Gregorio VII, era stato un guardiano di porci; l’uomo più colto del suo tempo, Gerberto d’Aurillac, era stato un pastore e divenne papa Silvestro II; papa Urbano VI era figlio di un calzolaio; Gregorio VII, uno dei più grandi pontefici della storia della Chiesa, era figlio di un capraio.
2. Il Medioevo inoltre inventa l’università, che è l’insieme delle persone, docenti e studenti, che collaborano nella ricerca comune, rigorosa e scientifica, della verità, una ricerca che dal 1200 è autonoma dallo Stato e libera da obblighi verso il potere centrale.
3. Inoltre, bisogna sfatare l’idea di una cultura omologata. È vero che sussiste una generale, non totale, condivisione su alcuni temi, come l’esistenza di Dio o la vocazione dell’uomo alla comunione con Dio stesso, tuttavia la cultura medievale è estremamente vivace e connotata da un accentuato pluralismo di idee e concezioni, che si esprime in una molteplicità di scuole e correnti di pensiero, che si fronteggiano in un dibattito molto animato. Basta ricordare la scuola di Chartres, quella dei Vittorini, quella francescana, quella domenicana, il movimento scotista e quello occamista, per menzionare solo alcuni dei più significativi.
4. Bisogna anche riconoscere che la cultura medievale ha avuto il merito di realizzare l’unificazione del sapere, organizzando le varie discipline intorno alla disciplina fondamentale, cioè la teologia. Ciò significava l’impossibilità, per esempio, che una scienza diventasse anarchica e assumesse come fine il solo proprio sviluppo. Non era cioè in linea di principio possibile che la scienza potesse progettare la clonazione, alcuni attuali aberranti interventi di manipolazione genetica, la fecondazione artificiale, ecc., perché ogni disciplina si conformava ad alcuni fondamentali criteri, ricevuti dalla teologia, dall’antropologia e dall’etica. Le discipline erano unificate dal fatto di avere uno scopo comune, la perfezione dell’uomo, al quale dovevano in definitiva insegnare l’arte di vivere moralmente bene (l’ars bene vivendi et moriendi), indirizzandolo verso la ricerca del bene e dell’amore a Dio e al prossimo. Questa unificazione del sapere, che dipendeva dal fine comune delle discipline, è stata soppiantata nel Rinascimento da una separazione: l’organismo unitario dei saperi si decompone e le discipline si rendono autonome l’una dall’altra (basta pensare, per es., alla scissione tra morale e politica enunciata da Machiavelli e più ancora, in seguito, da Montaigne), rinunciando alla precedente solidarietà reciproca che le caratterizzava; ad un’unificazione del sapere secondo un criterio gerarchico, si è poi successivamente sostituito il surrogato di un’unificazione enciclopedica e antigerarchica, quella illuminista, che organizza le conoscenze secondo il solo criterio alfabetico e dove, mancando una gerarchia, tutto deve essere saputo o, perlomeno, tutto è sullo stesso piano: al centro non c’è più l’uomo bensì l’accumulazione stessa del sapere, e la moltiplicazione delle informazioni atrofizza la capacità di riflettere.
5. Da quanto detto risulta già possibile dissipare l’idea che la cultura medievale sia stata soltanto una cultura teologica. È vero che in quest’epoca si sono raggiunti dei vertici teologici vertiginosi, ma vengono coltivate discipline come l’etica, l’antropologia, la politica, vengono coltivate le arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, musica, geometria, astronomia).
6. E il rifiuto dell’anarchismo delle discipline non comportava la negazione della loro autonomia. Per quanto riguarda la filosofia, per es., è errato citare Lutero, Calvino, Cartesio o gli illuministi come liberatori del pensiero filosofico dal giogo teologico. Se oggi esiste una filosofia come tale lo si deve al paziente lavoro dei filosofi medievali, che sono riusciti a definire un ambito in cui il pensiero fosse autonomo, e a rivendicare i diritti della ragione. Al contrario, saranno proprio Lutero e Calvino ad accusare i medievali di aver sacrificato la religione alla filosofia, ed è noto che il fideista Lutero rifiutava qualsiasi collaborazione tra la ragione e la fede, e considerava la ragione come prostituta del diavolo. Ma insieme alla filosofia tutte le discipline guadagnano nel medioevo una propria autonomia: ognuna ha il suo metodo, il suo oggetto, i suoi strumenti. Di più, già S. Agostino (In Genesim ad litteram, II, 9) possiede la consapevolezza che l’autorità della Rivelazione biblica concerne solo gli ambiti della fede e della morale, e non, per esempio, l’astronomia, la medicina, la fisica, ecc. Significativa l’affermazione di S. Alberto Magno: «quando i filosofi e S. Agostino sono in disaccordo in ciò che concerne la fede e i costumi, bisogna credere a S. Agostino. Ma se si trattasse di medicina io prenderei piuttosto Ippocrate o Galeno», cioè bisogna ascoltare gli specialisti competenti di ciascun ambito, piuttosto che la Rivelazione o i dottori della Chiesa.
7. Diversamente dalla nostra cultura relativista e scettica, la cultura medievale si nutriva di una profonda fiducia nella capacità della ragione di cogliere almeno alcuni aspetti della verità, di decifrare almeno in parte la realtà. Così ha prodotto dei frutti inestimabili, come le opere di Dante, Petrarca e Boccaccio, di S. Agostino e di S. Tommaso, per citare solo le più significative. Anzi, a parere di chi scrive, in certi casi, come quelli della Divina Commedia o della Somma teologica, il valore di queste opere non è per ora mai stato eguagliato.
In conclusione: la fede cristiana stimola l’intelligenza e promuove cultura, perché la considera un bene inestimabile, frutto di quel meraviglioso strumento dato da Dio all’uomo che è la ragione. Un solo esempio per il nostro tempo: la Chiesa (cfr. l’enciclica Fides et ratio) è oggi l’unica istituzione che perora la filosofia come ricerca della verità.
BIBLIOGRAFIA
Ètienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, Firenze 1973, specialmente pp. 471-482, 608-611, 633-635, 903-913 (recentemente ristampato, Sansoni 2004).
Emanuele Samek Lodovici, Il gusto del sapere, “Universitas”, 4 (1993), pp. 18-22.
Dossier: Grandezza del Medioevo Cristiano
IL TIMONE – N. 32 – ANNO VI – Aprile 2004 – pag. 44 – 45