15.12.2024

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Lucia che il Lino liberà dal demonio
6 Marzo 2015

Lucia che il Lino liberà dal demonio

ESCLUSIVO: un inedito carteggio tra san Carlo Borromeo e un inquisitore rivela che a Chambéry la Sindone ebbe il ruolo decisivo nell’esorcismo su una donna calvinista, che per questo si fece cattolica

Un inedito carteggio del 1578-79 tra san Carlo Borromeo e un inquisitore domenicano ci svela una vicenda finora sconosciuta, su cui sto ultimando uno studio storico approfondito, ove la Sindone ebbe parte in un esorcismo. Ne anticipo qualche aspetto per i lettori del Timone.
Il Rituale Romanum, che contiene le formule per gli esorcismi, da sempre raccomanda l’uso di alcuni rimedi contro la possessione diabolica, tra cui l’uso delle reliquie (dei santi, ma soprattutto della Vera Croce di Cristo), talora impiegate dall’esorcista direttamente durante il rito.
Ciò premesso, è chiaro che l’utilizzo della Sindone durante un esorcismo è cosa in sé plausibile: reperire precise testimonianze storiche di una cosa del genere, però, è ben altro conto. Ma andiamo con ordine.
Che nel corso della storia la presenza della Sindone sia stata accompagnata da miracoli è cosa nota: si tramandano diversi casi in cui la devozione per essa ha mosso Dio a concedere grazie particolari, come guarigioni o liberazioni di indemoniati alla sola vista del Sacro Telo. Tutti fenomeni più o meno documentati e ai quali si può ovviamente scegliere di dare più o meno credito.

Il miracolo più noto
Il caso finora più celebre, narrato dallo storico Pingone, che ne fu testimone oculare, è il miracolo del giovane muto (affetto da una grave malformazione della lingua, sembrerebbe) che poté finalmente parlare dopo aver venerato la Sindone nell’ottobre 1578: la reliquia era appena giunta a Torino da Chambéry e l’ostensione solenne coronava uno speciale pellegrinaggio dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo. Era da parecchio che il duca di Savoia desiderava portare la Sindone a Torino, un po’ per proteggerla dal furore dei Protestanti, un po’ per ragioni politiche e di prestigio: quando seppe che il Borromeo, durante la famosa peste di qualche tempo prima, aveva fatto voto di recarsi a piedi fino a Chambéry per ringraziare Dio davanti alla Sindone non appena il morbo fosse cessato, colse l’occasione al volo e fece trasferire la reliquia a Torino con la scusa di abbreviargli il viaggio.
San Carlo pregò, predicò, si commosse fino alle lacrime davanti a quella che egli stesso definì la «preciosissima Sindone nella quale fu involto il corpo del Salvator nostro mentre egli stette nel sepolcro». E naturalmente seppe subito del miracolo del muto che avvenne proprio in quei giorni: ma di un altro fatto, forse anche più eclatante, accaduto pochi mesi prima a Chambéry, avrebbe saputo solo in dicembre tramite la lettera di un inquisitore che gli scriveva a proposito di una donna esorcizzata per mezzo della Sindone.
Lo straordinario esorcismo (ma quale esorcismo non lo è?) era stato compiuto a Chambéry dal vescovo e dal vicario del luogo su una donna calvinista, posseduta da molti anni dai demòni: una volta liberata, costei si convertì al Cattolicesimo sotto la guida spirituale dell’inquisitore di Vercelli; il quale, per meglio proteggerla, chiese infine al Borromeo di nasconderla a Milano.

Il fatto di Ginevra
Veniamo dunque ai fatti: tutto comincia nella Ginevra di Calvino nel 1551, quando una fanciulla allora dodicenne, dal nome assai comune di Ginevra, viene battezzata da un ministro protestante (cioè un pastore calvinista); subito dopo, la poveretta è assalita dai demòni, che la tormentano per 27 anni. Finché, nel 1578, alcuni cattolici diretti a Chambéry  per assistere alla tradizionale estensione annuale della Sindone (4 maggio), convincono Ginevra a seguirli, sperando che, come si diceva fosse avvenuto in altri casi, la preghiera innanzi alla Sindone potesse ottenerle la liberazione. E qui accade qualcosa di straordinario, perché anziché vedere la Sindone da lontano, come una pellegrina qualsiasi, Ginevra ne viene toccata in modo che non esitò a definire unico.
Il suo caso, infatti, viene portato all’attenzione di Pierre de Lambert, vescovo della diocesi di Saint-Jean-de-Maurienne, presente a Chambéry per l’ostensione. Egli, insieme al vicario, compie su lei un esorcismo proprio nella Sainte-Chapelle du Saint-Suaire dove è custodita la Sindone. I demòni che possiedono Ginevra sono molti, «una legione», e sono tutti muti tranne due: uno di loro ha la blasfema sfrontatezza di chiedere al vescovo, in cambio della liberazione della donna, di battezzare un cane nel quale poter entrare. A quelle parole, il vescovo de Lambert, mosso da santa ira, «diede di mano al santissimo Sudario» (cito le parole dell’inquisitore che ne riferisce): pone la Sindone sul capo di Ginevra e la donna comincia a levitare fin ben sopra le teste dei presenti, per poi schiantarsi a terra, con le ossa rotte e mezza morta, ma finalmente liberata dai demòni.
Per mesi giace in ospedale, inferma e incapace di parlare. Quando si riprende, rammenta la promessa fatta al vescovo di farsi cattolica e in ottobre giunge in Italia.
Dopo qualche tempo, Ginevra si affida al domenicano Cipriano Uberti, inquisitore generale di Vercelli, Ivrea e Aosta, che la segue spiritualmente per oltre un mese. Finché era rimasta a Chambéry nessuno l’aveva cercata, ma adesso, mentre è a Vercelli, dalla sua città d’origine vengono inviati degli uomini per rapirla, probabilmente per impedirle la conversione: il piano fallisce e i rapitori sono messi in fuga, ma la donna è in pericolo. Una calvinista che abiura e si fa cattolica è cosa delicata, le guerre di religione stanno dilaniando l’Europa.
Uberti non ha scelta, deve metterla in salvo, teme «di perdere una creatura»: in dicembre scrive al cardinale Carlo Borromeo e gli chiede di accoglierla in uno dei numerosi luoghi pii di Milano, dove costei possa vivere e progredire nella vita spirituale, e gli comunica che di lì a pochi giorni ha previsto l’ammissione di Ginevra nella Chiesa Cattolica con una cerimonia solenne (che a norma di diritto canonico non prevede il Battesimo, già amministrato dai Calvinisti), dopo regolare abiura (cioè la rinuncia all’eresia e la professione di fede cattolica, rese davanti a un notaio del Sant’Uffizio di Vercelli).

La discrezione di San Carlo
Dalle poche lettere che seguono, sappiamo che san Carlo si dichiara disponibile a prestare l’aiuto necessario e Uberti, grato, invia a Milano la sventurata, che nel frattempo ha mutato nome in Lucia; il Borromeo provvede infine a nasconderla e ad affidarla a un padre spirituale.
A nasconderla, sì, non solo a proteggerla: dalle missive del Borromeo traspare grande prudenza, tanto che non nomina mai il luogo ove ha collocato Lucia affinché abbia «molti aiuti spirituali et commodità di attendere al spirito per andar innanzi et confirmarsi ogn’hor più nel suo buon proposito».
In seguito, le tracce di Lucia si perdono. La donna è salva nell’anima, né corre più pericoli terreni. Missione compiuta. Una vicenda decisamente clamorosa, insomma. E allora perché non se ne seppe mai nulla? Dopotutto, avrebbe potuto essere un notevole impulso per promuovere ulteriormente il culto della Sindone. Tutti i personaggi coinvolti, invece, tacquero.
Credo che la risposta sia una sola: costoro furono pastori autentici, più attenti a salvare un’anima che a divulgare un segno pur straordinario, avvenuto in un’Europa dilaniata dalla Riforma protestante; pastori che non esitarono ad anteporre l’incolumità di una donna del popolo a un’opportunità di celebrazione. La riservatezza è la cifra di tutta questa vicenda: ed è la ragione per cui ne resta traccia solo nelle poche lettere che si scambiarono i due principali benefattori della donna, l’inquisitore di Vercelli e san Carlo.
Una storia straordinaria, dunque, finora rimasta ignota proprio in virtù della riservatezza degli ecclesiatici coinvolti: a Chambéry gli esorcisti (il vescovo Pierre de Lambert, che era anche il decano della Sainte- Chapelle, e il vicario); a Vercelli l’inquisitore generale (oltre al vescovo e ai canonici della Cattedrale ove Lucia venne accolta nella Chiesa Cattolica); a Milano il cardinale arcivescovo, san Carlo Borromeo.
Una storia di liberazione e di conversione: una storia di santi. â–

Il Timone – Marzo 2015

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