Fu protagonista di primissimo piano della vita politica e sociale, anticomunista e antifascista. Combatté per la libertà, coniugò cattolicesimo e liberalismo e denunciò statalismo, partitocrazia, strapotere dei sindacati e centralismo burocratico.
“La libertà è la più aderente qualità della coscienza umana. Educate il popolo a sentire la voce della coscienza, a informarsi bene della via da seguire che risponda agli impulsi della coscienza; a ubbidire alla voce di una coscienza ben formata; a trovare nella consonanza con gli altri che egli stima per nobiltà d’animo e rettitudine di vita, quell’elemento che nei dubbi rassicura la propria coscienza; solo così si fa sentire a ciascuno il peso della propria responsabilità. Il dinamismo della libertà consiste nella ricerca della verità, nell’amore della verità, nel senso del dovere che impone di seguirla e di affermarla”. A scrivere queste parole fu don Luigi Sturzo, il celebre fondatore del Partito Popolare, protagonista di primissimo piano della vita politica e sociale dell’Italia della prima metà del XX secolo. E tra quelle parole risuonano i termini che funsero da motivo dominante della riflessione e dell’azione dell’uomo politico siciliano: libertà innanzitutto, e subito dopo responsabilità e verità.
Sturzo nacque nel 1871 a Caltagirone in una famiglia aristocratica. Dopo aver studiato nei seminari di Acireale, Noto e Caltagirone, nel 1894 venne ordinato prete e nel 1898 conseguì la laurea in teologia all’Università Gregoriana. Nello stesso anno venne eletto nel consiglio comunale della propria città, della quale fu a lungo prosindaco. Ben presto, don Sturzo cominciò a imporsi anche a livello nazionale, occupando ruoli dirigenziali in varie associazioni, finché nel gennaio 1919 lanciò il famoso appello “A tutti gli uomini liberi e forti”, dando vita al Partito Popolare Italiano. Collocatosi immediatamente su posizioni antifasciste, nel 1924 decise di lasciare l’Italia alla volta di Londra, ove rimase fino al 1940. Tra il 1929 e il 1939 svolse un’intensa attività pubblicistica e dette alle stampe alcune tra le sue più importanti opere teoriche. Nel 1940 si recò a New York, da dove fece rientro in Italia nel settembre del 1946, accolto trionfalmente. A quel punto, Sturzo non riprese la militanza politica attiva nella Democrazia Cristiana, ma si rese vivamente presente sulla stampa attraverso numerosi interventi duramente critici nei riguardi del Fronte popolare, del malcostume burocratico, del centralismo e dell’intervento dello Stato nella vita economica. Nel 1952 fu nominato senatore a vita; sette anni più tardi, l’8 agosto del 1959 Sturzo morì e venne seppellito nella cripta di San Lorenzo al Verano a Roma. Di lì, nel 1962, le sue spoglie vennero traslate nella chiesa del Santissimo Salvatore a Caltagirone.
Non v’è dubbio che la figura, le idee e l’opera di Sturzo siano tornate prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni, quando più intense si sono fatte le battaglie per la libertà: quella del sacerdote siciliano è apparsa allora una delle figure-chiave del cattolicesimo liberale contemporaneo, non sempre adeguatamente conosciuto e valorizzato e spesso messo in ombra da altre correnti politiche che ugualmente si richiamano alla dottrina sociale della Chiesa.
Come si è già accennato, alla base e al centro della concezione politica sturziana sta la libertà, la violazione e la limitazione della quale vengono considerate le cause principali dei mali che affliggono la società italiana, che non ha mai visto sorgere e svilupparsi una stagione di autentica libertà. Gli stessi liberali risorgimentali non seppero condurre fino in fondo la battaglia della libertà e ne trascurarono, quando proprio non ne ostacolarono, alcune fondamentali concretizzazioni nel campo della religione, della scuola e dell’organizzazione amministrativa dello Stato. Il fascismo, poi, conculcò tutte le libertà, e i partiti di sinistra, comunisti in primis, si dimostrarono tributari di un’ideologia radicalmente illiberale. Di fronte a questo panorama, Luigi Sturzo, ispirandosi all’insegnamento sociale della Chiesa cattolica, rimise la libertà al centro della sua filosofia e della sua prassi, e muovendo di lì pensò un programma capace di sconfiggere i grandi mali della politica italiana, tra cui egli considerava con particolare preoccupazione lo statalismo, lo strapotere dei partiti e dei sindacati, la burocrazia e il centralismo.
Scrisse Sturzo: “Sociale è un aggettivo accettevole [accettabile] in quanto indica il carattere di società; socialismo vorrebbe essere un sostantivo sistematico per accentuare il sociale, ma mettendo questo in contrasto con l’individuale diviene causa di degenerazione perché l’uomo è sostanzialmente individuo e conseguentemente società; la organicità individuale-sociale non può ammettere l’accentuazione individualista a danno della società; né l’accentuazione socialista a danno dell’individualità. Lo stesso si dica di libertà e liberalismo; di comunità e comunismo […]. Pertanto, statalismo è disordine, disarmonia, sopraffazione, violazione della personalità umana, rottura dell’organismo statale; statalismo non è lo Stato ma è contro lo Stato […]. Lo Stato è il potere legittimo; lo statalismo è strapotere […]. La partitocrazia è il fenomeno più appariscente della malattia dello statalismo […]. L’individuo, che in democrazia acquista i diritti della personalità e della libertà, propria e associata, è la vittima allo stesso tempo e dello stesso statalismo e della partitocrazia”.
Sono parole che non hanno perso la loro vivezza e che appaiono ancora oggi attuali: esse rappresentano soltanto una piccola testimonianza del pensiero politico di un uomo scomodo e inascoltato che – si vorrebbe dire: purtroppo – appartiene ancora al futuro.
RICORDA
“Sturzo svolge intorno al concetto di sussidiarietà tutta la sua costruzione politica, il suo progetto di forte autonomismo e federalismo: «Ad uno Stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali, la famiglia, le classi, i comuni, che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private»”.
(G. Morra, Teologia politica e religione civile, Giorgio Barghigiani Editore, Bologna 2000, pp. 133-134).
BIBLIOGRAFIA
L. STURZO, I mali della politica italiana. Pensieri liberali, a cura di M. Baldini, Armando Editore, Roma 2000.
L. STURZO, Statalismo e apertura a sinistra: attenti ai mali passi, a cura di G. Palladino, CISS, Roma 1996.
S. MILLESOLI, Don Sturzo. La carità politica, Paoline, Milano 2002.
IL TIMONE – N. 29 – ANNO VI – Gennaio 2004 – pag. 30 – 31