Fa paura il Dio cristiano? L’uomo debole e fragile del nostro tempo teme il sacrificio della Croce e una morale così esigente. La salvezza sta nell’umiltà di riconoscere che Dio ci ama gratuitamente, non per i nostri meriti. E la sua misericordia colmerà le nostre miserie.
Posso dirvi una cosa che forse vi stupirà? Ebbene, io credo che oggi il cristianesimo soprattutto (o forse solo) nella versione cattolica faccia paura. Per due dei suoi aspetti fondamentali.
Anzitutto, perché pone al proprio centro un Crocifisso, con tutto ciò che questo evoca: passione, sofferenza, sangue, morte. E poi, perché trae dalla fede che propone una morale molto esigente ed impegnativa che appare anch’essa carica di rinunce, di sacrifici, di limitazioni, di chiusure. Come corollario, quello di una immagine della Chiesa che le varie ideologie che si sono susseguite nel corso degli ultimi secoli – soprattutto dall’illuminismo in poi – hanno contribuito a costruire come nemica della libertà e del libero confronto delle opinioni, sempre pronta, secondo questa visione, ad indire crociate e a perseguitare chi non sia d’ac-cordo con lei. Non ci dobbiamo stupire più di tanto. La pressione contro la fede in generale da parte del razionalismo e del liberalismo è stata sempre molto forte e continua. Ma le reazioni all’interno delle diverse confessioni cristiane sono state diverse. Così, mentre il mondo ortodosso è rimasto un po’ isolato da questo genere di polemiche anche a causa della situazione socio-politica dell’Europa dell’Est, che solo ora comincia ad affacciarsi pienamente ad Ovest, il protestantesimo, nelle sue forme classiche, ha scelto di adeguarsi, soprattutto nel campo morale, alle “richieste” che mano a mano venivano avanzate da fedeli sempre più laicizzati, avvallando e benedicendo praticamente tutto. Il cattolicesimo, invece, strutturato attorno al carisma papale che gli dona unità e compattezza, pur riflettendo senza sosta e anche senza reticenze sui problemi via via emergenti – occorre ben dirlo; basterebbe pensare al Concilio Vaticano II, ma anche all’ampiezza dei dibattiti in corso – ha cercato di vagliare le nuove esigenze e di approfondire i problemi, tentando tuttavia di conservare intatta non solo la fede ma anche la Tradizione della Chiesa che ne è parte integrante. E ciò necessariamente spesso infastidisce e crea incomprensioni e attriti, favorendo quelle semplificazioni al negativo di cui abbiamo parlato.
Ad un uomo che non vuole più fare i conti con il concetto di peccato, che spera nel dio-scienza per eliminare dolore e morte, che pensa giusto fare dei propri desideri la sola misura di ogni cosa, non può che creare disagio una fede che, pur riconoscendo la bellezza della vita, il giusto anelito alla felicità presente in ciascun uomo, il grande valore di ogni singola persona destinata addirittura all’eternità, tuttavia continua a ricordare che in questa esistenza terrena esistono inevitabilmente anche la sofferenza e la morte; che il peccato, nonostante le nostre negazioni, è una realtà che esiste e provoca molti guai.
A ben guardare, c’è però, forse, una qualche giustificazione in questa sorta di paura che mette taluni in guardia dal cristianesimo e che può riguardare per certi aspetti anche coloro che già credono. Dietro quella Croce posta in evidenza, sullo sfondo di quella sofferenza esibita come simbolo che tutto riassume, c’è, come sappiamo, una realtà straordinaria ma complessa ed esigente. C’è un Dio che non si è accontentato di creare l’uomo ma che cerca, che insegue quasi, ogni Sua creatura perché vuole “amarla” in un rapporto vivo e trasformante. Che, per facilitare questo incontro, si è addirittura incarnato, ha vissuto fino alle estreme conseguenze questa condizione umiliata, per riscattarla e introdurla nel cuore della Sua stessa vita trinitaria. Una proposta bellissima, appassionante ma, sulle prime, certamente anche scioccante. Addirittura incredibile – verrebbe da dire – se ci limitiamo alla nostra comune esperienza. Una offerta così grande da percepirla persino come un “troppo” che soverchia e spaventa. Un riscatto, una risurrezione che passano attraverso la sofferenza. Vita e morte che si danno la mano. Per questo spesso è più facile, per sfuggirle, banalizzarla riducendola a categorie più comprensibili come lo scandalo o la follia.
Forse a questo punto ci è più facile capire perché la fede è sempre anche un dono. È quel di più di “Grazia”, quella scintilla di luce che illumina la nostra mente e riscalda il nostro cuore in modo che tutto ciò che fino a quel momento ci sembrava del tutto inverosimile, inaccettabile, forse addirittura spaventoso, diventa la gioiosa percezione di una Verità stupefacente, di un Amore incredibile che ha quei connotati di assolutezza, di fedeltà, di misericordia che il nostro cuore da sempre desiderava ma che non osava neanche sperare.
Di questa ambivalenza tra il timore del Dio di Gesù Cristo e la gioia di non resistere al suo amore ha scritto don Divo Barsotti, un grande mistico moderno che ci ha lasciati poco tempo fa: «Essere cristiano non è difficile, è impossibile, perché esse-re cristiano vuol dire abbracciare Iddio e noi siamo piccoli, troppo piccoli». E aggiungeva: «Una delle cose più difficili per un cristiano è infatti credere di poter essere amati da Dio, questo Dio immenso, eterno che ha creato il Cielo e la terra… Ma l’amore di Dio non è determinato da quello che noi siamo, bensì da quello che Lui è: per questo il suo amore è infinito. Se ci amasse per quello che noi siamo, quanto ci amerebbe?». Per nulla, verrebbe da dire se usasse i nostri criteri umani di giustizia e non quelli divini di misericordia.
Non dobbiamo dunque meravigliarci se Dio, sulle prime, può anche far paura. Soprattutto e paradossalmente, proprio questo Dio cristiano che si è rivelato così pieno d’amore, così desideroso di condividerlo. Un Dio che traccia per l’uomo una via di crescita spirituale così elevata, che gli propone addirittura una santità che lo trasfiguri e lo divinizzi. E, in particolare, comprendiamo che fac-cia paura agli uomini d’oggi, educati in una cultura che li sospinge verso un orizzonte esclusivamente terreno, che li invita ad impegnare la propria ricerca e le proprie energie per obiettivi spesso irrisori quando non banali. Ma anche noi che ci diciamo credenti abbiamo, ad ogni passo del cammino per il quale ci siamo pur avviati con convinzione, le nostre resistenze. Noi stessi abbiamo le nostre paure: quella, innanzitutto, che il Dio che ci si è rivelato ci chieda sempre di più, che il suo amore sia troppo esigente. E, spesso, teniamo duro a lungo prima di cedergli ancora un poco, capendo poi che ogni passo verso una corresponsione più piena è anche un passo in più verso una liberazione interiore fonte di nuova ricchezza e di nuova pace.
Lo sgomento, il timore di Dio sono dunque una componente normale della nostra esperienza umana che non ci deve meravigliare. Come accettare, come rispondere a questo grande Mistero che ci sovrasta e supera il nostro piccolo orizzonte, le nostre povere forze? È sempre don Divo Barsotti ad aiutarci a capirlo: «Che cosa si impone allora per essere cristiani? Lo hanno detto sempre tutti i nostri maestri, soprattutto Agostino: l’umiltà. Tu devi sapere che non ti realizzerai mai fino in fondo, quello che compie le tue deficienze è la misericordia di Dio, accetta di essere una povera anima perdonata e amata liberamente da Dio» E sensibile, come sempre, alla dimensione pastorale don Divo aggiungeva: «Credo che questo sia fondamentale per la nostra predicazione: sentire veramente la grandezza del cristianesimo e avvertire non la difficoltà, ma l’impossibilità di realizzare gli ideali cristiani. Sì, è impossibile. Ma “questo Dio è maestro dell’impossibile” diceva Charles De Foucauld. Perché in fondo l’impossibile può farlo solo Lui. L’impossibile è il miracolo e i miracoli li fa soltanto Dio. Noi siamo un miracolo permanente della Grazia per il fatto stesso che crediamo, che ci affidiamo a lui, per il fatto stesso che, nonostante tutto, noi speriamo nella vita immortale, che questo amore di Dio ci doni la partecipazione alla Sua medesima vita».
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«Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono. Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono».
(Sant’Agostino, Le Confessioni, 1,5-5).
IL TIMONE – N.65 – ANNO IX – Luglio/Agosto 2007 pag. 56-57