Il governo di Budapest nel mirino della Ue per una sua presunta deriva fascistoide. Ma a non piacere a Bruxelles è la nuova Costituzione fondata sulle radici cristiane e sulla difesa della vita e del matrimonio
Il 17 gennaio la Commissione Europea ha annunciato l’apertura di tre procedure d’infrazione contro l’Ungheria che, se non provvederà a cambiare rotta, potrebbe veder scattare delle pesanti sanzioni, come la sospensione del credito di 15-20 miliardi di dollari chiesto a Ue e Fondo Monetario Internazionale, necessari per salvare il Paese dal fallimento.
Questa decisione rappresenta il culmine di mesi e mesi di linciaggio mediatico dell’Ungheria guidata dal premier Viktor Orbàn, accusata di svolta “parafascista” e di razzismo, e di mettersi in aperto contrasto con la legislazione europea. In realtà, le contestazioni formali mosse dall’Unione Europea all’Ungheria lasciano alquanto perplessi, perché appare evidente la sproporzione tra l’effettiva infrazione reclamata e l’aggressione verbale e mediatica a cui è sottoposto il governo magiaro. Nello specifico, i tre aspetti che hanno fatto scattare la procedura di Bruxelles riguardano i limiti posti all’autorità della Banca centrale (che per i Trattati europei deve essere assolutamente indipendente dalle autorità politiche), il pensionamento anticipato dei giudici a 62 anni (si sospetta il tentativo di condizionare la magistratura), il pacchetto di leggi sulla tutela della privacy. Materie certamente importanti – la prima in particolare – ma non tali da provocare sconquassi istituzionali a livello europeo o addirittura la messa in discussione dell’adesione di un Paese all’Unione Europea. Controversie, peraltro, anche facilmente risolvibili, come ha affermato lo stesso Orbàn davanti al Parlamento Europeo il 18 gennaio.
Nessuno vuole qui sostenere che l’Ungheria sia il migliore dei Paesi possibili né che non ci siano leggi o disposizioni molto discutibili, ma i meccanismi istituzionali evocati dalla Commissione Europea appaiono il pretesto per una campagna contro l’Ungheria che ha ben altre motivazioni. Ed è qui che dobbiamo prestare la massima attenzione. Il vero motivo del contendere, infatti, è la nuova Costituzione approvata il 25 aprile 2011 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2012, ma non per i motivi ufficialmente dichiarati dalla Ue con l’apertura della procedura d’infrazione. Anche perché bisogna sapere che fino ad ora in Ungheria vigeva la Costituzione del 1949, sopravvissuta al crollo del regime comunista per ben 21 anni senza che mai a Bruxelles sia stata rilevata questa anomalia.
Ciò che ai burocrati di Bruxelles non piace sono i princìpi fondamentali su cui la nuova Costituzione poggia, ovvero il riconoscimento delle radici cristiane dell’Ungheria, la difesa della vita fin dal concepimento e la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Sono questi gli argomenti, infatti, messi subito nel mirino dal Parlamento Europeo all’indomani dell’approvazione della Costituzione. Allora il gruppo a esprimersi in modo più violento contro la Costituzione ungherese fu l’Alleanza dei liberali e Democratici Europei (Alde), che riunisce i partiti europei più laicisti e anticristiani (delle formazioni italiane ne fa parte l’Italia dei Valori): il capogruppo dell’Alde, il belga Guy Verhofstadt, espresse preoccupazione perché il testo costituzionale potrebbe essere interpretato «sulla base di specifici valori come la fede, la lealtà, la preminenza della comunità e della nazione sull’individuo, il ruolo primario delle famiglie tradizionali nella società e l’importanza del cristianesimo nella preservazione della nazione ungherese », e perché sembra escludere «le famiglie monoparentali, le coppie di fatto e le coppie omosessuali; mentre la protezione della vita del feto dal concepimento equivale a una proibizione dell’aborto». E non fu certo un commento isolato, addirittura anche Amnesty International si è scagliata contro la Costituzione ungherese per motivi analoghi.
La stampa europea ha poi dato man forte nel dipingere un’Ungheria ormai avviata a una deriva fascistoide e razzista (non si contano gli articoli sul pericolo per le comunità rom). Spicca ad esempio la grande enfasi data dai media ad alcune manifestazioni di piazza organizzate dai partiti di opposizione che, pur raccogliendo poche migliaia di persone, sono state descritte come la rivolta dell’Ungheria democratica contro l’autoritarismo di Orbàn, mentre non ha avuto alcun rilievo la grande manifestazione di sabato 22 gennaio, organizzata da tantissimi gruppi della società civile, in cui centinaia di migliaia di persone hanno sfilato a difesa della nuova Costituzione, contro le pretese dell’Unione Europea di interferire nella vita dei singoli Paesi.
Non a caso, anche la Chiesa cattolica ungherese è scesa in campo a favore della nuova Costituzione, come ha spiegato a Radio Vaticana mons. János Székely, vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest: la nuova Costituzione, ha detto, «inizia con il nome di Dio nel preambolo, afferma che la vita umana è da difendere fin dal concepimento e dichiara che l’Ungheria difende l’istituzione familiare, la quale è un’alleanza di vita fra un uomo e una donna. La Costituzione precisa inoltre che la famiglia è il fondamento della sopravvivenza del popolo, e che nello stabilire delle tasse anche i costi dell’educazione dei figli devono essere presi in considerazione». Ciò non toglie – ha detto ancora Székely – che la bozza di lavoro di detta Costituzione contenesse articoli fortemente discutibili, quali il tentativo di assicurare al governo il controllo diretto sulla libertà d’informazione, ma sono stati corretti oppure del tutto soppressi. Né si può negare che il governo Orbán abbia commesso errori di politica economica, ma alla fine questi sono solo pretesti. Monsignor Székely ha infatti spiegato bene che gli attacchi di Bruxelles e di gran parte dell’opinione pubblica europea sono dovuti alla difesa della vita, del matrimonio e della famiglia affermati dalla nuova legge fondamentale del Paese. «È chiaro – ha detto – che a molti intellettuali europei non piace tale affermazione di valori fondamentali, anzi li stimola all’attacco».
Quel che sta succedendo dunque è esattamente il contrario di quello che ci vorrebbero far credere: non c’è un’Europa libera all’interno della quale si è insinuato uno Stato che punta a imporre una deriva autoritaria. C’è invece un’Unione Europea dalle tendenze sempre più totalitarie, che persegue una omologazione culturale di tutti i Paesi membri basata sui (dis)valori dominanti nel Nord Europa e sulla spinta delle potenti lobby anti-famiglia e antivita, all’interno della quale c’è un Paese – l’Ungheria – che difende la propria identità e il proprio diritto a legiferare su materie che gli stessi Trattati dell’Unione riconoscono come di esclusiva competenza dei singoli Stati. Inoltre, ciò che rivendica l’Ungheria è esattamente quello che da sempre le Chiese europee hanno chiesto agli “architetti” dell’Unione Europea: ci vorrebbe perciò un po’ più di coraggio nello sfidare il potere dei media e degli euroburocrati e sostenere apertamente i diritti dell’Ungheria, perché qui si sta giocando il futuro dell’Europa.
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