Il governo italiano vara una manovra fatta di sacrifici, la finanza internazionale arranca e gli Stati Uniti non si sentono molto bene. Il progetto di un mondo ricco, felice e senza Dio si infrange contro la realtà delle cose. La soluzione? Tornare a una vera vita cattolica
Sembra la “tempesta perfetta”. Prima la crisi finanziaria negli Stati Uniti, accompagnata dalla sensazione di un repentino declino militare della superpotenza a stelle e strisce. Poi la caduta di alcune nazioni europee, considerate prossime al fallimento e più o meno salvate dall’intervento dell’Unione Europea: la Grecia innanzitutto, ma anche la Spagna e il Portogallo. E ora la bufera sul nostro Paese, messo sul banco degli imputati a causa del suo enorme debito pubblico. Il governo italiano è costretto a intervenire con una manovra economica fatta di tagli alla spesa e di tasse, la finanza internazionale è in una notte che sembra senza fine, il mondo una volta ricchissimo arranca, a cominciare dagli Stati Uniti. Che cosa sta succedendo?
Il Paradiso può attendere
Da un certo punto di vista, nulla di nuovo sotto il sole: i problemi del debito pubblico, delle tasse, dell’evasione fiscale, degli scioperi, della disoccupazione, degli indici negativi in borsa sono tutte vecchie conoscenze, con le quali ciclicamente gli uomini, e non solo gli italiani, sono abituati a convivere. Fa sempre bene ricordare che il progetto umano – troppo umano – di costruire qui, in questo mondo, un sistema perfetto in cui tutti stanno bene e sono soddisfatti di chi governa; un posto nel quale c’è ricchezza per tutti e ogni cosa funziona in modo impeccabile; un posto simile, siamo onesti, non può esistere. Ovviamente, l’uomo si sforza di rendere più confortevole il suo (breve) soggiorno su questa “aiuola che ci fa tanto feroci”, e ci sarebbe da stupirsi del contrario. Il cristianesimo stesso – a differenza di altre religioni – favorisce questo lavoro di miglioramento della vita terrena, che l’uomo cerca di realizzare con il suo lavoro e con la sua intelligenza.
Dunque, per certi versi la crisi attuale deriva semplicemente dalla natura dell’uomo e dai suoi limiti, dalla sua imperfezione, dalla sua cupidigia, dal suo egoismo, dal fatto che il paradiso non possiamo costruirlo con le nostre mani qui e ora.
Una crisi di nuovo tipo
Detto questo, bisogna ammettere che in quello che ci sta capitando vi è qualche cosa di completamente nuovo: siamo entrati in un’era di grande insicurezza collettiva. Molte delle certezze su cui gli uomini del Ventesimo secolo facevano affidamento si sono dissolte come neve al sole. Si vede che non erano delle vere certezze. E non si tratta solo della ormai famosa “morte delle ideologie”. Sono state spazzate via le utopie realizzate del Novecento, e in particolare il comunismo in tutte le sue varianti. Ma sulle macerie di questi orrori si è creduto di poter costruire un mondo nuovo, fondato intorno ad un unico principio politico e morale: il “principio di libertà”. Una società libera sarà anche una società più ricca e, quindi, una società più felice. Tesi molto suggestiva, affascinante, perché l’anelito dell’uomo a essere libero e felice è inscritto nella sua natura.
Quello che sta accadendo dimostra però in modo clamoroso che questa tesi non è vera né sotto il profilo economico né, tanto meno, sotto il profilo antropologico. Essa infatti produce una serie di conseguenze negative che ora presentano il conto al mondo moderno. Vediamole insieme.
a. Il modello di crescita consumistica e i suoi “valori”
Molti hanno creduto che l’economia di mercato nascesse in opposizione al marxismo, senza rendersi conto della esistenza di una radice comune che riduce l’uomo alla sua dimensione materiale ed economica. La felicità si costruirebbe con il prodotto interno lordo in entrambe le prospettive, rimanendo molto diversi i modi per realizzare lo scopo. Il metodo comunista si rivelò fallimentare, molto più funzionale apparve quello liberale. Alla fine, però, entrambe i sistemi scontano l’errore prometeico e anticattolico che sta alla loro base: togliere di mezzo Dio e la vita eterna, e concentrare ogni sforzo nella costruzione di un mondo pieno di opportunità e di piaceri. Vivere ripiegati sui beni da consumare e sul proprio ombelico, persuadendo anche molti cattolici che i novissimi e la vita eterna sono cose da vecchiette. La nostra società è in fondo questo tentativo – in parte riuscito – di vivere in un gigantesco parco dei divertimenti, nel quale le antiche regole morali del decalogo sono soppiantate dalle apparentemente asettiche regole della domanda e dell’offerta. Per un certo periodo il gioco ha funzionato, ma ora sembra essersi rotto. E il guaio è che gli economisti, i banchieri, i leader politici non sembrano più in grado di trovare il guasto e ripararlo. Si naviga a vista, senza molta speranza.
b. Ipertrofia dello Stato e implosione dello Stato-provvidenza
Una delle cause tecniche di questa crisi – sembrano tutti d’accordo sul punto – è il livello troppo alto della spesa: lo Stato ha più uscite di quelle che può permettersi. La soluzione è tagliare: la sanità, i servizi pubblici, le forze dell’ordine. Ma è più facile dirlo che farlo, perché da decenni ci siamo abituati a pensare che l’autorità pubblica ha il dovere di garantire tutti questi servizi e anzi di migliorarli continuamente. Anzi: abbiamo costruito un sistema di valori perfettamente speculare a questi servizi. Ad esempio, pensiamo che “l’importante è la salute”, e quindi che tocca allo Stato garantirla. È ovvio che la salute stia a cuore a tutti, ma dire che essa sia la cosa “più importante” è un concetto profondamente anticattolico, e sostanzialmente disumano. Vivere con questa fissazione produce infatti persone più egoiste, pavide, individualiste, poco propense al sacrificio; e sposta completamente l’asse dei doveri dal singolo allo Stato. Non sono più io che devo curare i miei familiari, ma ci deve pensare la collettività. Non sono più io a dover educare i miei figli, ma la scuola pubblica. Questa aspettativa spinge lo Stato verso un ruolo insostenibile nel medio periodo, e alimenta anche tentazioni eutanasiche ed eugenetiche, o al disimpegno educativo delle famiglie.
c. Crisi economica e crisi di fede
Non è nella tradizione della Chiesa ragionare in termini millenaristici o apocalittici, e quindi anche in questa strettoia della storia manteniamo calma e prudenza. Però è indiscutibile che il mondo di oggi si trovi in crisi non solo sotto il profilo economico e finanziario, ma innanzitutto sotto il profilo morale.
Gli argomenti a carico sono talmente numerosi, e talmente noti ai lettori del Timone, che non vale la pena ripeterli. Ora, sarebbe ben curioso che un’umanità così corrotta, così diffusamente in rivolta contro il Creatore e verso le sue leggi, vivesse nell’opulenza e nella gioia. Una vita contro natura genera mostri, e alla fine distrugge la stessa convivenza civile. C’è una pagina della Seconda lettera a Timoteo in cui San Paolo purtroppo sembra fotografare con precisione impressionante il mondo in cui viviamo: «Negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili, perché gli uomini saranno egoisti, avidi di denaro, vantatori, superbi, maldicenti, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, disamorati, sleali, calunniatori, intemperanti, crudeli senza amor di bene, traditori, temerari, gonfi di orgoglio, amanti del piacere più che di Dio, con apparenza di pietà, ma rinnegatori di quello che ne è l’essenza vera».
Le due colonne
Si può uscire da questa crisi? Lasciamo a politici ed economisti l’arduo compito di trovare soluzioni tecniche. Noi sappiamo però che in un mondo come quello descritto da Paolo di Tarso nessuna economia sana è possibile. Allora l’unica vera soluzione è tornare a una visione cattolica della vita, ricominciando a esercitare le virtù individuali che non possono essere rimpiazzate dallo stato sociale. E ritornando noi per primi a una vita di fervente pratica cristiana, nei porti sicuri dell’Eucarestia e della Madonna. Le due colonne di cui parla don Bosco nel suo celebre sogno. Torniamo alla Chiesa Cattolica, senza troppe fumisterie teologiche, senza vane parole, e senza aspettarci che la salvezza arrivi dagli altri o dalle istituzioni democratiche. Ognuno si giochi, con coraggio, la propria anima.
IL TIMONE N. 106 – ANNO XIII – Settembre/Ottobre 2011 – pag. 14 – 15
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