Il cristianesimo è contro la donna?-3
Fin dalle origini, il cristianesimo promuove una considerazione positiva della donna fino a quel tempo sconosciuta. Per san Paolo, l’uomo deve amare la propria moglie come Cristo ama la Chiesa. Verità mai udita prima
Nessuna nube, dunque, abbiamo visto la volta scorsa, sul Vangelo a proposito del ruolo e della dignità della donna. Su quello che Gesù dice e fa, sul ruolo svolto da Maria per quanto riguarda la comprensione dell’essenza della femminilità. Anzi, le pagine evangeliche non solo confermano il primitivo e affascinante disegno divino relativo ad uomini e donne ma lo rilanciano svelando quanto, attraverso l’uomo Gesù e la donna Maria, esso si sia ulteriormente arricchito. Da quel momento in poi, infatti, la coppia unita in matrimonio potrà nutrire la propria unione di nuovi doni di grazia che le offriranno la possibilità di partecipare con maggiore pienezza al mistero divino, all’interno del quale è stata pensata. Ma anche ai singoli, uomini o donne che siano, si aprirà una nuova via di realizzazione al di fuori del matrimonio e della coppia: quella della verginità scelta per il Regno, sconosciuta a Israele, che Gesù invece propone come testimonianza di una donazione totale a Dio fin da questa terra. Quegli “eunuchi per il Regno dei cieli” che fin dai primordi della Chiesa saranno presenti nelle comunità cristiane, per es. l’Ordine delle Vergini, e che poi daranno vita al monachesimo e alla vita religiosa nelle sue più diverse forme.
Ma san Paolo, come qualcuno dice, ha cambiato, a proposito della donna, le carte in tavola? Vediamo i due passi principali in cui si occupa del problema. «L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna ma la donna per l’uomo… Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo né l’uomo è senza la donna; come la donna infatti deriva dall’uomo così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio (1 Cor 11,7-12)». E poi Efesini (5,21-33): «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi mariti amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei… Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura come fa Cristo con la Chiesa: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola carne. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito».
San Paolo, dunque, un misogino traditore del messaggio evangelico? Certamente, in parte, debitore al suo tempo e a quegli usi ebraici con i quali le primitive comunità cristiane dovevano confrontarsi. Del resto sarà così anche per i Padri della Chiesa e per molti secoli cristiani nei quali verrà impiegato verso la donna e il suo ruolo un linguaggio certamente diverso da quello attuale. Vale in questo caso quel criterio che abbiamo già richiamato fin dall’inizio di questa nostra indagine e cioè che la Chiesa, vivendo nella storia, deve di volta in volta confrontarsi con usi, costumi, leggi che vigono in un determinato momento storico. Tutta una cultura che per secoli, date anche le condizioni economiche e sociali vigenti, che non permettevano altro, era organizzata nella forma della famiglia tradizionale su base patriarcale.
Tuttavia sia Paolo come poi anche i Padri della Chiesa non mettono mai in discussione l’essenziale e cioè quel “mistero grande” del quale uomo e donna entrano a far parte secondo il disegno di Dio. Quel mistero d’amore che lega il Creatore alle creature e Gesù Uomo-Dio al suo corpo mistico che è la Chiesa. Rapporto del quale il legame di un uomo e di una donna, uniti nel vincolo del matrimonio, costituiscono un simbolo, ma esprimono al contempo una realtà. Una realtà sacra che si costituisce e si radica in Dio e che va ben al di là dei contenuti dei rispettivi ruoli all’interno della famiglia, legati ai vari momenti storici. Un mistero nel quale, in definitiva, non c’è mai l’uomo che schiaccia la donna. C’è invece una sottomissione reciproca nell’amore comune per Dio. C’è la ricerca di un ordine familiare, comunque necessario in ogni epoca, anche se realizzabile in ogni tempo in forme diverse. C’è come meta, una armonia di rapporti che scaturiscono da ruoli differenti ma vissuti nel rispetto reciproco.
D’altra parte, sarà proprio attorno a questo aspetto essenziale, il riconoscimento cioè che tra un uomo e una donna uniti in matrimonio esiste un vincolo sacro e indissolubile, che muterà decisamente in meglio la posizione della donna rispetto al passato sia ebraico che pagano. A dirlo non sono solo storici credenti e cristiani ma anche, per esempio, Jacques Le Goff, uno dei maggiori esperti di Medioevo. Egli infatti sostiene che proprio il matrimonio cristiano, inteso come sacramento, e perciò indissolubile, ha procurato alla donna due fondamentali benefici. Anzitutto, perché esso prevedeva il consenso anche da parte femminile, una novità assoluta rispetto al passato. Consenso che stava a significare come di fronte a quella scelta così importante la Chiesa considerasse i due contraenti sullo stesso piano. E poi perché, escludendo il ripudio, il divorzio o quant’altro, proteggeva la donna e la sua maternità garantendole rispetto e insieme quel sostentamento che diversamente non avrebbe potuto procurarsi. Sempre dal matrimonio, inteso come sacramento e per questo indissolubile, nascevano inoltre la condanna dell’adulterio sia dell’uomo che della donna, il valore di quest’ultima anche se sterile, il rispetto di una sua eventuale condizione di vedovanza. Se a noi, oggi, tutto questo sembra poca cosa è perché ignoriamo quello che avveniva per le donne negli altri contesti in cui non era presente il cristianesimo non solo nell’antichità ma persino in quel codice napoleonico – che molti in Europa imitarono – da cui nacque quell’immagine di famiglia borghese verso la quale il femminismo, giustamente, iniziò la sua lotta.
Nella Chiesa cristiana, dunque, fin dalle origini la donna aveva due strade aperte davanti a sé: quella del matrimonio con le caratteristiche che abbiamo appena visto, e quella della verginità. E mentre la prima continuerà, praticamente inalterata, fino ad epoca moderna, la seconda si rivelerà fecondissima. È una storia che tutti conosciamo almeno nelle sue linee essenziali: donne creatrici di monasteri, spesso con i due rami femminile e maschile che esse stesse presiedevano. Donne fondatrici di innumerevoli ordini religiosi dediti sempre di più, oltre che alla preghiera, anche alla formazione e istruzione delle ragazze e all’aiuto sanitario e sociale. Suore missionarie forti e avventurose, sparse in molti luoghi del mondo. Tutto un fermento che è durato secoli e che ha prodotto molte sante tra cui gigantesse come Caterina da Siena, Teresa D’Avila e Teresa di Lisieux, alle quali, per la loro sapienza, è stato riconosciuto il titolo di dottori della Chiesa. O monache del calibro di una Ildegarda di Bingen, una sorta di genio non solo religioso, della quale negli ultimi decenni si vanno sempre più scoprendo i numerosi talenti. Un ambito, questo della vita monastica e religiosa, nel quale, proprio perché sganciato dalla giurisdizione civile e affidato a quella ecclesiale, si è potuta esprimere liberamente in tutte le sue sfumature la forza e l’estro di una femminilità posta al servizio della fede e dell’umanità. A dimostrazione del fatto che la Chiesa fin dai suoi inizi non solo non conculcava la donna ma anzi, riconoscendole un ruolo importante anche al di fuori del matrimonio, le assicurava luoghi protetti in cui, al riparo della istituzione ecclesiale, potesse realizzare ciò che invece in ambito civile non le era ancora possibile. Un vero femminismo ante litteram. (continua)
DA NON PERDERE
Rosanna Bricheti Messori, Fede. un incontro non una teoria. Sulla via di Emmaus per ritrovare Gesù, Sugarco, 2012, pp. 314, € 18,80.
Pagine dense di umanità e di cristiana saggezza, queste di Rosanna Brichetti Messori, che certamente i lettori del Timone apprezzeranno. L’autrice ci regala un’ampia riflessione sulla bellezza e i frutti della fede, che dall’incontro con Cristo dà senso alla vita di tutti i giorni e spalanca l’orizzonte del proprio cammino verso l’indicibile metà della vita infinitamente felice del Paradiso. Come ai discepoli di Emmaus, ai quali l’incontro con Gesù risorto «aprì gli occhi», così anche oggi la fede, vissuta con semplicità pur nelle prove che non mancano mai – come si legge in qualche pagina del libro, dedicata a persone conosciute dall’autrice e che si caricarono del peso della loro croce sostenute dall’amore di Cristo –, apre alla speranza di un senso compiuto, illumina l’esistenza quotidiana, nutre e consolida la carità. Insomma, se la fede cristiana poggia su di un fatto accaduto nella storia duemila anno orsono – l’incarnazione di Cristo – si ricordi che anche oggi Cristo propone a ciascuno di noi un incontro vivo con Lui, e solo accogliendo la sua proposta troveremo quella pace e felicità cui anela il nostro cuore.
IL TIMONE N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 56 – 57
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