E’ singolare che debba essere proprio un laico come Guido Ceronetti (su La Stampa del 15.11.04) a ricordarlo ai cattolici (e l’altrettanto laico Paolo Granzotto a ricordarlo ai lettori de Il Giornale il martedì successivo). Ma ai terroristi che in nome di Allah sequestrano, sgozzano e decapitano (e stuprano e uccidono bambini, e fanno saltare in aria poveracci in fila per un lavoro), delle marce, cortei e manifestazioni non importa nulla. A quelli che fanno i barbari vigliacchi al grido di «Allah è grande» bisognerebbe urlare in faccia che «il nostro Dio è più grande e ve la farà pagare».
Un tempo la Chiesa scongiurava flagelli naturali come gli uragani, la grandine, la peste e le cavallette, e artificiali come la guerra, le violenze e i saccheggi con processioni dietro il Santissimo o le reliquie di un santo protettore. E il più delle volte il miracolo avveniva. Sono innumerevoli, per esempio, le cessazioni improvvise di siccità e carestie, ma anche le apparizioni di Santi, Arcangeli e perfino della Vergine durante battaglie disperate, poi prodigiosamente vinte. I cattolici hanno dimenticato che i loro preti possono, sì, benedire, ma anche, e con altrettanta efficacia, maledire, con, come dice Ceronetti, l’«anatema nelle chiese, un uragano di imprecazioni rituali, l’Inoculazione di panico di fronte alla dannazione eterna», data la «mentalità di un terrorista religioso».
Nell’Ottocento, per esempio, il beatificando don Carlo Amirante (già ufficialetto di artiglieria a Porta Pia nel 1870) riunì i sacerdoti di Napoli davanti al teatro in cui l’anticlericale Podrecca avrebbe dovuto tenere una conferenza contro le apparizioni di Lourdes. L’Amirante si era appena diplomato all’accademia militare borbonica La Nunziatella quando il regno delle Due Sicilie era di-ventato «Italia»; così, si era ritrovato agli ordini di Cadorna contro i pontifici. Ferito nell’unica scaramuccia, in ospedale era stato intervistato da Edmondo De Amicis, al quale aveva esternato tutto il suo dispiacere di cattolico per aver dovuto sparare sul Papa. Deluso da quella nuova Italia unita che lo costringeva a dover scegliere tra il suo onore di soldato e la sua coscienza di credente, aveva lasciato la divisa per la talare. Del resto suo padre, già prefetto di Salerno, era stato dimissionato per aver pubblicamente schiaffeggiato il miscredente spretato fra’ Pantaleo, braccio sinistro di Garibaldi. Era diventato, col tempo, esorcista della diocesi di Napoli, ma anche insegnante di letteratura (Matilde Serao era stata sua allieva) e valente musicologo (sapeva suonare personalmente quasi tutti gli strumenti). Quella volta, dunque, Podrecca, celebre direttore della rivista «L’Asino», era atteso da un folto pubblico pagante. Amirante e i suoi sacerdoti, qualche giorno prima, davanti a quel teatro avevano recitato tutte le maledizioni contenute nei Salmi. Risultato: alla carrozza che doveva portare Podrecca dalla stazione al teatro si ruppe una ruota e l’oratore finì all’ospedale con una gamba rotta. E il suo impresario fu costretto, per giunta, a risarcire il pubblico infuriato per l’inutile attesa.
In un’altra occasione don Amirante, impegnato anche nel recupero delle prostitute, aveva raccolto e offerto a un magnaccia una grossa somma per l’acquisto del suo bordello, ma quello aveva rifiutato perché, a suo dire, si divertiva di più così. Il prete ricorse al solito sistema e il bordello sprofondò, in un momento in cui dentro non c’era nessuno. Don Amirante la sua formazione militare non l’aveva dimenticata e se ne servì in più di un’occasione; per esempio, quando dovette portare la comunione a un massone moribondo e pentito: i «figli della vedova» si erano appostati sulla porta proprio per impedire l’ingresso ai preti, ma don Amirante colluttò con loro per permettere a un suo confratello di entrare e amministrare i sacramenti al morente.
Ho anche un ricordo personale da riferire: un mio amico sacerdote era riuscito, dopo anni di fatiche, a togliere dalla strada i ragazzi del paese in cui era parroco, mettendo in piedi per loro addirittura una emittente radio. Ma un giorno in quel paese aprì un teatrino hard, con tanto di esi-bizioni di Moana Pozzi, e il lavoro del parroco andò presto in fumo. Il sacerdote, allora, recitò lì davanti i Salmi deprecatori. Morale: in brevissimo tempo il locale osé fallì e chiuse.
Un esempio più famoso: don Bosco e la legge Rattazzi del 1855 sulle espropriazioni ecclesiastiche in Piemonte. Durante il dibattito parlamentare il prete di Valdocco fece trascrivere al giovane s. Domenico Savio le maledizioni degli antichi duchi di Savoia contro i loro discendenti che avessero osato toccare le loro donazioni agli ordini religiosi, e le mandò a Vittorio Emanuele Il. Non ricevette risposta. Allora mandò un altro e più drammatico avvertimento. Niente. Nel giro di pochi giorni morirono la madre, la moglie e l’unico fratello del re, tutti giovani. Alla ripresa del dibattito, sospeso per i continui funerali, il presidente della Camera, Lanza, dovette interrompere subito perché raggiunto dalla notizia dell’improvvisa morte della madre. La legge fu comunque approvata, e fu allora che morì l’ultimogenito del re. A quest’ultimo, don Bosco ricordò la minaccia biblica sulla famiglia di «chi ruba a Dio»: non supera la quarta generazione. Cosa che, puntualmente, si verificò con i Savoia, costretti all’esilio nel 1946.
Potremmo continuare con gli esempi ma il nostro spazio è finito. Spero che bastino a certo clero odierno che continua a proporre un cristianesimo senza attributi e, dunque, senza sale.
IL TIMONE N. 38 – ANNO VI – Dicembre 2004 – pag. 20 – 21