Fin dai primi tempi del Cristianesimo, tutte le generazioni la chiamano “beata”. Perché la “Madre di Dio” ha veramente creduto alle promesse divine
La volta scorsa abbiamo parlato della beatitudine che nasce dalla fede in Gesù Cristo e che si appoggia su di essa, come fondamentale per ogni altra. Senza questo primo passo, infatti, senza cioè questa adesione piena e incondizionata al Verbo che si è fatto carne – e a tutto il progetto che tale incarnazione sottende – non è possibile nemmeno iniziare a comprendere ogni altra.
Oggi parleremo di colei che per prima nel tempo ha capito e vissuto tutto questo. E che perciò è considerata il modello perfetto di ogni beatitudine ma, anzitutto, proprio della beatitudine che trae origine dalla fede.
Si tratta naturalmente di Maria, la Madre di Gesù la quale proprio per questo viene designata come “beata” fin dagli inizi di tutta la straordinaria avventura dell’Incarnazione, fin da quando cioè Gesù non aveva ancor visto la luce.
Tocca ad Elisabetta, la cugina anziana e sterile, moglie di Zaccaria, rimasta incinta proprio perché “nulla è impossibile a Dio”, diventarne consapevole, probabilmente per prima. Sì, a Elisabetta, la futura madre del Battista. Sappiamo infatti che Maria, saputo dall’angelo l’evento che riguardava questa sua parente, si reca ben presto a trovarla per prestarle aiuto.
Ma appena le due parenti si incontrano, avviene subito qualcosa di straordinario che va ben al di là della sorpresa e della gioia di ritrovarsi. Un qualcosa che fa immediatamente capire a Elisabetta, illuminata certamente dallo Spirito, il segreto che la sua giovanissima parente porta in seno.
Ecco le parole con cui ella stessa spiega l’evento e che Luca ci riferisce (1,42 e sg.): «Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco che appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo».
In un istante, dunque, senza bisogno di parole, tutto è chiaro a questa donna timorata di Dio: Maria, la giovanissima cugina, sarà la madre di Gesù, del Messia, dell’atteso di Israele, del Salvatore.
Ma non è ancora tutto perché, al contempo, Elisabetta capisce subito anche un’altra cosa. Intuisce, cioè, che quella maternità straordinaria non è frutto del caso, che è invece conseguenza di un atteggiamento preciso da parte di Maria. C’è stato un “Qualcosa” che ha permesso il compiersi di questo evento. Ed è ciò che la porta a proclamarla, appunto, “beata”. Il perché, Elisabetta lo spiega subito dopo e con molta chiarezza e semplicità: «Ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore ».
Maria, dunque, come modello di fede perfetta e per questo degna di essere chiamata “beata”. Una fede, cerchiamo di capirlo bene, totale, piena, senza prova alcuna, senza nessun appiglio umano. Una fede che si è basata solo sulla parola di Dio e sulla promessa che essa contiene: «Concepirai un figlio… lo chiamerai Gesù… lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio». E sulla sua risposta: «Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Ecco Elisabetta, forse per prima, constata che quella promessa nella quale Maria aveva creduto per pura fede si era effettivamente avverata.
Maria, dicevamo. Nessun altro dopo di lei nella storia dovrà mai più fare una scelta così dura, un salto nel vuoto così radicale. Pietro, è vero, verrà anch’egli proclamato “beato” per aver riconosciuto in Gesù «il Cristo, il Figlio del Dio vivo». Ma egli aveva avuto modo di conoscere quel Maestro così straordinario e di vederlo all’opera, nonostante Gesù gli spieghi che in questo “riconoscimento “ era stato aiutato dal «Padre che sta nei cieli». Tommaso, addirittura, avrà modo di infilare le proprie dita nella ferita del costato. Ed anche noi abbiamo alle spalle duemila anni di storia che ci aiutano a vedere come quei racconti evangelici, così fuori dalla realtà ordinaria, non siano stati un bluff. E che per questo possiamo prestar loro fede senza sentirci degli idioti o dei creduloni.
Maria, no. Maria non aveva alcun appiglio umano se non quella fede nel Messia presente nel suo popolo e che tuttavia si era rivelata piena di alti e bassi, di tradimenti e di riconciliazioni. Una fede che certamente la famiglia e l’ambiente le avevano trasmesso. Ma che ella in quel momento drammatico e decisivo riesce a far sua senza dubbio alcuno.
Una fede che, di fronte alle parole di Elisabetta, esploderà infine in quel canto che darà piena voce al cuore, mostrando agli uomini di ogni tempo, fino alla fine della storia, quale gioia e quale pienezza possano derivare da un incontro sincero, profondo, totale con Dio: «L’anima mia magnifica il Signore / e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, / perché ha guardato l’umiltà della sua serva. / D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. / Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente / e santo è il suo nome».
Quanto poi sia ricca e complessa questa beatitudine di Maria che nasce dalla sua adesione al piano divino, che l’aveva chiamata a essere la Madre di Gesù, sarà egli stesso a farcelo capire nel corso della sua vita pubblica. È sempre Luca a riferircelo (11,28-29). Il Maestro ha appena finito di scacciare un demonio da un uomo muto e di spiegare alla gente che lo seguiva il ruolo di satana, quando: «Una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha nutrito!”. Ma egli rispose: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”» (11,28-29).
Come a dire che, certo, la maternità fisica è stata un evento eccezionale e importante, ma la fede che sta dietro è quella che alla fine conta davvero. La fede che l’ha preceduta e permessa. E di quella abbiamo già detto. E, poi, anche la fede che l’ha seguita e che ha trasformato Maria, la Madre, nella prima e più fedele discepola dello stesso Figlio che aveva generato. Discepola fin da subito, pronta ogni volta a “meditare nel suo cuore” ciò che avveniva attorno, prima a quel bambino, poi a quel ragazzo straordinario. Discreta e silenziosa durante quella vita pubblica verso la quale ella stessa a Cana di Galilea lo aveva sospinto. Piangente ma forte presso la croce, dove riceve il mandato alla maternità universale. Infine, tra apostoli che attendono la discesa dello Spirito nella Chiesa appena nata, pronta fin da allora al suo ruolo di materna mediatrice di grazia.
«A te, Maria, fonte della vita,
si accosta la mia anima assetata.
A te, tesoro di misericordia,
ricorre con fiducia la mia miseria.
Come sei vicina, anzi intima
al Signore!
Egli abita in te e tu in lui.
Nella tua luce, posso contemplare
la luce di Gesù, sole di giustizia.
Santa Madre di Dio, io confido
nel tuo tenerissimo e purissimo affetto.
Sii per me mediatrice di grazia
presso Gesù, nostro Salvatore.
Egli ti ha amata sopra tutte le creature,
e ti ha rivestito di gloria e di bellezza.
Vieni in aiuto a me che sono povero
e fammi attingere alla tua anfora traboccante di grazia».
(San Bernardo di Chiaravalle)
IL TIMONE N. 128 – ANNO XV – Dicembre 2013 – pag. 56 – 57
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