Un patto che unisce per sempre un uomo e una donna.
Che formano una famiglia. È ciò che la Chiesa dice del matrimonio.
È un desiderio e un bisogno di ogni uomo, anche di quello non credente.
Ritorno su un tema che mi sta particolarmente a cuore: quello del matrimonio. E lo faccio perché mi pare che sia uno degli ambiti, insieme con l’aborto e l’eutanasia, in cui maggiormente si evidenziano le contraddizioni di una cultura come quella attuale che dice di ricercare la vita e l’amore ma che spesso si riveste di voglia di disgregazione e di morte. Ma anche perché sono convinta che il matrimonio sia una delle esperienze nei confronti della quale i cristiani – e tra loro mi riferisco soprattutto ai cattolici – sono maggiormente confusi ed esposti, spesso con poco senso critico, alle opinioni del “mondo” che vanno per la maggiore.
Guardo talvolta alla televisione i dibattiti su questi temi morali. Mi aiuta a farmi un’idea di che cosa pensa la gente, di quali siano gli atteggiamenti prevalenti. Ebbene, mi pare che ci sia ormai la convinzione che il divorzio sia un fatto praticamente normale e acquisito: quando un matrimonio fallisce, si dice, è meglio separarsi e rifarsi una vita. Semmai ciò su cui si deve discutere è la maniera di affrontare questa esperienza in modo che sia il meno possibile traumatica per i figli.
Eppure, al contempo, negli stessi luoghi, si continua ad affermare con tenacia il desiderio e il bisogno di un amore che duri per tutta la vita, tanto che molti affermano di rimandare nel tempo la scelta di sposarsi, proprio nella speranza di trovare la persona “giusta” con la quale creare un legame non effimero. Sempre in quest’ottica, sono assai ricercate come ospiti di questi programmi le coppie “felici”, magari di ambienti difficili, come quello dello spettacolo, che abbiano alle spalle un matrimonio riuscito. E con sincera curiosità si chiede loro di spiegare la ricetta di questo successo, quale sia stata l’alchimia che li ha aiutati a continuare ad amarsi per tanto tempo.
A ben guardare, le risposte sono, in fondo, sempre le stesse: i due sposi hanno cercato di accettarsi reciprocamente con un po’ di generosità, con un pizzico di umorismo, con un vivo desiderio di mantenere saldo quel matrimonio che si è tradotto in un impegno sempre rinnovato. Si sono sforzati di rispettarsi il più possibile anche nelle differenze. Si sono perdonati qualche eventuale sgarro, persino, talvolta, qualche tradimento.
Ma affermazioni interessanti vengono anche dalle coppie, sempre più numerose, che recano testimonianza del fallimento del loro primo matrimonio e invece della riuscita del secondo. Di solito esse dicono che hanno fatto tesoro di quella prima disfatta, in seguito alla quale hanno capito meglio quali siano le dinamiche giuste per mantenere una relazione felice tra un uomo e una donna: la passione dura poco e per questo occorre saperla trasformare in amore; cioè, in qualcosa di più calmo, più profondo, più lucido, più generoso. In genere, queste persone giunte alle seconde nozze sono più consapevoli delle differenze naturali e profonde tra uomini e donne, più disposte a far posto all’altro e non solo ai propri bisogni e desideri. Avendo spesso figli delle prime nozze, si trovano a dover dar vita a quelle famiglie allargate che diventano sempre più diffuse. E ammettono con sincerità che non si tratta di una cosa facile e che per riuscire a trovare serenità occorre essere elastici, comprensivi, accoglienti, generosi, almeno quel tanto che permette una certa armonia di rapporti. Insomma, a ben guardare, occorre prima o poi operare quella evoluzione interiore senza la quale l’incontro tra un uomo e una donna rischia di tramutarsi in un giogo pesante, in uno scontro continuo.
Perché racconto tutto questo? Perché vorrei far capire a coloro che hanno la fortuna della fede quale dono e quale aiuto abbiano ricevuto anche in questo campo; e come, proprio per questo, debbano fare attenzione a non buttarli via, facendosi affascinare e sedurre dai modelli culturali che vanno per la maggiore.
In occasione dell’attuale confronto, a tratti anche molto acceso, tra morale cristiana e morale laica, si afferma giustamente – anche Benedetto XVI lo ha ripetuto spesso – che ciò che la Chiesa propone al mondo, non solo in riferimento al matrimonio ma anche per quanto riguarda aborto ed eutanasia, è sì frutto di una visione religiosa dell’uomo ma anche, e prima di tutto, di un giusto modo di ragionare sull’uomo e sulla sua vita. Credere e impegnarsi per un legame duraturo tra un uomo e una donna, che dia esistenza a una famiglia solida e armoniosa, è un desiderio e un bisogno di ogni uomo, anche di quello non credente. Non si tratta dunque solo di un puntiglioso capriccio di cattolici antiquati e bigotti, che non avrebbero ancora scoperto il valore della “libertà individuale” e che non capirebbero quanta “civiltà” ci sia nel velocizzare sempre più il divorzio, nel facilitare in tutti i modi l’aborto, nel rendere sempre più diffusa e possibile la “dolce morte”.
Non è così. E, per tornare al tema del matrimonio, credo che ognuno di noi debba cercare, per capire davvero, di avere sempre presente quella famosa frase di Gesù nel Vangelo di Matteo (19,8): «Mosè per la durezza del vostro cuore concesse a voi di ripudiare le vostre mogli; ma all’inizio non è stato così». Il pensiero e il programma del Creatore erano e restano dunque diversi. E, se diamo ascolto al nostro intuito più profondo, lo avvertiamo: il matrimonio non è un giogo e come tale da spezzare se diventa difficile e doloroso. No, nel piano di Dio esso è un dono che il Signore ha fatto a un uomo e a una donna, che diventano in questo modo capaci, con il suo aiuto, di unirsi in un legame che l’amore, prima ancora che la legge, rende indissolubile, perché è nella natura del vero amore durare per sempre. Così, esso non è una prigione in cui languire, ma una affascinante avventura umana e spirituale, una palestra in cui diventare davvero adulti, dare la vita ad altri esseri e con loro crescere sempre più nell’amore.
Abbiamo visto che anche chi non è credente o comunque non esplicitamente cattolico, se è persona che cerca con serietà, prima o poi capisce quale sia la chiave dell’amore e della vita. E perché allora non farlo noi, noi cui è stato rivelato in modo più completo che cosa sia davvero l’amore, quel passaggio progressivo dall’eros alla agape che ci divinizza? Noi, che conosciamo la sacralità profonda di una unione di quei due opposti, destinati ad incontrarsi per dare origine alla vita, che sono un uomo e la sua donna? Noi, che sappiamo la grazia che accompagna il sacramento del matrimonio, grazia nella quale dobbiamo credere fermamente anche nei momenti bui, quando saremmo tentati di mollare tutto? Noi, che non ignoriamo l’aiuto divino che può sostenerci anche quando la debolezza della carne rischia di portarci fuori strada? Indagheremo la prossima volta su quella “durezza” del cuore che rende tutto così difficile, anche – se non soprattutto – nella dimensione familiare.
RICORDA
«Tutti i popoli per conferire un volto veramente umano alla società non possono ignorare il bene prezioso della famiglia, fondata sul matrimonio.
“Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole” (can, 1005), è il fondamento della famiglia, patrimonio e bene comune dell’umanità. Perciò la Chiesa non può cessare di annunciare che, conformemente ai piani di Dio (cfr. Mt 19,3-9), il matrimonio e la famiglia sono insostituibili e non ammettono alternative».
(Benedetto XVI, Lettera al cardinale Alfonso Lopez Trujillo, 5 giugno 2005).
IL TIMONE – N. 51 – ANNO VIII – Marzo 2006 – pag. 56 – 57