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15.12.2024

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Media. Incontriamoci online
3 Giugno 2014

Media. Incontriamoci online

La cultura dell’incontro è il tema della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dedicata ai media sociali, la cui struttura favorisce l’isolamento delle persone e il disorientamento. Ma a questo mondo la Chiesa lancia la sua sfida

 

 

 

L’interesse della Chiesa per i mezzi di comunicazione sociale ha radici lontane. Fin dall’inizio del secolo scorso i pontefici sono intervenuti sul valore della stampa periodica, della radio o del cinema, ma è il Concilio Vaticano II a orientare l’attenzione pastorale all’intero universo dei media, riconoscendo in essi caratteri unificanti che influenzano in modo significativo la diffusione di idee e informazioni. È datato 4 dicembre 1963 il decreto Inter Mirifica che, nella scia di mezzo secolo di pronunciamenti pontifici sull’argomento, esprime la necessità di un’analisi specifica sui nuovi strumenti del comunicare. Questo decreto istituisce anche la Giornata annuale delle comunicazioni sociali (unica tra le giornate celebrate dalla Chiesa ad avere un’origine conciliare), che ha come fine la crescita quantitativa e qualitativa dell’evangelizzazione in questo settore.

La posizione del Concilio – e dei pontefici che negli anni hanno accompagnato la celebrazione della Giornata con uno specifico messaggio – mostra costante fiducia nelle possibilità di questi mezzi.

Nel tempo la simpatia della Chiesa verso il mondo della comunicazione ha portato a una presenza crescente dei papi nell’universo mediatico e, insieme, a uno sviluppo della riflessione reso urgente dai rapidi cambiamenti introdotti dalla tecnologia nelle relazioni tra le persone.

Nella 48a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si è celebrata quest’anno il primo giugno, l’attenzione di papa Francesco si è concentrata sul tema “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”, prendendo spunto dall’idea di una sempre maggiore vicinanza tra le persone, che i cosiddetti media sociali potrebbero favorire grazie alla velocità e alla diffusione delle connessioni.

Se certo la tecnologia digitale applicata alla comunicazione – e in particolare le reti sociali – risponde a esigenze umane fondamentali, è tuttavia indispensabile valutare se e a quali condizioni le caratteristiche costitutive e ineliminabili dei new media sono funzionali alla costruzione della reale prossimità tra le persone auspicata da papa Francesco nel suo primo messaggio per questa Giornata.  La comunicazione digitale consiste, per sua stessa natura, nel mettere in comune elementi immateriali; questi, pur non essendo causa diretta della superficialità di tanta comunicazione veicolata dalla rete internet, si presentano attraverso forme e strumenti che di fatto mascherano la distanza tra le immagini o le parole digitali e la realtà. Anzi: l’effetto di verità di ciò che appare sullo schermo di smartphone, tablet e pc è talmente totalizzante da ingannare un utente che non sia più che accorto.

In questo settore l’attenzione – e non solo quella dei giovani – è spesso fissata sulla diffusione e sul possesso di strumenti sempre più sofisticati, al punto che il facile entusiasmo per il progresso tecnologico mette in secondo piano la centralità del pensiero e dell’argomentazione. Il rischio pressante e sottile è che i mezzi digitali, proprio a causa delle loro immense potenzialità, non siano sentiti come strumenti, ma diventino il fine stesso del dire. L’uomo contemporaneo è immerso in una sorta di delirio di onnipotenza generato da meccanismi che sembrano garantire un contatto con il mondo intero: così l’esigenza di essere prossimo all’altro è saturata dall’abbaglio delle “amicizie” garantite dai media sociali. Troppo spesso si confonde la connessione con la comunicazione, illudendosi che per restare vicini basti tenere aperto il canale comunicativo. Ma il che cosa si comunica viene lasciato in disparte, quasi fosse un dato scontato.

La facilitazione dei contatti offerta dalle tecnologie di comunicazione digitale è un’acquisizione indiscutibile nella nostra vita quotidiana, così esaltante da far dimenticare che le naturali possibilità di percezione della persona non hanno affatto le dimensioni del mondo intero. Nella comunicazione supportata dalla rete internet la quantità e la velocità delle informazioni a cui abbiamo accesso superano la capacità e i tempi del nostro pensiero: così, incantati da una simile innaturale e frenetica varietà, ci abituiamo a comunicazioni frammentate, sovrapposte, disordinate, in cui il contenuto diventa l’ultimo problema di cui tener conto, in una dimensione del pensiero che ha lo spessore della luce su uno schermo e l’articolazione di un tweet.

L’effetto di sovraffollamento delle percezioni e il conseguente serio rischio di disorientamento è insito nella struttura stessa dei media sociali, che sarebbe ingenuo considerare neutrali: come ben sanno gli studiosi del settore, nessuno strumento di comunicazione lo è. Né quindi ci si può illudere – anche se spesso genitori ed educatori sembrano volerlo credere – che il giudizio dipenda esclusivamente dal modo in cui tali strumenti sono utilizzati.

È evidente come la smania della connessione perpetua, tramite di amicizie quasi esclusivamente virtuali per giovani e meno giovani, costituisca un ostacolo alle relazioni reali, in cui la corporeità gioca un ruolo determinante. Se è meno impegnativo, e quindi immediatamente più appagante, gestire una molteplicità di relazioni in rete, è innegabile che questa abitudine non favorisce la costruzione di incontri veri, ma diventa una via di fuga dalla realtà.

Basta guardarsi intorno per vedere che la straordinaria possibilità di accorciare le distanze offerta dalle conquiste tecnologiche non garantisce di per sé un avvicinamento delle persone, ma che anzi rischia di isolarle dall’ambito fisico in cui si trovano: soprattutto chi ha a che fare con i giovani non può negare la gravità di tale emergenza, che non è originata solo da un uso scorretto degli strumenti di comunicazione digitale. Il rischio deriva soprattutto dalle loro caratteristiche intrinseche. E di questo occorre tener conto. Anche il Papa, infatti, nel suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, mette in luce gli aspetti problematici della questione e propone alcuni spunti di riflessione per far sì che la comunicazione generi incontri veri, in cui si condivida non un’immagine di sé ma la propria persona. Si tratta di un’assunzione diresponsabilità e di un impegno educativo che non si può delegare né rinviare.

Innanzitutto è essenziale il coinvolgimento reale di chi comunica, nell’intento di recuperare – scrive Francesco – «un certo senso di lentezza e di calma», unito alla «capacità di fare silenzio per ascoltare» e alla pazienza per capire chi è diverso da noi. Si tratta, a ben vedere, di una sfida che sconvolge dalle fondamenta la comunicazione nell’era digitale, puntando su dimensioni del tutto estranee a questi media, che hanno nell’azzeramento del tempo di connessione la chiave del loro successo. Nel continuo chiacchiericcio mediatico, poi, il diverso con cui si dovrebbe dialogare è travolto in un turbine di proposte e di opinioni, di immagini e parole senza corpo: difficilmente il vocío della piazza mediatica si fa ricchezza comunicativa.

Il primo passo della responsabilità riguardo ai cosiddetti media sociali sta nel prendere coscienza che l’esito immediato della modalità di comunicazione che supportano non è la comprensione né l’incontro, ma l’appagamento delle percezioni e delle esigenze più epidermiche, in una sostanziale vocazione alla superficialità. Eppure i pontefici hanno sempre esortato i cristiani a una presenza attiva in tutte le forme della comunicazione, valorizzando ogni strumento come via per giungere all’uomo e annunciare il Vangelo.

Ma come è possibile veicolare un contenuto così intriso di corporeità e verità come il Verbo incarnato sulle vie digitali? La questione non si pone, perché oggi dobbiamo servirci anche di strumenti in sé smaterializzanti per portare parole vere e reali in un mondo di forme senza sostanza. La sfida è quella di riappropriarci in modo consapevole di spazi di comunicazione umani, nei quali ragione e libertà abbiano il governo degli strumenti. È questa la vera rivoluzione digitale.

 

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