Dai funerali di Welby alle vicende dei vescovi polacchi, dagli incidenti nelle partite di calcio all’allestimento dei presepi:
ogni occasione è un pretesto per sparare sul Papa e sui cattolici.
Non a caso mentre si sta cercando di imporre i PACS.
Perché la Chiesa è l’unica istituzione a difesa della dignità e dell’irriducibilità della persona.
Ci mancava Pippo Baudo a spiegare cosa deve dire il Papa e cosa deve fare la Chiesa. È successo all’indomani dei tragici fatti di Catania, dove un agente di polizia è stato ucciso durante i disordini scoppiati in occasione della partita di calcio Catania-Palermo. In diretta tv da Sanremo, domenica 4 febbraio, il Pippo nazionale ha detto che «dovere della Chiesa è essere vicina ai problemi sociali» e ha quindi bacchettato il Papa perché all’Angelus aveva parlato di Pacs e aborto e l’arcivescovo di Catania perché ha confermato la processione religiosa per la festa patronale di Sant’Agata. Data la statura del personaggio non varrebbe neanche la pena parlarne, ma ciò che è accaduto intorno a questa “lezione” è un segnale importante da cogliere. Le parole del presentatore, infatti, non solo non sono state criticate ma addirittura sono state cavalcate dalla solita stampa laicista, che pur di attaccare la Chiesa ha arruolato nelle sue fila il simbolo di una tv che le élite radical-chic una volta snobbavano con sdegno.
Negli ultimi mesi infatti si sta registrando in Italia un crescendo di attacchi alla Chiesa, al punto che paiono diventare autorevoli anche le parole di un Pippo Baudo qualsiasi che, peraltro, nel cuore dei grandi media italiani ha rubato subito il posto al cardinale Carlo Maria Martini, le cui dichiarazioni sull’eutanasia e sul caso Welby campeggiavano fino a pochi giorni prima sulle pagine dei giornali. Già, il caso Welby; ovvero il rifiuto del vicariato di Roma di concedere i funerali religiosi per l’uomo – da anni tenuto in vita da un alimentatore – che con la sua richiesta di esser lasciato morire era diventato una bandiera politica per i promotori dell’eutanasia. Ebbene, la stessa richiesta di funerali religiosi era stata avanzata proprio per creare il “caso”: un altamente improbabile “sì” avrebbe permesso di esultare al cedimento e alla contraddizione della Chiesa, il quasi scontato “no” avrebbe creato le condizioni – come poi è effettivamente accaduto – per scatenare una campagna contro la Chiesa, in questo caso accusata di insensibilità e di mancanza di pietas. Bisogna purtroppo notare, con tristezza, che nell’occasione anche molti cattolici – più o meno autorevoli – si sono prestati a questo gioco, mostrandosi pubblicamente più sensibili alla propaganda “falsamente” umanitaria che non alle ragioni profondamente umane del vicariato.
Tutto ciò accadeva nei giorni di Natale, un periodo che è stato particolarmente denso – coincidenza non casuale – di attacchi alla Chiesa. È nota la battaglia contro i presepi, tra direttori e insegnanti che ne hanno proibito l’allestimento in diverse scuole italiane e grandi catene commerciali che hanno deciso di non metterli neanche in vendita. In entrambi i casi con falsi pretesti: quello dell’offesa alla sensibilità dei musulmani nel primo (ma Magdi Allam ha spiegato magistralmente perché al contrario il presepe può essere un ottimo strumento di dialogo religioso), quello del mercato che non tira nel secondo (i negozi che li hanno messi in vendita stanno ancora festeggiando per gli affari fatti). A dare man forte ci hanno pensato anche alcuni giudici, come quello di Forlì che ha condannato – su richiesta dei vicini di proprietà – una famiglia di Castrocaro Terme per aver realizzato nell’ampio terreno agricolo di sua proprietà una Via Crucis che ogni venerdì veniva percorsa da un gruppetto di fedeli. Il giudice Giovanni Trere nella sua sentenza parla addirittura di «disegno criminoso». Una Via Crucis costruita in un terreno privato un disegno criminoso? Sembrerebbe impossibile anche da pensare, ma non è finita. Proprio alla vigilia dell’Epifania scoppia il caso Wielgus, il vescovo polacco designato per guidare l’arcidiocesi di Varsavia. Prima sussurri, poi indiscrezioni, alla fine un dossier: mons. Wielgus, giovane prete, fece da informatore per la polizia comunista. Il giorno prima del suo ingresso ufficiale a Varsavia rinuncia. La vicenda apre una ferita profonda nella Chiesa polacca, ma quel che ci interessa esaminare in questa sede è la ricaduta in Italia. Il nostro maggior quotidiano nazionale, infatti, dà alla notizia addirittura il titolone di prima pagina, la stessa dimensione che si usa per gravi crisi politiche italiane o internazionali. All’interno, ovviamente ampi resoconti tesi a sottolineare tutte le ombre della Chiesa polacca, soprattutto di quel passato che diede origine – non dimentichiamolo – al pontificato di Giovanni Paolo II. L’obiettivo, ancora una volta, non era tanto descrivere un fatto di enorme gravità (in fondo al lettore medio del Corrieronecrediamo importi relativamente poco delle vicende interne della Chiesa polacca), quanto piuttosto gettare fango sulla Chiesa, metterne in dubbio la sua credibilità.
Può essere considerata una coincidenza il fatto che questo odio si scatena proprio mentre si sta cercando di far passare una legge che legalizza le coppie di fatto, incluse quelle omosessuali? Solo uno sprovveduto potrebbe, tanto è vero che gli attacchi più virulenti si registrano proprio in reazione agli interventi della Chiesa sul tema. Il tentativo è chiaramente quello di tappare la bocca ai cattolici, delegittimarne il ruolo sociale per poter promuovere un progetto di società sempre più statalista, riducendo l’uomo a mero strumento nelle mani del potere. Pur riconoscendo la presenza in Italia di importanti figure laiche che ne condividono il senso delle battaglie sociali, non c’è dubbio che la Chiesa sia l’unica istituzione che difenda l’irriducibilità della persona e la dignità dell’uomo in ogni fase della sua vita. Che questo incida nella realtà italiana se ne è avuta la prova in occasione del referendum del 2005 sulla Legge 40, ed è per questo che ora che si parla di PACS, gli attacchi si scatenano più forti, da più fronti e con qualsiasi pretesto. E si può anche scommettere su un ulteriore incupirsi di questo clima. Non è per fare del vittimismo, tutt’altro: siamo chiamati ad essere ancora più saldi e vigili, consapevoli di ciò a cui Dio ci chiama in questo momento. Il Papa ha già indicato la strada, sfidando tutti sul terreno della ragione. A noi il compito di seguirlo.
Ricorda
«Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: “Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello”. Ma in tutte que-ste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore».
(Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani, 8, 3539).
IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 16-17