15.12.2024

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Missionari per convertire
31 Gennaio 2014

Missionari per convertire

I cristiani sono per loro stessa natura missionari. Annunciando il Vangelo invitano alla conversione.
Ecco le ragioni che legano indissolubilmente missione e conversione, nelle parole del direttore di Radio Maria.

A ben guardare il primo missionario è Dio stesso.
Dopo la caduta dei progenitori, che si erano nascosti nel folto del giardino, il Creatore non li abbandona in balia del maligno, ma va a cercarli: «Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei?» (Gn 3,9).
Possiamo dire che fin dalle origini Dio non ha mai cessato di andare alla ricerca dell’uomo che gli ha voltato le spalle, al fine di riconciliarlo con lui. La sua voce paterna risuona lungo tutto il corso della storia della salvezza e non cesserà che alla fine dei tempi. La Sacra Scrittura è attraversata dall’inizio alla fine dal richiamo insistente alla conversione.
Se il peccato è un allontanamento da Dio, la conversione è il ritorno a lui: «Ritornate, figli traviati, io risanerò la vostra ribellione» (Ger 3,14). L’amore prodigo e senza confini del Creatore è instancabile nell’offrire la grazia del perdono alle sue creature. La possibilità della conversione è una grande grazia su cui non si medita abbastanza. Essa sta a significare che tutti coloro che si pentono sinceramente possono incominciare una vita nuova. Possono salvarsi e diventare santi come quelli che non hanno mai perso la grazia battesimale.
La conversione però va annunciata. Al popolo di Israele che si comporta come una sposa infedele Dio invia i profeti, che denunciano, scuotono, minacciano, richiamano
anche a costo di essere perseguitati e di rimetterci la vita: «Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca – dice il Signore a Geremia –. Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e per piantare» (Ger 1,9-10). Il profeta esita e la sua carne trema. Cerca scuse per ritornare in un più comodo anonimato, ma il Signore non gli dà scampo: «Non dire: Sono giovane, ma va da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti» (ib. 1,7). Il calcolo carnale, la timidezza nell’annuncio e l’inclinazione al compromesso sono ieri come oggi per nulla graditi agli occhi del Signore.
L’invito alla conversione rimbomba come un tuono lungo la valle del Giordano all’apparire di Giovanni il Battista: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate e suoi sentieri» (Lc 3,3). Le folle si scuotono dal torpore a accorrono per farsi battezzare. Giovanni le accoglie, ma non le blandisce: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente? Fate dunque opere degne di conversione… La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,7-9). Quando si predica sul serio la conversione si rischia la vita. E infatti «Il Tetrarca Erode, biasimato da lui a causa di Erodiade, moglie di suo fratello, e per tutte le scelleratezze che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione» (Lc 3,38). Non solo, ma per aver scosso le coscienze con la parola della Verità, ci rimise la testa.
Per annunciare la conversione ci vuole coraggio. La scelta della verità mal si accompagna al quieto vivere.
Gesù ha ripreso il discorso dove Giovanni lo aveva lasciato: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15) sono le sue prime parole.
Gesù è il Figlio di Dio, l’inviato del Padre sulla terra per chiamare gli uomini alla conversione. Dio non si accontenta più dei profeti, viene Egli stesso. La posta in gioco è la massima possibile: si tratta della salvezza eterna dell’umanità.
Gesù percorre uno ad uno tutti i villaggi della Galilea per annunciare la conversione, cacciare i demoni e guarire i malati. Ha predicato per tre anni di seguito senza mai stancarsi. Ha allenato pure gli apostoli. L’annuncio della verità che salva è la fatica quotidiana della sua vita pubblica. Lo fa fino in fondo, fino davanti al Sinedrio e a Pilato, fino a sacrificare la vita. I suoi rappresentanti sulla terra, potranno fare diversamente? Non è possibile, perché il comando del Risorto è perentorio: «Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato… Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano » (Mc 16,15-20). Nessuno degli apostoli morì nel suo letto, eccetto forse l’evangelista Giovanni, che tuttavia si tramanda abbia subito il martirio a Roma, uscendo illeso da una caldaia di olio bollente. Noi cristiani siamo figli di martiri, ma questa prospettiva rende inquieti i nostri sonni.
I seguaci di Gesù Cristo oggi sono circa un quarto della popolazione mondiale, mentre i cattolici sono circa il 17%. Lo sforzo della Chiesa lungo due millenni per chiamare gli uomini alla conversione non è certo stato vano. Quanta dedizione, quanti sacrifici, quanti eroismi per testimoniare e diffondere la fede!
Da dove è nato questo impulso missionario che ha reso possibile la presenza della Croce in ogni angolo della terra? Da dove trarre lo slancio per rievangelizzare i paesi di antica cristianità, squassati dal vento della secolarizzazione, e per portare il vangelo della conversione a tutte le nazioni? Alla radice dell’impegno missionario della Chiesa non vi è dubbio che vi sia l’amore: l’amore per Gesù Cristo e per le anime.
Chi ha incontrato Gesù Cristo sa che Lui solo è la Via, la Verità e la Vita. Nessuno può andare al Padre se non per mezzo di Lui (cfr Gv 14,6). Gesù Cristo è il Salvatore di ogni uomo ed è quel tesoro che ogni cuore segretamente attende e desidera. Annunciarlo e testimoniarlo con la vita è una esigenza insopprimibile della fede e un debito di amore verso i fratelli.
Perché la Chiesa riprenda con vigore il suo slancio missionario, è necessario che i cristiani riscoprano la bellezza e la grandezza della loro fede. Devono loro stessi ri-convertirsi al Vangelo e, come dice Paolo, lasciarsi «afferrare da Gesù Cristo». Allora i dubbi e le paure cadranno. Solo il vangelo è quel fuoco che è capace di incendiare il mondo (cfr Lc 12,49). È il fuoco dell’amore di Dio che troppi uomini ancora ignorano.

Dossier: Conversione

IL TIMONE – N. 55 – ANNO VIII – Luglio/Agosto 2006 – pag. 44 – 45

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