Il programma di eutanasia voluto dal governo nazista si tradusse nell’assassinio di 275mila persone, di cui 8mila bambini. E oggi parole d’ordine e propaganda ricalcano precisamente quelle diffuse dal Terzo Reich.
Se al giorno d’oggi provate a sostenere che l’eu-tanasia è un crimine contro l’umanità e che a legalizzare la morte dolce si rischia una deriva morale come quella che vigeva sotto il regime nazista, rischiate di ricevere critiche, richiami, accuse, insulti, richieste di dimissioni, come è successo all’onorevole Carlo Giovanardi, quando era ministro dei Rapporti con il Parlamento.
Nel marzo del 2006 l’esponente dell’UDC, commentando la decisione olandese di permettere la pratica dell’eutanasia anche ai bambini, ha sostenuto che «la legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo». L’allora ministro parlò di «selezione eugenetica, che parte sin dall’inizio eliminando i bambini down, quelli thalassemici o quelli che, già venuti al mondo, non hanno la dignità di vivere perché non sono perfetti. Se poi l’applichiamo anche agli anziani, questo è nazismo».
Esagerato? In realtà, se si vanno a studiare più attentamente le argomentazioni, i motivi e la propaganda con cui Hitler impose la pratica massiccia dell’eutanasia, si scopre che le “parole d’ordine”, i concetti e gli esempi utilizzati oggi dalla lobby favorevole alla “morte dolce” sono molto simili a quelli utilizzati dai medici nazisti. Riprendendo concezioni originate e diffuse dalle Società Eugenetiche in voga nei primi decenni del XX secolo, l’eutanasia venne considerata dal regime nazista una pratica pietosa per eliminare le cosiddette Lebensunwertes Leben, “vite indegne di vita”.
Già nel 1924-25 Adolf Hitler scrisse nel Mein Kampf: «Se non c’è più forza per combattere per la propria salute, il diritto a vivere viene meno». E nelle conversazioni condotte fino al 1931 con Hermann Rauschning, allora presidente del Senato di Danzica, Hitler ha detto che la «pietà conosce una sola azione: lasciar morire i malati».
Con una lettera firmata di suo pugno il primo settembre del 1939 Hitler scrisse: «Il Reichsleiter Philip Bouhler (Capo della Cancelleria di Stato ndr) ed il Dottor Karl Brandt (medico personale di Hitler ndr), sono incaricati a conferire a singoli medici i poteri necessari affinché a pazienti giudicati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile sia concessa una morte pietosa».
Da quel momento la macchina della “dolce morte” entrò a pieno regime. Prove fornite al processo di Norimberga (1945-1946) stimano che con l’eutanasia furono assassinati 275.000 individui, tra cui 8mila bambini. Le vittime furono assassinate in camere a gas, camuffate come locali da bagno, per mezzo di monossido di carbonio emesso da bombole di gas.
Per far accettare il programma di eutanasia, la macchina della propaganda nazista cominciò a produrre film. I manicomi dove avveniva l’eliminazione vennero presentati come splendidi luoghi di cura, con interni di lusso, meravigliose vedute, trattamento superbo. Nello stesso tempo vennero diffusi cortometraggi che riprendevano individui repellenti, malati terminali e sofferenti, individui deformati dalle malattie, con l’idea di mostrare condizioni indegne di vita.
Nel 1941 venne diffuso il film Ich klage an (Io accuso) in cui si racconta di un professore di patologia, Heyt, sposato con la giovane Hanna, la quale è malata di sclerosi multipla. Heyt si sforza di curare Hanna, ma ad un certo punto decide di aiutare la moglie a morire. Il fratello di Hanna denuncia Heyt per omicidio. Ma nel corso del dibattito in tribunale i sei giudici concludono che la legge deve essere cambiata per permettere l’eutanasia.
Nel film l’ex sindaco della città dove si svolge il dramma prende la parola e dice: «…Per quanto riguarda coloro che desiderano morire perché un tempo sono stati sani e ora non ce la fanno più, ebbene io credo che lo Stato, che ci impone il dovere di morire, debba anche darci il diritto di morire».
Il film fu visto da 18 milioni di persone. Il servizio di sicurezza di Hitler raccolse le reazioni e stilò un lungo rapporto in cui sottolineava che la gente aveva accettato sia pure con qualche riserva che «le persone affette da gravi malattie incurabili devono poter avere una morte rapida sanzionata dalla legge».
Il rapporto dei servizi di sicurezza rilevava che l’unica vera opposizione contro il film e contro l’eutanasia veniva dalla Chiesa Cattolica. A questo proposito l’allora vescovo di Munster, Clemens August Von Galen (beatificato il 9 ottobre 2005), denunciò aspramente il programma di eutanasia. Nella predica del 3 agosto 1941, Von Galen tuonò: «Se anche per un’unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli improduttivi – benché limitato in partenza solo ai poveri e indifesi malati di mente – allora in linea di principio l’omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri umani. (…) È impossibile immaginare quali abissi di depravazione morale e di generale diffidenza perfino nell’ambito familiare toccheremmo, se tale orribile dottrina fosse tollerata, accettata, messa in pratica». La predica di Von Galen venne riprodotta su volantini e diffusa dagli aerei della Royal Air Force britannica. Solo la grande popolarità di cui il prelato godeva impedì ai nazisti di impiccarlo.
La storia evidentemente tende a ripetersi: nel numero speciale di fine 1996 dedicato al 50esimo anniversario del processo di Norimberga ai medici nazisti, il British Medical Journal riportava un commento di Hartmut Ha-nauske-Abel della Cornell University di New York, che così diceva: «Ciò che è avvenuto nel 1933 in Germania può accadere ancora, in Europa e in Nord America. L’ethos della medicina non è saldo e immutabile, ma soggetto a distorsioni da parte delle forze politiche e sociali, e dalle applicazioni devianti della scienza e della tecnologia». Ancora più chiara Alice Ricciardi von Platen, autrice del libro Il nazismo e l’eutanasia dei malati di mente, in cui spiega: «In quest’epoca difficile un numero spaventoso di giovani medici e avvocati sostengono a quattr’occhi la pratica dell’eutanasia, sia pure eseguita sotto il controllo dello Stato in condizioni diverse da quelle del Terzo Reich. (…) Anche l’opinione pubblica, in ambienti liberi da influenze confessionali, rimane favorevole in molti casi alla liberazione dei malati di mente dalla loro vita ormai priva di valore. La propaganda nazionalsocialista ha impresso fortemente nelle coscienze questo modo di pensare e la vita pubblica attuale non offre alcun modello concreto contro i sostenitori del diritto dei più forti. Modificare questa concezione dei malati di mente e più in generale dei malati sarà un lavoro di generazioni, un compito che solo la diversa considerazione dell’uomo potrà realizzare».
Ricorda
«Siamo di fronte a una follia omicida senza eguali. Con gente come questa, con questi assassini che calpestano orgogliosi le nostre vite, non posso più avere comunanza di popolo!».
(Clemens August Von Galen, vescovo di Munster, Omelia del 3 agosto 1941).
Bibliografia
Michael Burleigh-Wolfgang Wippermann, Lo stato razziale – Germania 1933/1945, Rizzoli, 1992.
Alice Ricciardi von Platen, Il nazismo e l’eutanasia dei malati di mente, Editrice Le Lettere, 2000.
Henry Friedlander, Le origini del genocidio nazista, Editori Riuniti, 1997.
Stefania Falasca, Un vescovo contro Hitler, San Paolo, 2006.
IL TIMONE – N.60 – ANNO IX – Febbraio 2007 pag. 24-25