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12.12.2024

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Napolitano, un po’ comunista un po’ radicale
9 Gennaio 2015

Napolitano, un po’ comunista un po’ radicale

NAPOLITANO, un po’ comunista un po’ radicale

Mandato presidenziale al capolinea, è tempo di bilanci. Erede legittimo del comunismo gramsciano e togliattiano, ha interpretato il suo ruolo in chiave presidenzialista, usando il suo potere per spingere tutte le battaglie dei radicali, dall’eutanasia alla fecondazione assistita. Con il plauso di Pannella

Giorgio Napolitano, ormai in uscita dal Quirinale, è il primo presidente della Repubblica a provenire dalla storia del comunismo italiano. Tutto ciò assume un forte significato simbolico. Napolitano conclude il lungo percorso dei comunisti italiani, iniziato con la svolta di Salerno di Palmiro Togliatti e con la teoria dell’egemonia di Antonio ramsci. A Salerno, nell’aprile del ’44, Togliatti scelse per la democrazia e, quindi, indicò al partito un lungo percorso di rivoluzione consuntiva dentro le istituzioni repubblicane e non contro di esse. Antonio Gramsci aveva dato corpo filosofico a questo progetto, teorizzando appunto la rivoluzione consuntiva, ossia la creazione di una egemonia culturale nella società che conducesse al potere non con le armi in pugno, ma con libere elezioni democratiche.
Iniziava così l’intreccio tra comunismo italiano, forma democratica e vita istituzionale che si è emblematicamente concluso con la presidenza Napolitano.

Napolitano e la secolarizzazione della politica italiana
A questo punto è lecito farsi una domanda? Napolitano è rimasto comunista anche dopo il suo insediamento al Quirinale? Per rispondere, bisogna pensare che in questo rapporto con la democrazia e le istituzioni repubblicane teorizzato da Gramsci e avviato da Togliatti anche il comunismo italiano è cambiato.
Togliendo al comunismo l’obiettivo della rivoluzione preventiva di tipo sovietico, Togliatti e Gramsci dovevano affidarsi alla cultura, per creare appunto l’egemonia come base della rivoluzione consuntiva.
Su questo terreno il comunismo italiano incontrava però la religione cattolica. L’egemonia richiedeva quindi la secolarizzazione della vita religiosa del popolo italiano.
La secolarizzazione religiosa è diventata poi anche secolarizzazione etica, in quanto anche i principi della legge morale naturale – vita, matrimonio, famiglia – in quanto assoluti erano comunque residui religiosi.
Il comunismo italiano ha sempre fatto propri i principi dell’ideologia radicale: divorzio, aborto e, ora, fecondazione eterologa e unioni civili anche tra coppie dello stesso sesso.
Ma era possibile secolarizzare i principi religiosi ed etici del popolo italiano senza secolarizzare anche il comunismo italiano stesso? Certamente no. E infatti anche il comunismo italiano ha perso i suoi dogmi, i suoi principi teorici popolari,
le sue promesse di giustizia radicale e si è ridotto a Matteo Renzi, a Ignazio Marino e a Elena Boschi. Si può dire che la presidenza di Giorgio Napolitano rappresenti politicamente questo approdo della nostra democrazia, delle nostre istituzioni e anche del comunismo italiano.

Il Presidente “radicale”
Dall’alto del Quirinale, Giorgio Napolitano ha paternamente accompagnato il Paese sulla strada della secolarizzazione dei valori etici. Nel caso di Eluana Englaro – con il quale, secondo Maurizio Mori, si era aperta una seconda “breccia di Porta Pia” – l’intervento di Napolitano fu molto pesante. La Presidenza della Repubblica fece sapere al Governo, durante una seduta del Consiglio dei Ministri, che il Presidente non avrebbe firmato un decreto per salvare Eluana dalla morte per sospensione di idratazione e alimentazione decretata da una sentenza giudiziaria.
Il problema era di merito: l’urgenza richiesta per il decreto del Governo c’era. Era poi anche di metodo: la telefonata al Governo, a seduta in corso, per avvertirlo, prima ancora che esso facesse qualcosa, che quel qualcosa non verrà accettato dal Quirinale è un unicum nella storia della nostra Repubblica. Napolitano ha spinto spesso sui temi etici, fino alla finedel suo mandato.
Il 19 settembre 2014 ha lodato pubblicamente l’Associazione Luca Coscioni: «Il costante impegno della vostra associazione e le numerose proposte che ne testimoniano la vitalità svolgono un’essenziale funzione di orientamento e di informazione sui grandi temi del rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, anche nelle situazioni di massima fragilità e vulnerabilità». Quest’ultimo riferimento è all’eutanasia, di cui il Presidente si faceva così sostenitore, invitando il Parlamento ad occuparsene. Sul tema dell’eutanasia, il Presidente era già intervenuto nel 2006, rispondendo all’appello di Piergiorgio Welby (ma non poi a quello di Lorenzo Moscon che denunciava l’inganno dell’eutanasia) e nel marzo del 2014 ha rivolto un diretto appello al Parlamento chiedendo che fosse discussa la legge sull’eutanasia per “Tutelare i diritti dei malati terminali”. In aprile ha incontrato il Comitato nazionale di Bioetica e nuovamente ha chiesto che il Parlamento esca dal silenzio su questo tema.

Il “feeling” con Pannella
Nei confronti dei Radicali, del resto, Giorgio Napolitano ha sempre manifestato particolare attenzione. Nel giugno 2011 scrisse una lunga lettera a Marco Pannella in cui, tra l’altro, diceva che il divorzio e la regolamentazione dell’aborto erano grazie a lui diventati patrimonio culturale comune di larga parte della società italiana. Nei corridoi del giornalismo si racconta che la presenza di Emma Bonino nel ministero Letta (28 aprile 2013) come ministro degli esteri fu fortemente voluta da Napolitano.
Su questo si basa l’insistenza con cui i commentatori citano oggi Emma Bonino come probabile successore di Napolitano in continuità con la sua esperienza presidenziale.
La Costituzione non prevede per il Presidente della Repubblica un ruolo politico. Ma nella sostanza Giorgio Napolitano ne ha esercitato uno simile. La nascita del governo Monti è stata una sua strategia istituzionale-politica pensata per tempo e nei minimi particolari; questo indipendentemente dalle famose rivelazioni di Alain Friedman. Sul governo delle larghe intese di Enrico Letta, Napolitano esercitò un evidente protettorato. Ancora oggi parte del Partito Democratico gli rimprovera di aver fatto la scelta (politica) di abbandonare prematuramente il segretario Bersani dopo avergli conferito un preincarico. Nei confronti di questi due governi, il Presidente ha esercitato un ruolo molto importante nel sostenerli, nel guidarli, nel rimproverarli, nel proteggerli.
Sembravano governi delm Presidente più che governi parlamentari. Alla nascita del governo Renzi hanno fatto scalpore le due lunghe ore passate dal presidente incaricato al Quirinale dove era giunto con una lista di ministri che evidentemente doveva essere stata ampiamente rivista. Qualcuno poi ricorda che gli ultimi tre Presidenti del Consiglio non sono emersi da elezioni ma da giochi politici di palazzo, Napolitano permettendo.

Repubblica presidenziale?
Nell’aprile 2011, quando l’Italia diede il proprio appoggio alla guerra di Libia, il Presidente è entrato in campo a difendere il Governo, criticando pubblicamente Angela Merkel, che invece aveva tenuto la Germania fuori dalla guerra, accusandola di averlo fatto in vista delle imminenti elezioni politiche.
È intervenuto spesso sulle diverse manovre finanziarie, anche su questioni di merito, ossia di politica governativa. È sceso molte volte in campo per bacchettare ministri italiani e uomini politici che mettevano in forse il nostro legame con l’Europa. Ha dettato spesso l’agenda del Governo, e non con frasi generiche, ma con indicazioni precise di temi e di politiche da assumere. Ha dato altrettante pagelle ai governi, sostenendo che quanto andavano facendo si collocava sulla giusta strada.
Il 22 settembre 2014 ha chiesto:
«Basta conservatorismi, sul lavoro politiche nuove», dando così un forte assist politico al Jobs Act del presidente Renzi.
Napolitano ha guadagnato sul campo una forte popolarità. L’accettazione del reincarico dopo i primi sette anni di mandato è stata letta come una scelta di dedizione e di abnegazione per il bene del Paese. In questo lungo periodo, pochissimi si sono permessi di criticarlo apertamente, a parte Brunetta o la Santanché. Sono stati anni di crisi politica e di letterale incapacità dei partiti di produrre un qualcosa che sapesse anche lontanamente di politica vera. Tale situazione drammatica si era manifestata soprattutto al momento di eleggere il successore di Napolitano. Si può quindi pensare che egli abbia coperto un vuoto, abbia evitato i frantumi e garantito la continuità.
Però sul modo c’è di che discutere. Soprattutto se il suo mandato viene visto nei tempi lunghi della storia repubblicana. â–

 
Il Timone – Gennaio 2015

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