Nelle città occidentali molti hanno dimenticato il protagonista del Natale. Si compra, si fanno gli auguri, magari si va anche in chiesa a mezzanotte, ma si crede poco. E tuttavia, Lui si ripresenta. E si affaccia di nuovo nel cuore di molti
Amsterdam, dicembre di un anno fa. Le vie attorno alla piazza Damrak la sera sono una parata di luminarie festose, sfolgoranti nel buio. Le luci scintillano sulla neve appena caduta, dai grandi magazzini escono le note di Jingle bells. Non potrebbe essere più Natale di così, stasera a Amsterdam. Ma se appena si informa, il visitatore apprende che in questa città, l’avanguardia della secolarizzazione in Europa, secondo un sondaggio il 58 per cento della popolazione ignora che cosa esattamente si ricordi, il giorno di Natale. Amsterdam in dicembre è come una giostra splendente che gira impazzita, dimentica di che cosa c’è, all’origine di quella festa.
Non solo Amsterdam, ma ovunque nelle città d’Occidente, in misura diversa, si vive questa schizofrenia: auguri, auguri, ci si ripete, ma a volte verrebbe voglia in fondo di domandare: grazie, ma auguri di cosa?
Non si può dire che abbiamo dimenticato il Natale: è imponente l’apparato che nelle strade di Roma o Parigi scandisce l’avvicinarsi del 25 dicembre. Ma quel giorno, è come se l’avessimo svuotato. Il primo snaturamento è l’averlo ridotto a una fiaba: una bella fiaba per bambini. Qualcosa di sentimentale, di commovente che ci si racconta una volta all’anno, in questo mondo duro. Pastori e campane, e vischio sulle porte, e sempre più spesso un Babbo Natale di plastica che si arrampica sulla ringhiera dei balconi. Per fare felici i bambini. Ma, via, è sottinteso, non è per questo che noi si crede a quella storia di un bambino nato in una mangiatoia.
Si mette in scena, nelle nostre città, il Natale, senza viverlo davvero. La tradizione rimasta come un guscio, e il cuore svuotato. Nel Nord Europa è ormai normale augurarsi, invece che Buon Natale, buone feste. È più politically correct, ed è la logica conseguenza di quella dimenticanza collettiva. Magari non si pronuncia la parola “Natale”, in certe scuole francesi o tedesche, con l’alibi di non urtare gli alunni islamici. Ma a Slotervaart, quartiere esclusivamente islamico di Amsterdam, abbiamo visto alle finestre alberi decorati, e stelle, e Santa Claus col sacco sulle spalle. Ai bambini dei musulmani piacciono, i simboli lucenti della festa, come ai nostri. Natale non è un problema dei musulmani, ma dei cristiani. Che amano Silent Night; ma di quella antica storia di Betlemme si vergognano un poco. Ci suona oggi così ingenua, così incredibile. Un bambino in una stalla, il figlio di Dio? Re pellegrini dall’Oriente, guidati da una stella a quella capanna? Immaginate di chiederlo agli spettatori nel foyer della Scala, o ai professori nei corridoi della Sorbona. Sorriderebbero, i più. (E forse qualcuno tacerebbe, qualcuno che ancora a quella storia crede, ma si è abituato a ritenere la sua fede pubblicamente impresentabile). Nell’allontanamento dalla originaria radice, tuttavia la festa nelle strade monta e si gonfia, come sfuggita al controllo. Basta passare davanti alle vetrine di Harrod’s a Londra o dei magazzini Lafayette a Parigi per assistere a questo impazzimento. Reggimenti di costosissimi giocattoli, gioielli, e pellicce, e profumi, in fila come un esercito in attesa di invadere le nostre case. O almeno, quelle dei ricchi. La sovrabbondanza di merce, di roba, mette nelle strade delle nostre città in questi giorni quasi a disagio; è qualcosa che opprime, che schiaccia. Non può essere qui, che abita il Natale.
E tuttavia la fiera sregolata a una cert’ora si placa, nella notte della vigilia. Calano le saracinesche di Montenapoleone e Regent Street e via Condotti, ciascuno torna a casa. Comunque, ancora in quella notte molte chiese si riempiranno ancora. Di gente che magari in chiesa non va mai. Che a Natale ci va per abitudine, o non sa neanche davvero per quale ragione.
E però, tuttavia, insistente, respira in non pochi di noi una quasi non ammissibile speranza. Che sia vero, ancora; che sia vero, tutto. Distratti, lontani o cinici, oppressi magari da tanti auguri vuoti, non pochi tuttavia avvertono in sé una domanda come a bassa voce: ma voi, chi dite che io sia, io che nasco questa notte? Non è più fede forse, o non lo è ancora, ma è una domanda viva che batte, flebile e ostinata, nelle nostre città d’Occidente, la notte di Natale.
Dossier: Natale e tradizioni
IL TIMONE N. 98 – ANNO XII – Dicembre 2010 – pag. 46