Nato a Londra nel 1801 e scomparso a Birmingham nel 1890, John Henry Newman, che il Santo Padre Benedetto XVI ha beatificato il 19 settembre 2010, è stata una delle figure più rilevanti della Chiesa e della cultura cattoliche del XIX secolo. Dopo essere stato ordinato prete anglicano nel 1825, vent’anni più tardi, esattamente il 9 ottobre 1845, egli entrò ufficialmente nella Chiesa cattolica, coronando con la conversione un cammino interiore molto fecondo e significativo.
La descrizione più sintetica e suggestiva di tale cammino è data dall’espressione Ex umbris et imaginibus in Veritatem (Dalle ombre e dagli spettri alla Verità), che volle scritta come epitaffio sulla tomba. Molto bello e denso di significato è pure il motto Cor ad cor loquitur (Il cuore parla al cuore), da lui scelto al momento di essere creato cardinale dal Pontefice Leone XIII per sottolineare la dimensione relazionale e amorosa che caratterizza la vita del Dio Trinitario, il Suo rapporto con gli uomini e quello tra persona e persona.
Un testo apologetico in un contesto difficile
Newman è stato uno scrittore grande e prolifico. Tra le tante opere che ci ha lasciato, spicca l’Apologia pro vita sua, pubblicata fra il 1864 e il 1865, un testo autobiografico di straordinario valore, spesso paragonato addirittura alle Confessioni di Sant’Agostino.
All’origine del libro vi è l’accusa mossa all’autore da parte di Charles Kingsley, noto docente dell’Università di Cambridge e cappellano della Regina, che mise in forse la sincerità della conversione di Newman, rivolgendo contemporaneamente una serie di aspre critiche alla Chiesa di Roma. Newman trasformò la sua legittima difesa in un eccezionale racconto del proprio avvicinamento al cattolicesimo, che venne unanimemente apprezzato, suscitando grande entusiasmo negli ambienti cattolici.
L’Apologia fu composta in soli tre mesi, ma ciò non andò a scapito della riuscita del lavoro. Afferma a questo riguardo Fortunato Morrone: «La pressione emotiva e psicologica cui [Newman] è sottoposto si riflette nella prosa, che richiama uno stile parlato piuttosto che scritto, quasi il suo interlocutore gli fosse davanti. Pur essendo fluida, la prosa è torrenziale, nervosa, avvolgente e coinvolgente, per alcuni versi seducente, ma sempre puntuale e stringente a livello logico e – all’occorrenza – finemente satirica, senza alcuna banalizzazione o divagazione superflua».
A Newman stava profondamente a cuore far risaltare l’onestà intellettuale e la purezza morale che avevano caratterizzato il percorso che lo aveva condotto alla conversione al cattolicesimo: si trattava di un compito davvero difficile, perché negli ambienti dell’anglicanesimo la fede cattolica veniva considerata imbevuta di errori e, ancor più, di falsità.
Dinanzi alla difficoltà dell’impresa che lo attendeva, Newman non arretrò e alla fine poté cantare vittoria: l’opinione pubblica e gli osservatori più attenti decretarono il suo successo, riconoscendone la purezza delle intenzioni, mentre il prof. Kingsley si vide costretto al silenzio. Newman, tuttavia, fedele al suo stile, non si vantò e non insuperbì, attribuendo alla bontà divina l’esito positivo della non facile prova a cui era stato sottoposto.
Perché ci vuole un Papa
L’Apologia pro vita sua è divisa in cinque parti, nelle quali l’autore racconta la storia delle sue opinioni religiose, partendo dalla fanciullezza per giungere sino al momento della conversione e agli anni che a essa seguirono. Scrive Newman nell’ultima parte del libro: «Dal giorno in cui divenni cattolico […] non ho più avuto variazioni da registrare e non ho più avuto alcuna inquietudine nello spirito. Mi sono trovato nella più perfetta pace e tranquillità; non ho mai avuto alcun dubbio. Al momento della mia conversione […] fu come entrare in porto dopo essere stati nel mare in burrasca; e la mia felicità, a questo riguardo, dura ininterrotta fino ad oggi».
Fra le tante questioni affrontate nell’opera, spiccano quella del ruolo della Chiesa e quella dell’infallibilità del Papa. Erano questi i punti più delicati della polemica anticattolica. Nella sua semplicità, la posizione di Newman risulta quasi disarmante: «E così – egli scrive – sono indotto a parlare dell’infallibilità della Chiesa come di un mezzo stabilito dalla misericordia del Creatore per conservare la religione nel mondo e per frenare quella libertà di pensiero che naturalmente in sé è una tra le nostre più grandi doti naturali, e per salvarla dai propri eccessi suicidi […]. Io dico che un’autorità che sia infallibile nell’insegnamento religioso è ben adatta a essere, nel corso delle vicende umane, uno strumento efficace per vincere e respingere l’immensa energia dell’intelletto aggressivo, capriccioso e infido».
E poco più avanti l’autore chiarisce ancora questo punto di capitale importanza: «San Paolo dice in un passo che il potere apostolico gli è stato dato “a edificazione, e non a distruzione”. Non si potrebbe trovare una descrizione migliore dell’infallibilità della Chiesa. È un rimedio per un determinato bisogno e non va oltre quel bisogno. Il suo scopo, e anche il suo effetto, non è quello di indebolire la libertà o il vigore del pensiero umano nel campo della speculazione religiosa, ma quello di resistere alle sue stravaganze e di disciplinarle ».
La libertà interiore del cristiano
Come è stato più volte sottolineato e come si ricava facilmente dalle parole poco sopra citate, John Henry Newman è stato capace di spiegare come pochi altri in quale modo la verità professata dalla Chiesa e la libertà della coscienza e della ragione dell’uomo possano e debbano coesistere armonicamente. Riguardo al tema della coscienza, nella celebre Lettera al duca di Norfolk (1875) di Newman c’è un passaggio che vale come ottimo commento anche all’Apologia pro vita sua: «Se il Papa parlasse contro la coscienza nel vero senso della parola [nominando il “vero senso” della coscienza Newman vuol intendere la coscienza retta, ben formata, non quella colpevolmente erronea, contro cui, giustamente e doverosamente, il Papa deve pronunciarsi: su questi concetti cfr. G. Samek Lodovici, Chi segue la coscienza si salva?, “il Timone”, 127, pp. 30-31], compirebbe un suicidio. La sua autentica missione consiste nell’annunciare la legge morale e nel proteggere e rafforzare quella luce che illumina ogni uomo che viene al mondo. Sulla coscienza e la sua santità si fonda sia la sua autorità nella teoria come anche la sua effettiva potenza». E poco dopo aggiunge le seguenti celebri parole: «Se fossi costretto, durante i brindisi, dopo aver mangiato, a pronunciare un evviva alla religione […] leverei allora un brindisi – certo – al Papa, tuttavia prima alla coscienza e soltanto dopo al Papa»: infatti la coscienza retta e ben formata (non quella erronea, ribadiamolo) è il luogo in cui si manifesta direttamente la voce divina.
Tra i tanti insegnamenti newmaniani, quello riguardante la retta libertà interiore del cristiano è sicuramente uno dei più profondi e attuali. In occasione della sua beatificazione, il Santo Padre Benedetto XVI così presentò il ricco contributo offerto alla cultura cattolica dal grande cardinale britannico: «Le sue intuizioni sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, non furono soltanto di importanza profonda per l’Inghilterra vittoriana, ma continuano ancor oggi ad ispirare e ad illuminare molti in tutto il mondo».
Ricorda
«Con questa sua fatica geniale, Newman aveva fatto acquistare al cattolicesimo quella credibilità, rispetto ai pregiudizi della società inglese e protestante, che da tempo ci si aspettava».
(Fortunato Morrone, Introduzione a John Henry Newman, Apologia pro vita sua, p. 94)
Per saperne di più…
John Henry Newman, Apologia pro vita sua, a cura di Fortunato Morrone, Paoline, 2001.
Paolo Gulisano, John Henry Newman. Profilo di un cercatore di Verità, Ancora, 2010.
Lina Callegari, John Henry Newman. La ragionevolezza della fede, Ares, 2010.
IL TIMONE – Marzo 2014 (pag. 32-33)
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