Il costo del figlio
Un’automobile nuova o un figlio? La scelta, nella società italiana secolarizzata, dipende dal prezzo. È la risposta comune di migliaia di giovani coppie italiane istruite, benestanti e “benpensanti”. L’indagine, condotta dalla demografa Fausta Ongaro, dell’Università di Padova, è condensata in uno studio, intitolato Le scelte riproduttive tra costi, valori, opportunità (Franco Angeli editore, Milano 2006). Il figlio viene considerato come un fattore di limitazione, di stress e di schiavitù, da evitare o di cui liberarsi al più presto. Come hanno affermato alcune donne intervistate, «quando si ha un figlio, non si è più la persona più importante, non si vive più per sé stessi». Secondo la Ongaro, le donne in età fertile si dividono in due categorie. La prima è quella delle donne che hanno escluso per principio la prospettiva di procreare. La seconda è quella delle donne che vorrebbero farlo, ma rimangono incerte per motivi psicologici, sociali o economici, rinviando continuamente la decisione, come se fossero eternamente fertili; quando finalmente si decidono, è ormai troppo tardi, poiché sono diventate sterili. Tra le cause più profonde della crescente denatalità, prevalgono quelle di ordine psicologico-culturale su quelle economico-sociali. Secondo i risultati ottenuti dalla studiosa, un ruolo importante è svolto dalla mentalità femminista, che vede la donna come imitatrice e rivale dell’uomo nel lavoro, nel potere e nel successo. Un’altra causa della denatalità è la progressiva precarizzazione dei rapporti di coppia, che stanno passando dal matrimonio indissolubile a quello dissolubile. «Il costo dei figli – afferma la Ongaro – è ancor più pronunciato per l’aumento della instabilità matrimoniale, che significa un aumento del rischio per le donne sposate di doversi mantenere da sole». Nelle convivenze, poi, vissute come periodo di prova, generare un figlio diventerebbe controproducente in quanto costringerebbe a regolarizzare e stabilizzare il legame. La conclusione dello studio è che, per rimediare alla crisi demografica, la società deve favorire la maternità e la famiglia tanto quanto finora l’ha penalizzata: a livello non solo economico e lavorativo, ma anche culturale, morale e psicologico. (Corrispondenza romana, 4-11-06)
Il CSM boccia il giudice anticrocifisso
Il CSM ha dichiarato il giudice Luigi Tosti non idoneo alla qualifica di magistrato di Cassazione perché, pur essendo capace, laborioso e diligente sotto il profilo professionale, gli difettano «la correttezza, il riserbo e l’equilibrio». A suo carico pende ancora il procedimento disciplinare relativo alla sua «scelta di non svolgere più attività di udienza fino a quando non vengano rimossi dalle aule di giustizia i crocifissi, e ciò pur avendo avuto la disponibilità di un’aula priva di ogni simbolo religioso». L’interessato reagisce, come prevedibile, dichiarando «significativa» per la decisione dell’organo di autodisciplina dei magistrati, «la circostanza che il CSM mi addebiti il fatto di non aver accettato l’offerta di seguitare ad espletare il mio lavoro, sino a pensionamento, nell’aula-ghetto che è stata amorevolmente allestita per me». Nel Tribunale di Macerata, dove Tosti continua a esercitare le sue funzioni, era stata predisposta un’aula di tribunale senza simboli religiosi. Ma lo scopo del protagonista era di togliere il crocifisso da tutte le altre e non ha accettato.
La British Airways “riabilita” il crocifisso, ma solo per soldi
La compagnia aerea britannica British Airways, che aveva licenziato una sua addetta al check-in perché rifiutava di nascondere sotto la divisa una catenina a cui era appeso un crocifisso, fa marcia indietro. Dopo lo scandalo suscitato dalla discriminazione, alla fine di novembre sono state riviste le politiche aziendali sull’argomento, concedendo alla dipendente e a quanti lo desiderino di portare sul bavero della giacca un piccolo crocifisso. Ad annunciarlo ufficialmente, il direttore generale delle linee aeree, Willie Walsh, a 24 ore dalla minaccia dell’arcivescovo anglicano di Canterbury, Rowan Williams, che aveva dichiarato la sospensione degli investimenti in titoli BA da parte della Chiesa anglicana, per un ammontare di 10,25 milioni di sterline (circa 14 milioni e mezzo di euro).
Verso gli altari un martire francescano di Mao Tse Tung
Fra Pascual Nadal, missionario francescano decapitato durante la guerra civile cinese del 1935, mentre doveva essere interrogato dal capo comunista Mao Tse Tung, è un caso di martirio sul quale si sta indagando con grande difficoltà, ammette il vicepostulatore delle cause dei santi dei francescani di Valencia, padre Benjamín Agulló. Anche se risulta difficilissimo trovare testimonianze orali o per iscritto, a causa degli ostacoli posti dal regime comunista di Pechino, la fama di santità di fra Pascual continua a diffondersi nella zona dove ha svolto il suo ministero. Fra Pascual Nadal Oltra nacque a Pego nel 1884 e fece il suo ingresso nell’ordine francescano nel monastero di Santo Spirito del Monte, a Gilet, a 21 anni. Mentre curava sua madre malata di lebbra nel sanatorio di Fontilles, fra Pascual chiese ai suoi superiori di essere inviato in Cina per far parte della comunità del lebbrosario nella valle tibetana di Mosimién, dove giunse nel 1930. Nel maggio 1935, il superiore del lebbrosario gli permise di abbandonarlo prima dell’arrivo di una colonna dell’esercito comunista di Mao Tse Tung, in fuga dai nazionalisti di Chiang Kai-Shek. Tuttavia fra Pascual, con altri tre francescani e tre suore decisero di rimanere. «Se i comunisti sono miei fratelli, perché devo fuggire da loro? Anch’io li amo e, uccidendomi, mi renderanno il servizio più grande. Essere martire e volare in cielo!», disse, secondo il suo biografo, il francescano valenciano José Miguel Barrachina Lapiedra. I francescani furono catturati e portati davanti a Mao Tse Tung, che li interrogò e liberò tutti, tranne due, fra Pascual e l’italiano fra Epifanio Pegoraro. Alcuni giorni dopo, il 4 dicembre 1935, un ufficiale comunista li decapitò con una spada.
PREMIO CULTURA CATTOLICA
«La sua opera ha saputo valorizzare il più potente mezzo di comunicazione di massa per una vasta diffusione dei valori della tradizione e della cultura cattolica». È questo uno dei motivi che ha spinto la Scuola di Cultura Cattolica di Bassano del Grappa ad assegnare, il 10 novembre scorso, la XXIV edizione del Premio Internazionale Medaglia d’Oro al Merito della Cultura Cattolica ad Ettore Bernabei. Direttore generale della Rai negli anni Sessanta e oggi presidente della casa di produzione Lux Vide, che ha dato e continua a dare a cinema e televisione tante opere premiate dall’apprezzamento del pubblico, Bernabei è entrato a far parte della lista di assegnatari del Premio composta da personalità di spicco del mondo della cultura (come il Patriarca di Venezia card. Angelo Scola, il fondatore di Comunione e Liberazione Luigi Giussani, gli scrittori Vittorio Messori ed Eugenio Corti, il card. Giacomo Biffi e l’allora card. Joseph Ratzinger) che proprio grazie al Premio hanno conosciuto l’associazione fondata nel 1981 dal sacerdote don Didimo Mantiero e oggi guidata dall’ing. Loris Marin. «Grazie a Lux Vide – recita la motivazione redatta dalla Giuria che assegna il riconoscimento, presieduta dal prof. Gianfranco Morra –, la tensione morale dei protagonisti della cristianità, il lato esistenziale dei grandi personaggi storici e il loro intimo confronto con il senso della vita umana sono tornati a conquistare il grande pubblico in racconti televisivi di amplissimo seguito». «Il mondo della comunicazione – ha dichiarato Bernabei durante la cerimonia di consegna, stuzzicato dalle domande di Vittorio Messori – è dominato da ideologie anticristiane», e in questo panorama «la stessa Lux Vide rappresenta una realtà anomala», perché la sua linea strategica è di «fare una televisione a misura dell’uomo».
«Viviamo in tempi in cui un gruppo minoritario di non credenti fa la televisione e la impone a una maggioranza di credenti. È un’ingiustizia, ma noi che facciamo?», si è chiesto Bernabei. E ha risposto: «Tutto comincia dalla cultura fatta e vissuta», e il primo passo per migliorare la situazione è “«investire sulla formazione dei giovani» per creare solide professionalità che attraverso la comunicazione di massa possano «cambiare in meglio il mondo». (Andrea Mariotto)
IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 – pag. 8 – 9