IL TIMONE n. 114 – anno 2012 –
NIGERIA: I VESCOVI «HANNO PERSO LA PAZIENZA»
«Quanto è accaduto va contro ogni logica. Quei ragazzi erano il nostro futuro, la nostra speranza. Cercavano di costruire un Paese migliore e sono stati uccisi». È lo sfogo di monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e Presidente della Conferenza episcopale nigeriana, raccolto da Aiuto alla Chiesa che Soffre dopo gli ultimi attentati anticristiani in Nigeria. Domenica 29 aprile, a Kano, in un teatro del campus dell’Università Bayero, alcuni studenti assistevano alla messa quando un commando armato ha prima lanciato delle bombe artigianali e poi ha aperto il fuoco. Hanno perso la vita in sedici e più di venti persone sono rimaste ferite. A Maiduguri, invece, i terroristi hanno sparato ad alcuni fedeli raccolti in preghiera nella cappella della Church of Christ. Cinque i morti. Gli attacchi non sono stati rivendicati, ma la setta islamica dei Boko Haram si è spesso servita di lattine in alluminio riempite di esplosivo come quelle usate a Kano. Per monsignor Kaigama, il dilagare delle violenze dimostra «l’incapacità del governo» di fronteggiare la minaccia terroristica, garantire la sicurezza e individuare gli autori dei crimini. «Il motivo per cui nessuno abbia ancora identificato i colpevoli – dichiara ad ACS – supera ogni immaginazione. Noi paghiamo le tasse ed abbiamo il diritto di sentirci protetti e sapere cosa sta succedendo ».Ha «perso la pazienza» anche l’arcivescovo di Abuja, monsignor John Onaiyekan, che ad ACS dichiara di ritenere il governo nigeriano «troppo frammentato per tirar fuori la volontà politica necessaria a risolvere la crisi». L’inedito tipo di terrorismo islamico rappresentato dai Boko Haram aveva inizialmente fornito alle autorità un’ottima giustificazione. «Abbiamo dato loro fiducia – continua il presule – ma ora hanno avuto abbastanza tempo per imparare a gestire la situazione, raccogliere informazioni sugli estremisti e prendere provvedimenti». (ACSItalia, 2/5/2012).
SIRIA: CRISTIANI CACCIATI DA HAMA
Una notizia preoccupante giunge dalla provincia di Hama, a nord di Homs: uomini armati hanno espulso tutte le famiglie cristiane del villaggio di Al Borj Al Qastal, in provincia di Hama. La notizia, diffusa da alcune agenzia internazionali, è confermata all’Agenzia Fides da fonti della Chiesa locale. Le fonti riferiscono che bande armate – nelle milizie del composito Esercito di liberazione siriano – sono penetrate nel villaggio, cacciando tutte le famiglie cristiane, prendendo possesso delle abitazioni e trasformando la chiesa del luogo in quartier generale militare. Il villaggio di Al Borj Al Qastal si trova nella provincia di Hama e accoglieva circa 10 famiglie cristiane, ora sfollate, vittime innocenti del conflitto in corso. (PA) (Agenzia Fides 12/5/2012).
BASTA STALIN
Era uno dei pochi luoghi dell’ex Unione Sovietica in cui Stalin veniva ancora celebrato. Ma da oggi anche Gori, la città natale del dittatore, vuole rinnegare il suo cittadino più conosciuto. E ha deciso di trasformare la casa- museo del leader in una galleria dei crimini commessi quando era al potere. A testimonianza delle purghe degli anni ’30 e di quell’arcipelago gulag che ha costellato l’Urss per decenni. La decisione è stata presa dal governo georgiano, indipendente da Mosca dal 1991, che da tempo si è mostrato filo occidentale soprattutto dopo la guerra con la Russia del 2008. Due anni fa era stata rimossa l’enorme statua in bronzo del dittatore che dominava la piazza di Gori dal 1952. «La città non può essere meta di pellegrinaggi di nostalgici», aveva detto Nika Rurua, il ministro della cultura georgiano. In effetti, la casa di Stalin è sempre stata un’attrazione molto visitata: ogni anno attirava più di 24mila persone, tra stranieri (19mila) e bambini in gita scolastica. A Gori gli anziani ricordano il baffuto leader come l’uomo che ha sconfitto il nazismo più che come un criminale. Forse dimenticando che, stando ai dati dell’associazione russa Memorial, Stalin ordinò la morte di almeno 724mila persone e fu il responsabile dei milioni di prigionieri costretti ai lavori forzati nei gulag. (Tgcom24, 5-5-2012).
PAKISTAN: OMICIDIO BHATTI SENZA COLPEVOLI
Le indagini sull’assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le Minoranze religiose ucciso con 30 colpi di pistola il 2 marzo 2011, non hanno registrato alcun progresso significativo. Nei giorni scorsi la polizia ha rilasciato il (secondo) presunto omicida, dopo aver emesso a suo carico un mandato di cattura internazionale e ottenuto l’estradizione da Dubai. Tuttavia, non sono emersi elementi significativi contro Zia ur Rehman ed egli ha potuto lasciare il carcere. Paul Bhatti, fratello del politico cattolico e attuale Consigliere speciale del premier per l’Armonia nazionale, a nome della famiglia e dell’intera comunità cristiana lamenta “l’insoddisfazione” per le indagini condotte sinora e il disinteresse nel punire i “veri responsabili” a oltre un anno dal crimine. In un’intervista ad AsiaNews Paul Bhatti non nasconde il disappunto per l’operato degli inquirenti e della magistratura, forse poco inclini a individuare i colpevoli della morte di Shahbaz: «Abbiamo visto l’arresto di Zia ur Rehman come un raggio di speranza – commenta – perché la polizia emette mandati di cattura internazionali sulla base di prove certe». L’attuale consigliere per l’Armonia nazionale non si spiega come «possano aver emesso la richiesta, se non esistevano elementi certi di colpevolezza». Egli si appella al governo, di cui è componente, manifestando tutto il «disappunto» sulle indagini e ribadisce l’intenzione di «continuare la battaglia iniziata da Shahbaz». (AsiaNews, 14/05/2012).
CANADA: LIBERTÁ IN PERICOLO
Con una Lettera pastorale sulla libertà di coscienza e di religione (aprile 2012), i vescovi del Canada denunciano che le violazioni della libertà religiosa, in particolare dei cristiani, drammatiche in tutto il mondo, sono all’ordine del giorno anche nel loro Paese. I vescovi – dopo avere offerto un riassunto del Magistero in materia di libertà religiosa – denunciano in particolare: 1) ordini dei medici che impongono ai medici che non intendono praticare l’aborto di fissare al paziente che lo richiede un appuntamento con un collega disposto a praticarlo; 2) farmacisti che non desiderano farlo costretti a vendere contraccettivi o pillole del giorno dopo; 3) in quattro Province (Colombia Britannica, Manitoba, Terranova, Saskatchewan) gli ufficiali di stato civile devono celebrare i matrimoni omosessuali oppure dimettersi dalle loro cariche pubbliche; 4) le «leggi antidiscriminazioni » – cioè, in concreto, la legge contro l’omofobia – sono usate per «violare la libertà religiosa» e «creare nuovi “diritti” individuali che prevalgono sul bene comune»; 5) in numerose località i simboli e le feste cristiane sono banditi dagli spazi e dalle scuole pubbliche, con il pretesto di non violare i diritti delle minoranze religiose ma in realtà seguendo l’ideologia di un «laicismo radicale». Giustamente, i vescovi fanno notare che la discriminazione nasce dall’intolleranza, dalla «derisione culturale sistematica» delle credenze religiose, del cristianesimo e della Chiesa Cattolica nei media, nella letteratura e nell’arte. L’analisi, affermano i presuli, non è sufficiente. Occorre che i cattolici mettano in atto una reazione «vigorosa» in campo culturale e politico. Ma, fino a quando non riusciranno a cambiare le leggi, i cattolici dovranno anche ricordare che alle leggi ingiuste non solo si può, ma si deve – sotto pena di peccato grave – disobbedire, «pronti a subire le conseguenze che comporta la fedeltà a Cristo», che si tratti della perdita del posto di lavoro o anche della persecuzione e del carcere.
SIRIA E LIBANO: CRISTIANI PREOCCUPATI
Gruppi radicali islamici soffiano sul conflitto siriano e vogliono contagiare il Libano: è l’allarme lanciato all’Agenzia Fides da p. Paul Karam, Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Libano. P. Karam, commentando i recenti scontri fra alawiti e sunniti in Libano, afferma: «Siamo molto preoccupati per due motivi: il flusso di rifugiati siriani continua nel Nord del Libano, inoltre il conflitto si sta propagando in Libano. Accade per interessi politici che calpestano i diritti umani, e per la fragilità del nostro paese, composito mosaico etnico-religioso. Si trova qui la componente determinante di movimenti fanatici islamici che soffiano sull’aspetto religioso, fomentando l’odio fra comunità». P. Karam ribadisce che «la violenza non ha mai risolto nulla: la strada per la riconciliazione è il dialogo, il rispetto dell’altro, il tenere a mente il bene del paese». Sul conflitto in Siria, p. Karam dice: «L’invio di Osservatori Onu è un atto di responsabilità della comunità internazionale. Ma occorre che non siano strumentalizzati a livello politico da nessuna delle parti in lotta. Speriamo sia una missione all’insegna della verità, della credibilità e della trasparenza. Solo così può contribuire alla pace». La situazione dei cristiani «resta molto preoccupante », afferma il sacerdote. «In Siria, i fedeli hanno libertà di fede e di testimonianza pubblica non garantite in altri Stati del Medio Oriente. Siamo preoccupati perché i cristiani, in quanto minoranza, sono il bersaglio più facile. Confratelli sacerdoti siriani ci dicono che la situazione è drammatica: vi sono in campo forze che vogliono trasformare il conflitto in guerra di religione, e questo sarebbe una tragedia». (PA) (Agenzia Fides 15/5/2012).
Commentando sul sito di Veritàe Vita( www.comitatoveritaevita.it16/ 5/2012)la “Marcia Nazionale per la Vita”, che ha radunato a Roma il 13 maggio scorso 15.000 persone, Mario Palmaro ha scritto: «(…) il popolo della vita che ha marciato compatto domenica a Roma fa paura: non è violento, è pacifico, è variegato, è trasversale, non risponde al comando di un unico leader o di un capo carismatico, ma appare coeso intorno al nocciolo duro della difesa di ogni vita innocente dal concepimento alla morte naturale. È un popolo disarmato ma irremovibile, cordiale ma refrattario a ogni compromesso». E ha concluso: «Da oggi inizia una nuova stagione per i pro-life italiani». Lo auspichiamo vivamente…
Emanuela Marinelli, esperta di caratura internazionale nel campo degli studi sulla Sacra Sindone, ha riferito che in un recente congresso dedicato al sacro Lino, svoltosi a Valencia, in Spagna, «sono emerse nuove prove dell’autenticità della Sindone: ad esempio la palinologa Marzia Boi ha identificato, fra i pollini presenti sulla Sindone, quelli di piante dalle quali si estraevano balsami e unguenti usati dagli Ebrei per le sepolture, come l’elicriso, il galbano, il laudano, il lentisco ». Ennesima conferma dell’autenticità del lenzuolo che ha avvolto il Signore appena deposto dalla croce. Infatti, conclude la studiosa: «Tutto converge verso quel sepolcro dove un cadavere, preparato secondo gli usi giudaici, restò solo per poche ore».
Da persona a parsona (Andrea Torniellii)
Prendendo spunto da un evento capitatogli in quel di Roma, dove talvolta risiede per via del suo lavoro, Andrea Tornielli ha scritto sul suo blog “Sacri Palazzi” (http://2.andreatornielli.it 16/5/2012): «I contenuti della fede sono importanti, ma ciò che fa la differenza tra un filmato, un testo scritto, un messaggio comunicato virtualmente, e la comunicazione tra le persone è la possibilità di entrare in relazione con chi hai davanti, di mostrare interesse per lui, magari per comunicare del messaggio evangelico proprio un accento che possa illuminare una situazione particolare della vita». È così: la fede si trasmette da persona a persona. Sarà bene far tesoro di queste parole, semplici ma non scontate, proprio ora che siamo alla vigilia dell’Anno della Fede, voluto da Benedetto XVI.
IL TIMONE N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 10 – 11
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