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12.12.2024

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Noi e l’lslam
31 Gennaio 2014

Noi e l’lslam

 

 

 

DOBBIAMO TESTIMONIARE LA GRANDEZZA SUBLIME DEL FIGLIO DI DIO

 

 

 

Alcuni lettori mi chiedono chiari menti sul fenomeno lslam, spinti anche dalle sconcertanti apparizioni televisive di un certo Adel Smith, cittadino italiano, musulmano, il quale – in verità – rappresenta poco più che se stesso, forse una dozzina di seguaci, che però trova ampio spazio nei mass media, grazie alle leggi dall’audience che premiano la volontà provocatrice, la pochezza intellettuale e le ripugnanti bestemmie nei confronti di Dio, quello vero, quello del Cristianesimo, proferite dal suddetto leader musulmano.
Ricordo che il Timone ha dedicato un dossier alla difficile convivenza tra lslam e Cristianesimo (il Timone n. 19); qui ho spazio solo per qualche pensiero, forse anche banale.
Come comportarci con i musulmani in Italia non è questione semplice. I seguaci di Maometto, che non sono tutti uguali, vivono tra noi e, da quel che si può prevedere, ci staranno a lungo. Con loro dobbiamo convivere, questo è indubbio.
Tuttavia, convivere a un cattolico non basta, ferma restando la missione di convertirli alla vera religione. Ma come far loro conoscere, apprezzare e seguire Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è un problema insoluto, anzi, irrisolvibile senza l’aiuto del Cielo.
Il Concilio Vaticano II invita a guardare “con stima” i musulmani che adorano l’unico Dio (Nostra Aetate, n. 3). Ciò non impedisce di chiedersi come i musulmani guardano noi cattolici ed esigere da loro, con serena fermezza, almeno altrettanta “stima”, perché umanamente non si può dare pacifica convivenza senza reciprocità di vantaggi.
Giovanni Paolo II ha teso molte volte la mano ai musulmani. Quando e dove possibile, nei suoi viaggi apostolici il Papa ha voluto incontrare i rappresentanti di quella religione e ha invitato a reciproco rispetto e comprensione.
In occasione di un discorso tenuto ai giovani radunati in uno stadio di un Paese arabo, il Papa parlò di Cristo e non nascose di esserne il Vicario, dandoci un esempio di come si possa esporre la Verità senza nulla tacere e senza offendere l’interlocutore.
Conoscere l’lslam è importante per l’annuncio della vera fede e per l’evangelizzazione. Anche in questo ci soccorre il Santo Padre, per il quale l’lslam è un impressionante “allontanamento da dò che Dio ha detto di Se stesso, prima nell’Antico Testamento per mezzo dei profeti, e poi in modo definitivo nel Nuovo per mezzo del Suo Figlio” (Varcare la soglia della speranza, p. 103).
Questa limpida constatazione racchiude, implicitamente, alcuni punti che, soprattutto nel caso di un dialogo con i maomettani, dobbiamo tenere per fermi.
Maometto non è stato un profeta inviato da Dio e non ha ricevuto alcuna rivelazione divina. Quindi, il Corano è libro sacro per i musulmani, non per noi. La cosa potrà loro dispiacere, convinti come sono del contrario e forse penseranno che in ciò noi manchiamo di rispetto. Ma qui il rispetto non c’entra. Si ricordi, tra l’altro, che per i seguaci di Maometto i nostri. Vangeli non sono libri sacri, perché alterati dai cristiani. Maometto fu uomo di indubbie capacità, ma si è inventato una religione con la quale ha aggregato certe tribù dell’Asia e le ha condotte, anche attraverso razzie, assalti, guerre e stragi, ad occupare terre ed eliminare nemici.
L’lslam dunque non è religione rivelata, quanto piuttosto “religione” creata.
Dobbiamo pregare per la conversione dei musulmani e mostrare loro la bellezza, la superiorità e la credibilità della fede cattolica. Dobbiamo testimoniare la grandezza sublime del Figlio di Dio, neppure lontanamente paragonabile a Maometto.
Non sappiamo se ciò sarà sufficiente per la loro conversione, ma è un dovere cui non possiamo sottrarci.
Ma dobbiamo pregare anche per noi italiani, cattolici senza nerbo, timorosi, privi di convinzione.
Come potremmo spiegare che c’è un solo Dio, Padre Figlio e Spirito santo, e una sola religione vera, quella cristiana, e una sola Chiesa, quella con a capo il Papa, se i primi a dubitarne siamo noi?

 

 

IL TIMONE N. 23 – ANNO V – Gennaio/Febbraio 2003 – pag. 3

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