Il timone n. 11 – anno 2001 –
Che Guevara.
In molte manifestazioni indette per condannare la pena di morte, si vedono bandiere rosse con l’effigie di Che Guevara, il guerrigliero che collaborò con Fidel Castro ad instaurare a Cuba, nel 1959, un regime comunista. Ma Che Guevara non era affatto contrario alla pena capitale. Il Libro nero del Comunismo, scritto da insospettabili storici di sinistra, ci informa che il barbuto guerrigliero, il quale gode di una certa stima, purtroppo, anche tra giovani cattolici, “nominato comandante di una ‘colonna’ si fa presto notare per la sua durezza: un ragazzo, un guerrigliero della sua unità, che ha rubato un po’ di cibo viene fucilato immediatamente, senza alcun processo” (p. 609). Non solo: per qualche tempo, Che Guevara esercitò la funzione di ‘procuratore’ e a lui venivano rivolte le domande di grazia dei condannati a morte. Sotto la sua responsabilità, la prigione della Cabana diventa luogo di innumerevoli esecuzioni capitali, specie di suoi compagni d’arme che si erano conservati democratici. Non solo: nel suo testamento si può leggere un elogio dell’odio che ‘rende l’uomo un’efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere’.
Padre Pio.
Molti tra i più straordinari prodigi attribuiti a Padre Pio, tutti storicamente documentati, furono compiuti durante o subito dopo la seconda Guerra Mondiale. Ne da notizia Rino Cammilleri, nel suo Vita di Padre Pio (Piemme Pocket, 1999), dove si può leggere, tra molte altre cose strabilianti, che Padre Pio assicurò al pretore di San Giovanni Rotondo, Giovanni Pennelli, che sarebbe tornato dalla guerra “fregiato ma non sfregiato”. Il senso di tale profezia fu chiaro qualche tempo dopo, quando la nave su cui costui era imbarcato venne affondata, lui ferito e imprigionato in India. La ferita non lasciò tracce (come aveva previsto Padre Pio) e Pennelli ricevette poi una decorazione (come previsto…). Non solo. La madre, che non riceveva notizie, scrisse una lettera che fece benedire da Padre Pio. Postala su un comodino, la lettera sparì misteriosamente. Quindici giorni dopo arrivò la risposta dall’India.
Insorgenze.
Il fenomeno delle insorgenze, con il quale si indica la reazione dei popoli di Italia nei confronti degli ideali illuministici anticristiani della Rivoluzione Francese, giunti in Italia sul finire del secolo XVIII, fu uno dei momenti più coinvolgenti e – purtroppo – più dimenticati della nostra storia. Da Nord a Sud, centinaia di migliaia di popolani, spinti dalla fede e dal desiderio di difenderla, si mobilitarono per respingere l’invasore d’Oltralpe e i suoi complici nostrani. Lo storico Massimo Viglione, nel suo Le Insorgenze. Rivoluzione e Controrivoluzione in Italia: 1792-1815 (Ares 1999), ci informa che più di 300.000 italiani insorsero in armi e che almeno un terzo di essi morì, opponendosi ai francesi i quali, ovunque giungevano, vuotavano le casse dell’erario, profanavano chiese e conventi e cose sacre, imponevano tasse, perseguitavano vescovi e sacerdoti e perpetravano stragi ed eccidi contro gli insorgenti.
Purtroppo, questa autentica “resistenza” popolare contro l’invasore non trova spazio nei nostri libri di testo. Forse perché a insorgere furono i popoli cattolici e gli invasori quegli illuministi padri della cultura moderna?
URSS.
Nel 1941 l’Unione Sovietica e il Giappone, poi alleato di Hitler, firmarono un patto di non aggressione, rispettato per quasi tutta la seconda Guerra Mondiale. Ma l’8 agosto 1945, due giorni dopo il bombardamento atomico su Hiroshima, l’URSS dichiarò guerra al Giappone, ormai in ginocchio. L’Armata Rossa mise in fuga e catturò centinaia di migliaia di soldati nipponici. I prigionieri furono condannati ai lavori forzati, ridotti in schiavitù, adibiti alla costruzione di intere città e ferrovie o all’abbattimento di alberi nell’immensa Siberia. A guerra ormai conclusa, dal 1945 fino al 1955, circa mezzo milione di giapponesi morì di stenti nei campi di concentramento sovietici.
Inquisizione.
Lo storico Luigi Firpo, che fu uno degli massimi esponenti della cultura neo-illuminista, certamente non benevola verso la Chiesa Cattolica, intervistato da Vittorio Messori sull’Inquisizione, oggetto dei suoi studi, affermava che, contrariamente a quanto si crede, davanti ai tribunali dell’Inquisizione finirono generalmente non paladini del libero pensiero incolpati per reati di opinione, ma autentici delinquenti comuni, che sarebbero considerati degni di pena anche ai nostri giorni.
Nelle celle dell’Inquisizione romana, stando a Firpo, pur soggette a regolamenti severi ma non disumani, era addirittura previsto che lenzuola e federe si cambiassero due volte alla settimana, che una volta al mese i cardinali responsabili dovevano ricevere i prigionieri per sapere di che cosa avessero bisogno. E porta l’esempio di un detenuto friulano il quale chiese di avere birra al posto del vino. Non riuscendo a trovare la bevanda richiesta a Roma, il cardinale offrì una somma di denaro al detenuto perché provvedesse ad acquistarla e farsela spedire dalla sua terra.
IL TIMONE N. 11 – ANNO III – Gennaio/Febbraio 2001 – pag. 21