Il Timone n. 39 – anno 2005 –
MARTIRE DEL COMUNISMO
La sera del 19 ottobre 1984, il sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, grande amico del leader di Solidarnosc Lech Walesa, noto in tutta la Polonia per le messe "pro Patria", cele-brate l'ultima domenica di ogni mese nella parrocchia di san Stanislao Kotska, a Varsavia, fu rapito brutalmente da quattro uomini del ministero degli interni. Il suo cadavere fu ritrovato nella acque di un lago artificiale il 30 ottobre. C'erano lividi in tutto il corpo, aveva le mani coperte di ferite, come se avesse cercato di proteggersi il capo dai colpi. Aveva la bocca maciullata e il cuoio capelluto strappato intorno alla fronte. Sul collo si vedeva un solco violaceo perché, come si seppe, gli assassini prima di gettarlo in acqua da venti metri, gli avevano legato al collo, con una corda, un sacco di pietre. Sulla cassa di legno di quercia, disadorna e nuda, in cui venne deposta la salma, vi era una targa di ferro, che diceva: «Corpo di Jerzy Popieluszko. È vissuto trenta sette anni, dodici come prete. È morto nel 1984».
Tra le raffigurazioni catacombali che testimoniano come il culto mariano sia da far risalire a data antichissima, spicca quella del cimitero di Priscilla, sulla via salaria Nuova, a Roma. Raffigura la Vergine Madre che stringe al petto il piccolo Gesù. L'opera è databile al secondo secolo ed è quindi di un valore apologetico, oltre che artistico, di primaria impor-tanza. Vi si legge infatti la Fede nell'incarnazione del Verbo e nella divina Maternità di Maria dei cristiani che vissero nel tempo immediatamente successivo quello degli Apostoli, dunque prima che queste verità fossero state definite e proclamate dal magistero ecclesiastico. Della regalità di Maria parla il prezioso saggio di Brunero Gherardini, Sta la Regina alla tua destra (Edizioni Vivere In).
La credenza nell'esistenza del Purgatorio, provata nella Sacra Scrittura e negata dal mondo protestante, è attestata fin dai primi tempi della Chiesa. Da sempre si è pregato per le anime dei defunti, fatto inspiegabile senza la convinzione di poterle aiutare con suffragi, poiché necessitavano di una ulteriore purificazione prima di accedere al Paradiso. Abercio, vescovo di lerapoli, in Asia Minore, compose nel secondo secolo, il suo epitaffio, ove si legge: «Queste cose dettai direttamente io, Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, preghi per Abercio». Dunque, Abercio invita coloro che visiteranno la sua tomba a pregare per lui, quindi per la sua anima. Siamo di fronte ad una antichissima testimonianza che prova come la Chiesa primitiva, la Chiesa dei primi secoli, credesse al Purgatorio e alla necessità di pregare per le anime dei defunti.
È accertato come la procedura inquisitoriale abbia fatto ricorso alla tortura (peraltro comu-nemente impiegata da ogni tribunale laico del tempo) per strappare confessioni agli accu-sati. È altresì accertato che essa impiegò la tortura non certo con quella crudeltà esage-rata che i suoi avversari le attribuiscono, bensì con le più grandi precauzioni e in casi del tutto eccezionali. I Papi ripeterono a più riprese che la tortura non doveva mai essere spinta fino alla perdita di un membro e ancor meno fino alla morte. Disposizioni, queste dei pontefici, che, non facciamo fatica ad immaginare, avrebbero fatto sorridere i giudici e gli aguzzini dei tribunali nazionalsocialisti e comunisti dell'epoca moderna. Che la tortura inquisitoriale fosse impiegata rarissimamente lo dimostrano alcuni dati: nelle 636 sentenze iscritte nel registro di Tolosa dal 1309 al 1323 si trova un solo caso. E su 2354 processi, celebrati a Valencia tra il 1478 e il 1530, cioè all'epoca del maggior rigore inquisitoriale spagnolo, la tortura risulta attuata solo in 12 casi. Si legga il bel libro Elogio della Inquisizione, di Jean Baptiste Guiraud (Leonardo Mondadori), con invito alla lettura di Vittorio Messori.
S. Teresa d'Avila (1515-1582) riferisce nella sua autobiografia una esperienza mistica strabiliante. Un giorno, le apparve un angelo che le trafisse il cuore più volte con un dardo d'oro, la cui punta di ferro pareva infuocata. Pochi giorni dopo la morte della santa, avvenuta il 4 ottobre 1582, il suo cuore fu estratto e, incorrotto, si conserva fino ad oggi esposto in un recipiente di cristallo alla venerazione dei fedeli, nella chiesa del convento delle Carmelitane di Alba de Tormes. Bene, sul cuore si possono vedere i segni del ferimento operato dall'angelo, che non fu dunque solo spirituale ma anche corporale. Tra questi segni, si segnala una grossa ferita lunga circa cinque centimetri e molto profonda, ai cui bordi si riconoscono segni di ustioni. Ci si chiede: come ha ricevuto santa Teresa queste ferite durante la sua vita? Come ha potuto continuare a vivere nonostante quella ferita certamente mortale? Come si spiega la sorprendente concordanza tra il resoconto scritto di suo pugno di quell'esperienza mistica e il risultato dell'esame del cuore estratto dopo la morte? Davvero queste sono cose che solo Dio può fare.
IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 25