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15.12.2024

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Non tutti sanno che…
31 Gennaio 2014

Non tutti sanno che…

Il Timone n. 127 – anno 2013 –


FAVORI ALLA CHIESA

I cristiani ortodossi lo venerano come santo, la Chiesa cattolica no. Di certo, l’imperatore Costantino – ci ricordano Andrea Tornielli e Andrea Gianelli, curatori di un libro-intervista con quattro studiosi di storia antica di diverso orientamento: Alfredo Valvo, Alberto Barzanò, Arnaldo Marcone e Giorgio Bonamente – favorì la Chiesa: oltre al famoso Editto (313), riconobbe ai cristiani la facoltà di dare libertà a uno schiavo davanti a un vescovo, e al clero il diritto di farlo anche verbalmente e senza testimoni; concesse ai vescovi la facoltà di giudicare cause civili su richiesta delle parti; stabilì la domenica, giorno sacro per i cristiani, come giorno festivo di astensione dal lavoro; riconobbe il diritto di lasciare alla Chiesa per testamento i propri beni e protesse i cristiani convertiti dal giudaismo affinché non venissero perseguitati dagli ebrei; stabilì multe e pene corporali per chi costringeva i cristiani a sacrificare agli dèi pagani e incentivò costruzioni di basiliche. Ma – ricordano i curatori – Costantino fu anche autore di episodi drammatici: fece uccidere il figlio Crispo, il nipote Liciniano e affogò la moglie Fausta. Insomma, un personaggio complesso.


QUANDO ESORCIZZARE

La Chiesa offre ai sacerdoti esorcisti i criteri di giudizio per evitare di scambiare per possessione diabolica una qualche patologia psicologica. I sacerdoti Gianni Sini e Marcello Stanzione, nel bel libro “Che diavolo sei? Un esorcista e un demonologo a confronto” (Sugarco 2013), ricordano che un esorcista può procedere alla celebrazione dell’esorcismo in forma imperativa se è moralmente certo che la persona da esorcizzare sia veramente posseduta dal demonio. Inoltre, per quanto sia possibile, l’esorcista deve procedere con il consenso della stessa persona. Tra i segni della possessione, ricordano gli autori, si possono considerare: parlare correttamente lingue sconosciute e capire chi le parla; rivelare cose occulte e lontane; manifestare forze superiori all’età o alla condizione fisica. Questi, però, potrebbero anche rivelarsi come indizi, occorre fare dunque attenzione ad altri segni: una forte avversione a Dio, a Gesù, a Maria, ai Santi, alla Chiesa, alla Parola di Dio, alle realtà sacre, soprattutto ai sacramenti e alle immagini sacre.


CONTRIZIONE E PENTIMENTO

Una delle cose richieste perché la Confessione sacramentale dei propri peccati sia valida è la “contrizione”. Nella Somma teologica, il grande san Tommaso d’Aquino spiega che la contrizione è il dolore dei peccati commessi con il proposito di confessarli e di farne la penitenza. Quanto è maggiore il male commesso, tanto maggiore deve esserne il dolore d’averlo commesso. E ci si deve pentire dei peccati perché sono offesa a Dio: poiché un peccato può essere una offesa maggiore di un altro, di questo dobbiamo pentirci più che dell’altro.


FALSE CONTRAPPOSIZIONI

Nella relazione tenuta al III Convegno di “Giovani e Tradizione e “Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum”, svoltosi a Roma dal 13 al 15 maggio 2011, il card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha denunciato che in ampi settori della Chiesa si è imposta una convinzione secondo la quale la Riforma liturgica post conciliare va considerata come una rottura con la tradizione della liturgia cattolica e come una nuova creazione. Rottura che si sarebbe verificata in quattro campi: Eucaristia come cena (Novus Ordo) o come sacrificio (Vetus Ordo); il sacerdote come soggetto della liturgia (VO) o l’assemblea (NO); la partecipazione (NO) o l’adorazione (VO); l’importanza centrale della comunità (NO) o la portata cosmica del sacrificio eucaristico (VO). Nella relazione, ora disponibile negli Atti del convegno, al quale hanno partecipato eminenti studiosi della liturgia, e pubblicati con il titolo Il Motu Proprio “Summorum Pontificum” di S.S. Benedetto XVI (Fede & Cultura, 2013), il cardinale Koch offre una lettura corretta della intera questione.


A SUD LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Si può dire che la rivoluzione industriale italiana cominciò nel Regno delle Due Sicilie? Senza alcun dubbio, sostiene lo studioso Orlando Fico, autore del bel volume Bugie, omissioni, crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano (il Calamaio, 2012). Il Regno meridionale era uno Stato ricco: subito dopo la conquista di Garibaldi ben 443 milioni del Regno furono trasferiti a Torino; a Pietrarsa (Napoli) erano già in funzione le grandiose fabbriche di locomotiva che avevano tra gli acquirenti anche il Regno piemontese, che costruì la sua prima ferrovia, ma per scopi militari, ben 15 anni dopo Napoli; a Mongiana, vicino a Serra San Bruno, in Calabria, sorgevano le Reali Ferriere e Fabbrica d’Armi dei Borbone, il più grande stabilimento siderurgico d’Italia, fondato nel 1770, che occupava oltre 1500 addetti, impianto che dopo l’unificazione venne smantellato, mentre si favorì lo sviluppo dell’Ansaldo di Genova Sampierdarena, nata nel 1853, ottant’anni dopo. Un libro ricco di dati interessanti… e sconosciuti.


IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 25

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