Da quarant’anni legge e rilegge i Vangeli, e sempre con lo stesso entusiasmo. Le sottigliezze della ricerca esegetica non l’hanno inaridito, tutt’altro. Così don Bruno Maggioni è uno dei più noti (e più umili) biblisti italiani: ha scritto decine di libri, insegna e tiene conferenze in tutta la Penisola, però il sabato e la domenica torna sempre nella sua piccola chiesa sul lago di Como, a fare il parroco.
E ogni domenica, don Maggioni, il Credo ci invita a professare che Cristo «patì sotto Ponzio Pilato»: quasi a indicare che il sacrificio di Gesù ha un significato anche storico, una data precisa; che è un fatto di cronaca, insomma.
«Questo è un dato molto importante. Starei per dire che, se mancasse la storicità, non ci sarebbe più l’originalità cristiana. Se riducessimo la Passione a una parabola, ad esempio, sarebbe tutto diverso; invece Gesù Cristo si è fatto uomo ed è morto davvero. In parole più pompose: l’evento storico costituisce l’originalità del cristianesimo rispetto alle altre religioni».
Addirittura. Ma anche Buddha, o Maometto, hanno basi storiche…
«Certo. Però le loro religioni sono una dottrina su Dio, spiegano che cosa l’uomo deve fare: ma nessuna racconta che cosa Dio in persona ha fatto come uomo e per l’uomo nella storia. Ciò che è bello nel Vangelo è ciò che Dio ha compiuto per l’uomo: il che costituisce anche lo scandalo del cristianesimo».
Quali sono gli elementi storicamente certi che si possono ricavare dai Vangeli della Passione?
«Il ventaglio dei particolari può essere più o meno ampio. Ma anzitutto i racconti della Passione, tra le cose narrate dai Vangeli, sono quelli più largamente accettati anche dalla critica storica più accanita. Così nemmeno per i non credenti ci sono ragioni per dubitare dei dati sostanziali della Passione. I quali sono molto documentati e ambientati storicamente; chi mai avrebbe inventato un Figlio di Dio che muore sulla croce, ad esempio? Infatti la crocifissione nessuno ormai la mette in dubbio. Sul motivo della condanna di Cristo, invece, c’è chi accentua la responsabilità del sinedrio ebraico (quindi una ragione religiosa) mentre altri mettono l’accento sulle colpe dell’autorità romana (dunque le cause politiche)».
In effetti su vari particolari della crocifissione si sono accaniti diversi interpreti: qualcuno ha sostenuto che Gesù venne impalato, per esempio, o che la sua fu solo morte apparente, eccetera… Ma tutti, prima o poi, hanno dovuto cedere le armi alla lettera dei Vangeli: che sembra ancor oggi la più vicina alla realtà storica.
«È vero, oggi gli studiosi divergono solo su alcuni particolari della Passione, per esempio intorno al modo in cui Gesù fu crocifisso (inchiodato o legato?). Però sottolineare troppo la lettera dei Vangeli mi allarma un po’: i Vangeli dicono l’evento, non i particolari, che sono al servizio del significato dell’evento. Prendiamo Marco: non dice nulla della crocifissione in sé; “E lo crocifissero», punto.
Poi si dilunga in particolari come quelli relativi ai due ladroni o al cartello sulla croce; perché? Perché vuole cercare dei riferimenti nell’Antico Testamento, immagini che parlino ai destinatari del suo Vangelo».
Duemila anni di storia hanno poi incrostato la Passione di molti dati poco cronistici, però cari alla devozione popolare: la Veronica, le tre cadute sul Calvario, gli strumenti della Passione, la Madonna dei sette dolori, eccetera. Come dobbiamo interpretarli?
«Un po’ di distinzione tra vero e falso ci vuole, ma non in senso storicistico: io separerei ciò che è vero perché ha un significato inerente al Crocifisso e ciò che non c’entra. Le tre cadute, ad esempio, non sono mai citate dai Vangeli, però servono a esplicitare la fatica e il dolore reali di Cristo. Insomma, la devozione popolare fa come un artista, che abbellisce la verità e comunque esprime sentimenti veri».
Dal Medioevo in poi, e soprattutto con la Controriforma, nel racconto della Passione si è evidenziata soprattutto la sofferenza: basta guardare certi Crocifissi torturati e piegati dal dolore. Negli ultimi decenni, invece, tale sottolineatura si è attenuata fin quasi a scomparire. La storicità della morte di Cristo fa dunque paura?
«Sono convinto che da una parte c’è un rifiuto della sofferenza, un’impazienza di mettere in luce la gloria della risurrezione. Guai se quest’ultima non ci fosse; a tempo debito, però. Poi c’è una certa difficoltà a vedere Cristo uomo fino in fondo, fino a soffrire davvero.
I sentimenti del Getsemani o del Calvario ci sembrano troppo umani, perché Cristo doveva morire “da eroe” e non da uomo… Si crede così di dare più dignità al Crocifisso. Io invece difendo l’umanità della crocifissione: Gesù ha vissuto persino l’esperienza di sentirsi abbandonato da Dio, dunque si è veramente incarnato».
Lo scandalo della croce continua: dai romani che disegnavano per scherno il Crocifisso con la testa d’asino, a Adel Smith che parla di un «cadaverino» crocifisso… E in fondo ha ragione: perché lo «scandalo» di un Dio crocifisso non dobbiamo dimenticarlo mai.
«E dunque non meravigliamoci se la croce scandalizza, fatto salvo il dovere di far valere i nostri diritti. Ma la croce è uno scandalo che è sapienza: in realtà, il Figlio di Dio ha condiviso l’esperienza di un mondo rovinato, senza farne cessare il male per miracolo.
Come dire che Dio condivide la sorte dell’uomo e lo salva dal di dentro».
Michael Novak, il teologo conservatore più noto d’America, ha detto del film di Mel Gibson sulla Passione di Cristo che esce nelle sale proprio il mercoledì delle Ceneri: «Non avrei mai creduto che un essere umano potesse soffrire così».
«Anche in questo Cristo è stato il primo degli uomini. Però non è necessario protestare l’eccezionalità di Gesù persino nel dolore. Mi basterebbe l’umiltà di dire che ha sofferto come ogni vero uomo. Ha avuto paura di morire, come me: e questo mi piace molto».
LA PASSIONE DI CRISTO
«Giunti a un luogo detto Golgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo quindi crocifisso, si sparitrono le sue vesti tirandole a sorte. E sedutisi, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: “Questi è Gesù, il re dei Giudei» (Matteo 27,33-35).
Dossier: La Passione di Cristo? E’ storia vera
IL TIMONE – N. 31 – ANNO VI – Marzo 2004 – pag. 42 – 43