Nel Paese all’estremo nord dell’Europa i cattolici stanno vivendo un boom, proprio là dove sono stati banditi per secoli dalla vita pubblica. Grazie all’immigrazione ma anche a numerosissime conversioni. E sulle rovine dei monasteri medievali rinasce la vita contemplativa
C’è una Chiesa nell’Europa scristianizzata che sta vivendo un boom. La cosa può stupire anche perché non si trova nel sud latino, ma in quel nord dove la secolarizzazione è dura e fredda come il ghiaccio, in Norvegia. Una Chiesa defilata e fuori dai riflettori, ma che nel suo piccolo ha da insegnare qualcosa al resto del continente.
I cattolici nel Paese dei fiordi erano appena 6mila nel 1966, 40mila nel 1996 e nel 2013 se ne contano 110mila registrati ufficialmente, ma secondo le stime più accreditate il numero reale è di almeno 200mila, su una popolazione di 5 milioni. La registrazione è un atto anagrafico, come in Germania, che comporta una tassazione aggiuntiva per finanziare le attività di culto della comunità religiosa di appartenenza. Molti non si dichiarano cattolici di fronte allo Stato o per il risicatissimo budget familiare – si tratta di immigrati – o perché arrivati da poco e incerti sul loro futuro o non bene al corrente delle norme vigenti. L’espansione della Chiesa è dovuta per il 70%, appunto, all’immigrazione, attirata soprattutto negli ultimi 20 anni dalla ricchezza di un Paese fra i primi posti al mondo per tenore di vita. Qualcuno dirà, scrollando le spalle, che così è facile crescere. Vero, ma il fenomeno si presta a una considerazione sui misteriosi disegni della Provvidenza. Sono innumerevoli i casi in cui l’emigrazione prodotta da carestie o disoccupazione endemica si è rivelata il più potente vettore di evangelizzazione, ottenendo un risultato che sarebbe stato irraggiungibile con gli sforzi missionari. Un esempio evidente è quello degli Stati Uniti. Se oggi quasi un quarto degli americani è cattolico lo si deve soprattutto all’esodo di irlandesi nell’800, di italiani nella prima metà del ’900 e di latinos dal Messico e dal Centroamerica negli ultimi decenni.
In Norvegia è avvenuto in piccolo una cosa simile, con un’immigrazione da Paesi con un cattolicesimo ancora vibrante: Polonia in primis, circa il 50% del totale, ma anche Vietnam, Filippine, Sri Lanka e altri. Nella cattedrale di Sant’Olav a Oslo vengono celebrate ogni domenica ben 13 messe, in più lingue. Questa concentrazione di nazionalità in una comunità così piccola fa sì che sia visibile a occhio nudo l’universalità della Chiesa in una realtà che ha conosciuto solamente un cristianesimo di Stato. Lo sviluppo della Caritas o di servizi di assistenza per i bisognosi come il Fransiskushjelpen, gestito dai francescani, hanno reso la Chiesa anche un esempio di solidarietà, particolarmente apprezzato in un contesto di individualismo tipicamente scandinavo.
Attratti dal magistero di Roma
Se gli immigrati rappresentano circa il 70% dei cattolici, il resto è composto da norvegesi anche di origine. E la quasi totalità sono convertiti o figli di convertiti. La Chiesa cattolica è stata bandita per tre secoli dopo la Riforma, dal 1537 al 1843. Ufficialmente i cattolici scomparvero, in realtà alcuni continuarono a professare la propria fede nel segreto, pur senza clero e missionari, una storia eroica che aspetta ancora di essere indagata e scritta. Questi gruppi di resistenti finirono comunque per spostarsi negli Stati Uniti (oggi nel Midwest, tra Nebraska, Wisconsin e Minnesota, sono ancora rintracciabili numerose famiglie cattoliche con cognomi norvegesi) per cui a metà del XIX secolo la Chiesa cattolica era res nulla e l’anticattolicesimo diffuso ne impedì per decenni la rinascita.
Il sentimento collettivo è cambiato nel ’900 soprattutto grazie e due figure. Innanzitutto la scrittrice Sigrid Undset (1882-1949), premio Nobel per la letteratura nel 1928, che abbracciò il cattolicesimo dopo una crisi esistenziale a ridosso della prima guerra mondiale. Una decisione, la sua, che destò scandalo ma che lasciò un segno, essendo un’autrice tuttora molto amata in patria. Poi fu la volta di Hallvard Rieber- Mohn (1922-1982), figlio di un affermato giornalista e zio di un giudice della Corte suprema, che si fece domenicano dopo gli studi universitari a Parigi. Teologo e saggista, fu il primo cattolico, per di più frate, a prendere parte al dibattito pubblico norvegese, ospitato spesso da radio e tv. Le conversioni, che si sono susseguite alla spicciolata fino agli anni ’60 e ’70, sono aumentate parallelamente al dissolvimento nel secolarismo della chiesa luterana. Si può citare quella di Erik Morstad, biblista, approdato al cattolicesimo nel 1974 e che nel 2000 ha pubblicato un libro sulla sua vita con la prefazione del cardinale Ratzinger, purtroppo tradotto solo in Germania. Quella nel 2003 di Ola Tjørhom, teologo luterano di punta, impegnato nel movimento ecumenico. O quella dell’attuale vescovo di Oslo, Bernt Eidsvig, un passato anche lui da giornalista, imprigionato in Russia negli anni ’70 durante un viaggio per incontrare alcuni dissidenti sovietici. Con
versioni che non hanno riguardato solo luterani, ma anche agnostici o comunque persone lontane dal cristianesimo. Come Per Kværne, storico delle religioni e tibetologo, ordinato sacerdote, e Hans Fredrik Dahl, storico, autore di un’importante biografia di Vidkun Quisling, passato in gioventù per il marxismo. Queste conversioni hanno spesso una caratteristica comune: l’alto profilo culturale dei protagonisti. Il motivo l’ha spiegato in un’intervista Janne Haaland Matláry, docente universitaria di relazioni internazionali, già al servizio del ministero degli esteri norvegese e rappresentante della Santa Sede alla conferenza dell’Onu sulla donna a Pechino, nel 1995, anche lei arrivata al cattolicesimo dopo un percorso “provvidenziale”: «Nell’ambiente universitario sono molti quelli che conoscono la Chiesa attraverso i loro studi, come è capitato a me, e sono attirati dalla bellezza della cultura che ha prodotto e dalla profondità della sua dottrina». Personalità che di fronte al relativismo dominante restano in cerca della verità e la trovano nella Roma eterna. È di poche settimane fa l’annuncio che la Conferenza episcopale scandinava ha intenzione di aprire un’accademia che sia un punto di riferimento per le intelligenze che hanno scoperto il cattolicesimo e l’hanno fatto proprio – in Norvegia soprattutto, ma anche in Svezia, Finlandia e Danimarca – e che sia un centro di elaborazione culturale di eccellenza.
Il fascino della vita contemplativa
L’altro fattore che ha suscitato attenzione e favore per la Chiesa, e in non pochi casi vocazioni, è stato il diffondersi delle esperienze di vita contemplativa. C’è un feeling misterioso tra i norvegesi e i monaci, ma soprattutto le suore di clausura. Qualcosa che ricorda quello dei russi con gli starets ortodossi. Nel 1998 è stato aperto il Carmelo più a nord del mondo, a Tromsø, da una comunità di religiose provenienti dal Carmelo d’Islanda. Oggi sono in 14, di cui 12 polacche e 2 norvegesi.
Sull’isola di Tautra, vicino a Trondheim, nei pressi delle rovine di un monastero medievale, un gruppo di suore trappiste dagli Stati Uniti più due consorelle norvegesi hanno fondato un’oasi di spiritualità tra lande desolate quanto affascinanti. Bussano alla porta di questi focolari mistici – si potrebbero citare anche le clarisse e le domenicane – sempre più persone, alla ricerca di un consiglio, di un orientamento esistenziale.
Carità, dottrina, vita contemplativa, ossia preghiera: sono questi alla fine i tre pilastri su cui si sta edificando una Chiesa giovane, che guarda al futuro con ottimismo. Ne è convinto padre Haavar Simon Nilsen, domenicano, anche lui un convertito e oggi cappellano all’università di Oslo. È entrato nell’ordine dei frati predicatori pressappoco insieme ad Arnfinn Haram, un altro convertito che in poco tempo è diventato un personaggio, con la sua cultura e il suo carisma, un conferenziere e una guida spirituale ricercato da molti. Scomparso l’anno scorso, su di lui è appena stato realizzato anche un toccante documentario. Padre Nilsen al telefono aggiunge qualche dettaglio alla nostra sintesi: «Anche in Norvegia negli anni ’70, nel post-Concilio, si è vissuto un certo smarrimento. Ma certi esperimenti, per esempio per quanto riguarda la liturgia, si sono esauriti. Oggi noi domenicani portiamo quasi tutti l’abito, un segno di riconoscimento che colpisce la gente. La speranza viene soprattutto dal mondo giovanile. Sempre più studenti mi avvicinano all’università e soprattutto i figli di famiglie cattoliche si frequentano, fanno comunità, per alimentare la propria fede e, speriamo, per far nascere altre famiglie credenti».
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